I monopoli sulla proprietà intellettuale frenano gli investimenti in tecnologie, aumentano le disuguaglianze fra Paesi e scatenano conflitti geopolitici. Serve una profonda riforma delle regole

Dopo i numerosi divieti di esportazioni dalla Cina, dagli strumenti per il 5G della Huawei alle cosiddette strategie europee di de-risking, la recente esclusione della americana Micro dal mercato cinese è stato un chiaro segno di ritorsione da parte del gigante asiatico. Diventa sempre più evidente una crisi della globalizzazione che va di pari passo con il crescente pericolo di conflitti militari potenzialmente devastanti.

 

Le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, Wto, sono ormai frequentemente violate in base a considerazioni di sicurezza nazionale. In base ad esse si può facilmente sostenere che la protezione di un certo settore sia di vitale importanza o che una certa impresa non debba essere ammessa nel mercato nazionale. In questa situazione non è, tuttavia, possibile limitarsi ad auspicare un ritorno alle regole del commercio internazionale del passato. Occorre chiedersi cosa non ha funzionato e formulare regole diverse.

 

È stato indubbiamente un fatto positivo che siano state stabilite delle regole internazionalmente condivise per il commercio internazionale. Purtroppo queste regole non si sono limitate a garantire l’accesso ai mercati dei diversi Paesi ma hanno imposto anche il rispetto per la cosiddetta proprietà intellettuale. In questo modo la proprietà sulla conoscenza è stata assimilata alla proprietà privata su beni come le macchine o la terra. Eppure la natura di questi beni è profondamente diversa. Tutti possono usare una stessa unità di conoscenza mentre uno stesso terreno o una stessa macchina possono essere usati solo da poche persone. Se invece la conoscenza viene “privatizzata”, questo porta a un aumento di diseguaglianze ben più accentuate di quelle che possono essere originate dalla proprietà privata delle macchine o della terra.

 

La proprietà privata di una macchina o di un terreno non comporta che altri non usino una macchina o un terreno simile, o persino identico. Invece la proprietà privata della conoscenza (ovvero la sua monopolizzazione) implica che altri non possano fare uso di conoscenze simili. Assieme a una forte crescita delle diseguaglianze, la privatizzazione della conoscenza ha creato un numero enorme di beni fittizi intangibili che consistono nel diritto di escludere altri dal suo uso. A questo diritto corrisponde una limitazione globale delle libertà altrui. Grazie a questi beni fittizi, le imprese titolari della loro proprietà hanno percepito elevate rendite monopolistiche che hanno generato un cospicuo aumento del valore delle loro azioni e della ricchezza finanziaria dei loro azionisti. Privatizzazione della conoscenza e finanziarizzazione dell’economia sono spesso state due facce della stessa medaglia.

 

Nonostante la coniazione del termine “diritto di proprietà intellettuale” il rafforzamento dei monopoli sulla conoscenza ha avuto sulla crescita alcune delle note conseguenze che caratterizzano questa forma di mercato. Inizialmente ha incentivato gli investimenti innovativi. Il rafforzamento e l’estensione globale della proprietà intellettuale hanno, infatti, immediatamente generato aspettative di rendite monopolistiche più elevate per questi investimenti. Successivamente ha prevalso l’effetto bloccante che ha il monopolio intellettuale sugli investimenti. Questo effetto bloccante è dovuto al fatto che, con l’appropriazione privata di conoscenze e tecnologie, viene impedito un numero crescente di opportunità d’investimento a coloro che non hanno il diritto di usarle.

 

Dopo il rafforzamento dei diritti di monopolio intellettuale dovuto all’istituzione del Wto e dei Trips, vi è stato, infatti, un boom degli investimenti nella seconda metà degli anni ’90 e poi una loro forte stagnazione. La crisi finanziaria del 2008, spesso attribuita a una indigestione di risparmi, è stata invece causata da una carestia di occasioni di investimento dovuta alla monopolizzazione dell’economia. Le istituzioni internazionali hanno favorito un atteggiamento opportunistico degli Stati che ha acutizzato il ristagno dell’economia. Quest’ultima è stata sempre più trainata da investimenti militari cui partecipano privati che si assicurano diritti di proprietà intellettuale generati da questi investimenti. Ognuno cerca di avvantaggiarsi della scienza prodotta come bene comune da altri e di limitare il proprio contributo alla produzione di questo bene pubblico globale.

 

Si provoca così un forte sotto-investimento nello sviluppo di quelle tecnologie disponibili a tutti che sono alla base di una salutare concorrenza. È ormai urgente una riforma del Wto: nato per favorire un commercio internazionale equo ed efficiente, esso ha di fatto promosso una concorrenza sleale fra i diversi Paesi e causato crescenti tensioni internazionali. La riforma dovrebbe imporre a ogni membro dell’organizzazione d’investire una percentuale minima del suo Pil (circa il tre per cento) in scienza aperta disponibile a tutti e limitare così il drammatico sotto-investimento in questo bene pubblico globale. Una riforma delle istituzioni internazionali non è solo necessaria per combattere le diseguaglianze e superare la stagnazione degli investimenti innovativi ma è anche indispensabile a ridurre la crescente conflittualità fra gli Stati. La promozione di una scienza aperta serve a favorire un disarmo, insieme economico e militare, in un mondo che rischia di diventare sempre più pericoloso. La cooperazione scientifica internazionale potrebbe portare a individuare obiettivi della ricerca utili per il benessere di tutti e aiutarci a costruire un mondo meno conflittuale.

 

* Ugo Pagano è professore emerito all’Università di Siena e Membro del Forum Disuguaglianze e Diversità e la sua proposta è una delle cinque contenuta nel Manifesto “LIberare la conoscenza per ridurre le disuguaglianze” del Forum Disuguaglianze e Diversità. Il Manifesto è stato presentato da Fabrizio Barca sul numero 16 dell’Espresso del 23 aprile 2023.