Già con la prossima emissione di Btp l’esecutivo vorrebbe aumentare la quota di titoli di Stato posseduta da italiani. Ma ogni progetto potrebbe scontrarsi con le regole di Bruxelles. O con quelle del mercato

Quelli erano tempi, l’epoca del “popolo dei Bot”. A fine 1998, vigilia dell’introduzione dell’euro nella contabilità nazionale, il 33,2% del debito pubblico era in possesso dei privati. A metà 2010 si era scesi al 17,4% e nel 2022 all’8%. Però le capacità di risparmio sono aumentate negli anni della pandemia (anche se come dice il governatore Ignazio Visco, «gli andamenti aggregati nascondono una notevole eterogeneità»): è tempo che le famiglie italiane si reimpossessino del debito pubblico.

 

Chi meglio di un governo sovranista poteva architettare un’idea del genere? È quanto sta accadendo: i tecnici del Tesoro stanno lavorano alacremente per introdurre un «nuovo strumento finanziario», come lo definiscono, in grado di ricondurre alla platea domestica una quota maggiore della montagna di Bot, Btp e simili che permette al nostro Paese di andare avanti. I lavori sono molto avanzati: fra maggio e giugno arriverà la nuova emissione. Sarà, a quanto trapela dalle stanze di via XX Settembre, un’emissione «importante», proporzionata alla circostanza che, venuto meno l’ombrello della Bce (la quale ha smesso di acquistare titoli a metà 2022 e sta cominciando a vendere quelli che ha in portafoglio), nel corso di quest’anno lo Stato deve raccogliere sul mercato quasi 400 miliardi fra il rifinanziamento dei buoni in scadenza e l’emissione di nuovi per almeno 70-80 miliardi. Il tutto su un debito che ormai sfiora i 3000 miliardi. «Si tratta di creare all’interno del parco titoli una sorta di isola protetta riservata agli italiani, presumendo che questi siano meno propensi a venderli in caso di crisi da spread, operazione tutt’altro che semplice e in forte odore di eccezione europea», obietta Giampaolo Galli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici fondato da Carlo Cottarelli. Ma la premier Giorgia Meloni va diritta verso l’obiettivo, come ha confermato all’inizio di febbraio: «Vogliamo ridurre la dipendenza dai creditori stranieri». E il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, torna spesso sul punto a partire dal suo primo intervento alla Giornata del risparmio il 31 ottobre: «Si deve aumentare il numero di italiani che detengono quote di debito».

 

C’è però da fare i conti con l’Ue. «Non è il caso di aprire l’ennesimo contenzioso con la Commissione, quale sarebbe inevitabile vista la violazione del principio dell’uguaglianza fra cittadini europei», commenta Andrea Boitani, economista della Cattolica. «Bruxelles ha fatto capire ampiamente di non voler fare sconti al nostro governo, anzi entra sempre più nel merito di questioni apparentemente interne: dalle discussioni sul Pnrr all’eccezione sul reddito di cittadinanza perché viene dato agli stranieri solo dopo una lunga trafila, fino al caso del 110% sul quale ha chiesto un rapporto». Aggiunge Mario Baldassarri, già viceministro all’Economia e oggi presidente dell’Istituto Adriano Olivetti, scuola di formazione fondata da Giorgio Fuà: «Una delle ipotesi è dare un incentivo fiscale sui Btp rispetto alla tassazione già contenuta nel 12,5%. L’unione tributaria, al contrario di quella monetaria, non esiste. Però esistono regole per armonizzare i trattamenti che è difficile aggirare, come dimostrano le eccezioni che già furono mosse ai Pir, strumenti di risparmio che prevedevano benefici fiscali. Ma poi il Tesoro deve farsi i conti: anche se riuscisse a ridurre ulteriormente il prelievo per i cittadini italiani, e magari a dare un ulteriore incentivo di redditività, danneggerebbe il proprio bilancio. L’equilibrio è difficile da ottenere». Del tutto impraticabile l’altra via pure suggerita: vincoli di portafoglio per banche, assicurazioni e investitori istituzionali perché mantengano una quota di buoni “nostrani”.

 

L’idea è un’“evoluzione” del Btp Italia, che malgrado il nome qualsiasi cittadino europeo può comprare se non altro sul mercato secondario. È collocato senza asta né spese alla clientela “al dettaglio” (anche via mail o alle Poste con taglio minimo di mille euro), è indicizzato all’inflazione e prevede un “premio di fedeltà” dell’8 per mille se tenuto fino alla scadenza. Il 6 marzo è in programma la nuova emissione: con l’esigenza di non interferirvi si spiega la riservatezza del Tesoro sul titolo “Italia-Italia” (non sarà questo il nome) che sarà emesso in tarda primavera. Il precedente è confortante: i piccoli risparmiatori apprezzano i Btp Italia (al “retail” è andato il 76,9 e il 60,7% delle due emissioni del 2022) e pare che li tengano volentieri nel cassetto: proprio sulla facilità di acquisto sempre più accentuata ci si baserà. Il problema resta far sì che questi «cassettisti» siano italiani (o residenti).

 

Qui si gioca la sfida di Giorgetti e Meloni. Spiega l’economista Innocenzo Cipolletta: «Bisogna inserire l’ipotesi nel dibattito sul ritorno agli aiuti di Stato, che apre imprevedibili derive. Se la Germania aiuta la Volkswagen rimettendo in discussione i principi-base dell’Unione, non mi stupirei se il governo proponesse di aiutare i risparmiatori nostrani. E se riuscisse ad aprire una contrattazione su questo punto: per questo è importante tenere buoni rapporti nella Ue». Intanto, il 1° marzo l’Istat renderà note le cifre del deficit rivedute secondo le nuove rigorose direttive di Eurostat, che porteranno a un aumento almeno all’8% contro il 5,6% scritto nella Nadef dal governo Meloni subito dopo l’insediamento, soprattutto per colpa del famigerato 110% ora abolito. Più deficit significa più necessità d’indebitarsi, non se ne esce: chiunque siano i destinatari dei titoli, italiani o stranieri.