Serve una produzione straordinaria per rispondere alla domanda mondiale. Perché la pandemia cambia le regole globali. E se un'azienda detentrice del brevetto si rifiutasse, potrebbe essere perseguita per abuso di posizione dominante

vaccino
La produzione e distribuzione dei vaccini sta facendo emergere tutte le difficoltà di reagire in tempi rapidi alla sfida pandemica in un regime ben diverso da quello di Sabin e Salk in cui i vaccini anti-polio non erano brevettati per esplicita volontà dei loro inventori. A quei tempi varie imprese in concorrenza fra di loro potevano produrli mettendo così al servizio degli utenti enormi capacità produttive. Alle limitate quantità previste dai contratti con le grandi imprese farmaceutiche si è aggiunta l’interruzione della fornitura di quanto in essi concordato per asseriti problemi di produzione, generando un ritardo che è stato stimato riguarderà almeno 7 milioni di potenziali vaccinati in Italia per fine marzo, impattando dunque in modo decisivo non solo sulla campagna vaccinale, ma anche sull’efficacia attesa della stessa in ragione della continua diffusione del virus e delle sue mutazioni. Le compagnie farmaceutiche sembrano volere vendere al migliore offerente a dispetto degli enormi sussidi che hanno ricevuto dagli Stati.

Il Governo ha annunciato l’intenzione di procedere per vie legali contro i ritardi nelle consegne del gruppo statunitense Pfizer. Ben più semplice come ormai si comincia a sostenere a Bruxelles sarebbe sospendere i brevetti come previsto anche dagli accordi di Doha, nei quali è ben difficile non far rientrare la pandemia che ci affligge. Oltre a questo sarebbe immediatamente disponibile un altro percorso che possa portare a delle licenze per la produzione del vaccino (o meglio dei diversi vaccini disponibili), in ragione dell’insuperabile eccesso di domanda su scala mondiale. Questo eccesso di domanda richiede, anche fatte salve tutte le prerogative legate alla titolarità della proprietà intellettuale e le condizioni contrattuali vigenti negli accordi già stipulati tra case farmaceutiche e Governo, uno sforzo straordinario sotto il profilo della produzione del vaccino.

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Lo scenario che oggi ha mutato profondamente le scelte delle politiche pubbliche su finanziamento, acquisto, tempi di somministrazione del vaccino è, infatti, quello della pandemia. Una pandemia cambia il quadro delle politiche pubbliche sotto almeno due profili. Il primo è che ogni ritardo nella distribuzione dei vaccini comporta non solo un enorme costo economico ma anche una intollerabile perdita di vite umane. Il secondo è che una vaccinazione lenta può favorire mutazioni del virus resistenti ai vaccini e vanificare così ogni sforzo di raggiungere un’immunità di gregge. In questo quadro, non si può attendere che l’eccesso di domanda che si realizza a livello mondiale venga soddisfatto nei lunghi tempi dettati dalle capacità produttive dei titolari del brevetto. Né, d’altra parte, l’ipotesi di conferire una licenza di produzione, sotto la delega del controllo tecnico e qualitativo del titolare del brevetto, agirebbe da limite o da “spiazzamento” dei flussi attesi di ricavi da parte delle case farmaceutiche o inciderebbe sulle economie di scala, dati, appunto, i limiti di capacità produttiva rivelato dalle stesse, rispetto alla domanda attesa.

Peraltro, dato proprio l’eccesso di domanda tipico della pandemia, non è da escludere che un eventuale rifiuto a contrarre (cioè di concedere una licenza) da parte delle aziende farmaceutiche con meri produttori - che dimostrino di disporre dell’affidabilità e della capacità tecnica produttiva necessarie per acquisire una licenza - possa configurare un abuso di posizione dominante, sotto il profilo del diritto antitrust.

Guardando infatti all’evoluzione dell’applicazione del diritto antitrust europeo, uno dei punti cardine nella tensione tra tutela della concorrenza e protezione della proprietà intellettuale ha riguardato spesso la possibilità che il licenziatario potesse “spiazzare” la potenziale domanda che si sarebbe altrimenti rivolta al titolare del diritto di proprietà. Cosa che è certamente da escludere nello scenario pandemico, tenendo conto peraltro di opportuni schemi incentivanti di pricing che possono sempre essere definiti a tal fine. Sembrano dunque esserci sufficienti ragioni economiche, produttive, sanitarie e anche di concorrenza, per indurre gli attori in gioco a indagare la strada delle licenze. Occorre, in particolare, stimolare le imprese italiane, con adeguate competenze, a richiederle quanto prima, anche comunicando alle autorità antitrust la propria richiesta, in modo da soddisfare le forniture che i detentori di brevetto non sono stato stati di erogare e accelerare quanto è più possibile il processo di vaccinazione.

Ma ciò va fatto in tempi estremamente rapidi. Se si considera che la capacità di saturare la domanda attesa influenza la diffusione della pandemia (e la capacità di incidere sulla mutazione del virus), si comprende come la necessità di dare un impulso straordinario alla produzione del vaccino incida sulla efficacia delle politiche sanitarie di contrasto al virus adottate.

Antonio Nicita e Ugo Pagano, economisti