I musei, a partire dal 2020, hanno dovuto reinventarsi per sopravvivere alle chiusure imposte dalla pandemia. Il web ha avuto un ruolo fondamentale, ma cosa ne sarà di tutta questa digitalizzazione? Ce lo raccontano sette nuove uscite per orientarci nei cambiamenti del presente

Luci spente, sale vuote, silenzio intorno. Le sale dei musei hanno pagato così, per oltre un anno, il prezzo di una crisi inaspettata, causata dalla pandemia. Numerosi i tentativi di rialzarsi, timidi i successi. La soluzione? Reinventarsi e rigenerarsi. 

È proprio questo lo slogan dell’edizione 2021 dell’International Museum Day, celebrato il 18 maggio e promosso dall’International Council of Museums (ICOM) che da oltre 70 anni assiste la comunità mondiale museale e si occupa della valorizzazione del suo ruolo per lo sviluppo delle società. 

Il tema di quest’anno invita a riflettere sul futuro dei musei, affinché recuperino la loro funzione di arricchimento delle culture e dell’intera collettività minata dalla pandemia.

 

Contenuti on demand 

La crisi da Covid-19 ha costretto alla trasformazione numerose istituzioni museali: l’incontro visivo con le opere d’arte ha lasciato spazio all’interazione digitale, permettendo, tramite i siti web e le pagine social, la fruizione anche da casa. Sono stati numerosi i musei che in tutta Italia, a partire dalla prima fase della pandemia, hanno deciso di lasciare aperti i propri archivi, le proprie gallerie, le proprie collezioni, per creare una comunicazione digitale che andasse oltre le distanze. Tra questi, quasi il 90 per cento ha creato veri e propri contenuti digitali ad hoc, come riporta un'indagine condotta da ICOM nell’aprile 2020. News, approfondimenti, tour virtuali l’hanno fatta poi da padrona, per una realtà culturale multiforme che nei canali social, principalmente, ha trovato una prima vera vetrina espositiva.

 

Musei social

Il 29 marzo 2020, il ministero per i Beni, le Attività culturali e il Turismo lancia la campagna “ArT you ready?” un evento dedicato agli utenti di Instagram per la condivisione e diffusione di foto realizzate all’interno di musei, biblioteche, parchi archeologici e archivi italiani, con gli hashtag #artyouready e #emptymuseum. È solo l’inizio di un nuovo modo di fare comunicazione e di diffondere l’arte oltre i tradizionali canali fisici, che da lì a poco avrebbe travolto intere generazioni. 

Nel 2020, secondo ICOM, oltre il 60 per cento dei musei italiani ha aperto un canale social o ha riattivato vecchi canali mai utilizzati, tra Instagram, Facebook, Twitter, Youtube e piattaforme web per il caricamento di podcast. Raddoppiati i numeri di followers, aumentato l’investimento di risorse per proseguire l’attività in questa direzione.

 

 

In libreria

Il futuro dei musei, presi d’assalto dalla digitalizzazione, è stato uno dei temi cardine dell'editoria, in Italia e all'estero. 

Uno dei primi volumi usciti l'anno scorso sul tema è stato “Musei e cultura digitale. Fra narrativa, pratiche e testimonianze” di Maria Elena Colombo (Editrice Bibliografica). Il libro, pubblicato durante il primo lockdown, dedica le sue pagine al rapporto tra pubblici e musei, che la pandemia ha fatto emergere in chiave diversa. Allo stesso tempo l’autrice sottolinea l’importanza di avere risorse, competenze e infrastrutture adeguate che possano garantire una dimestichezza e una naturalità nell’esposizione online, attraverso un viaggio tra i più importanti musei italiani e una serie di interviste condotte per indagare la relazione tra mondo online e mondo offline.

Il volume inglese “The digital future of museums: Conversations and provocations” (Routledge Editor), attraverso conversazioni moderate con professionisti, pensatori ed esperti del settore, esplora il ruolo della tecnologia digitale nella pratica museale contemporanea in Europa, Stati Uniti, Australia e Asia. Dibattiti e provocazioni offrono spunti di riflessione su pratiche considerate oggi efficaci, utili a preparare i musei del domani, culminando in una serie di visioni possibili per il futuro digitale del settore museale.

Uno sguardo diverso, invece, rivolto al rapporto tra musei e narrazione digitale, è quello proposto da Elisa Bonacini in “I musei e le forme dello storytelling digitale” (Aracne editrice). Il volume suggerisce alcune possibili soluzioni narrative per i musei del futuro, individuando e analizzando 14 tipologie di storytelling digitale: orale, scritto, video, visuale, animato, interattivo, immersivo, social media storytelling, partecipativo, generativo, geo-storytelling, multimedia mobile storytelling, crossmediale e transmediale. Perché oggi il museo ha un ruolo «di connessione» o di «narrazione connessa», più che di antiquario e ottocentesco semplice contenitore di collezioni.

Ma se il futuro comunicativo dei musei è certamente destinato a cambiare, lo è anche quello partecipativo? È la domanda che si è posto l’autore ungherese András Szántó nel suo libro in lingua inglese “The future of the museum: 28 dialogues” (Hatje Cantz). Attraverso una serie di interviste ad alcuni dei più famosi direttori di musei di tutto il mondo, l’autore ha voluto focalizzare l’attenzione sui limiti storici e il potenziale inespresso dei musei d’arte al giorno d’oggi. Ciò che emerge è un ritratto composito di una generazione di leader che lavora per rendere le istituzioni sempre più aperte, democratiche, inclusive, sperimentali ed esperienziali. I dialoghi offrono scorci su come i musei di tutto il mondo stiano attraversando una fase accelerata di rivalutazione e reinvenzione.

E in questa fase, uno dei temi fondamentali è sicuramente la centralità del pubblico e il suo coinvolgimento nella fruizione del museo. Nel volume “Musei, Pubblici, Tecnologie” (Pisa University Press) Valentina Gensini affronta l’argomento dal punto di vista dell’accessibilità: accesso al patrimonio, da preservare e valorizzare in una logica inclusiva, che lo renda fruibile fisicamente, intellettualmente e socialmente, per garantire a chiunque il diritto di godere l’arte e i suoi significati più profondi. Per questo motivo il libro indaga il ruolo non solo del pubblico ma anche dei direttori, degli storici, di architetti e artisti che svolgono una funzione fondamentale per la mediazione del patrimonio.

Ma i cambiamenti del pubblico nei confronti dell’arte stanno facendo diventare il museo un vero e proprio mediatore culturale, in un rapporto “bottom up” con il visitatore che nello specifico diventa un “visit-attore”. È il racconto di Umberto Avanzi, Matteo Mocchi e Emanuele Sacerdote in “Il museo dialogante. Dall’ascolto alla co-creazione con il visit-attore” (Editoriale scientifica), che offre nuove prospettive e nuove soluzioni sia per la progettazione museale sia per il ripensamento del ruolo del museo. Attraverso un viaggio in tre capitoli, il volume si sofferma sull’importanza di comprendere e ascoltare le richieste del visitatore per creare un rapporto di co-creazione basata su tecniche e metodologie costruite per questo obiettivo.

Ciò che la pandemia ha fatto emergere è la capacità del museo di avere un ruolo attivo e dinamico nella società contemporanea, ben lontano dalla classica idea di entità statica e poco interattiva. E sono i visitatori, interagendo con gli oggetti e le istituzioni, a creare quella rete di relazioni particolarmente influente nella società civile. Evelina Christillin e Christian Greco lo raccontano in “Le memorie del futuro. Musei e ricerca” edito da Einaudi. La cultura diventa il collante tra gli uomini nonché tra il loro passato e il loro presente, generando così «speranza e ricordo», alla base del concetto stesso di museo.

Online, pubblico, interazioni e narrazioni. La quarantena della cultura ha rivoluzionato il modo di fare arte. Ma cosa ne sarà di questa rivoluzione, di tutta questa digitalizzazione? È l’inizio di una nuova era?