Maradona e i De Filippo, Troisi e Pino Daniele. La città festeggia con le sue leggende sportive e culturali. Da Ferlaino a De Laurentiis, da Bianchi a Spalletti, vincere qui è tutta un’altra storia

Le immagini del terzo scudetto napoletano sono tutte lontano dal campo di gioco e forse non è un caso se il campionato sia stato vinto con la squadra a Udine, a segnalare l’accessorietà del fatto sportivo e di una vittoria che qui si dà per acquisita da tempo.

 

I simulacri dei calciatori vivono per le strade della città da mesi e per mesi ci resteranno, con le sagome a grandezza reale allineate per le salite e lungo le migliaia di gradini che hanno consentito alla polis greca di arrampicarsi dalla riva oltre i 250 metri sul livello del mare della fortezza di Sant’Elmo, con le facce, i numeri di maglia, le bandiere dei loro paesi, diciotto compresa l’Italia.

 

In nessuna città del mondo la vittoria in campionato è altrettanto scandita dalla fusione con l’elemento culturale. Massimo Troisi annuncia il suo Ricomincio da tre dagli striscioni appesi fra una casa e l’altra a Montecalvario o al Vomero. Con lui ci sono i musicisti come Pino Daniele e, naturalmente, i mostri della recitazione, Totò, Peppino, Eduardo.

 

Sul pantheon politeista del napoletano regna lo Zeus venuto da Lanús, municipio della zona sud di Buenos Aires, e morto di usura e di tristezza il 20 novembre del 2020 a Tigre, cittadina per ricchi sulla foce del Rio della Plata a nord della megalopoli argentina.

 

Diego Armando Maradona è dovunque. Via Emanuele De Deo, che sale a perpendicolo da via Toledo sull’erta dei Quartieri spagnoli, culmina in una piazzetta ribattezzata a furor di popolo Largo Maradona, di per se stessa teatrale con l’enorme quinta del murale dipinto per l’altezza di quattro piani sulla facciata fino a quel momento grigia di un rione casbah riaperto al traffico turistico per uno dei tanti miracoli del Diez.

 

Turisti, appunto, turisti dovunque in una città che si gentrifica a vista d’occhio in quartieri come la Sanità dove, uno scudetto fa, non tutti i napoletani osavano mettere piede.

 

Ma i campionati vinti nel 1987 e nel 1990, più quello del 1988 lasciato al Milan fra dicerie mai del tutto chiarite, sono stati attribuiti al Pibe de Oro. Ingiustamente, si capisce. Un fuoriclasse può vincere da solo una partita, non un torneo lungo nove mesi. Il Napoli del presidente Corrado Ferlaino e di mister Ottavio Bianchi era uno squadrone con Salvatore Bagni, Ciro Ferrara, Bruno Giordano, Careca, Alemão, solo per nominarne alcuni.

 

E, non per scrostare l’affresco del mito, era un club spalleggiato finanziariamente da mister Banco di Napoli, Ferdinando Ventriglia, il banchiere democristiano che finanziò l’acquisto di Maradona dal Barcellona senza garanzie e grazie all’intercessione del sindaco di allora, il collega di partito Enzo Scotti. Avvitata in un crescendo di costi insostenibili, la Ssc Napoli sarebbe fallita e retrocessa in serie C quattordici anni dopo il secondo titolo italiano per essere ripresa da Aurelio De Laurentiis.

 

Nella città che fa della simpatia vera o rappresentata la sua bandiera, il carattere del proprietario della Filmauro ha trovato materia infinita per scontri, liti e polemiche. Nato a Roma dal produttore cinematografico Luigi, fratello dell’altro produttore Dino, Adl sfoggia l’accento della capitale e si permette di alternare dichiarazioni d’amore partenopeo a provocazioni blasfeme del genere “la pizza a Napoli fa schifo”.

 

Lo scudetto è prima di tutto merito suo. L’allenatore del miracolo è Luciano Spalletti, il toscano che si avventura nella lingua di Scarpetta, Viviani, De Filippo, ma forse sarebbe potuto essere, qualche stagione fa, Maurizio Sarri, figlio di un gruista dell’Italsider di Bagnoli.

 

Il direttore sportivo Cristiano Giuntoli ha meritatamente conquistato il suo posto nella galleria dei campioni d’Italia con acquisti che sembravano mattoni rifilati al mercato di Forcella e invece erano perle. Il difensore coreano Kim Min Jae è arrivato per 20 milioni di euro e oggi ne vale almeno 50. André Anguissa da 15 milioni è salito a 40. L’orgoglio del popolo georgiano Kvicha Kvaratshkelia è costato 11,5 milioni di euro e la sua quotazione attuale è di 85. Il centravanti Victor Osimhen, che si è inserito nel calcio italiano con qualche titubanza iniziale durante la stagione 2020-2021, ha smentito chi lo giudicava troppo caro a 71 milioni di euro e oggi vale oltre quota 100.

 

Ma l’aspetto calcistico è davvero minoritario nel terzo campionato vinto dal Napoli. Lo scudetto che ricomincia da tre è un pretesto di caos, rivalsa, allegria e, non per scrostare l’affresco del mito, un’occasione di guadagno con la contraffazione e di pressione sulla società da parte dei caporioni della curva, non appena la tregua della contestazione sarà finita e si dovrà rafforzare la squadra.

 

Ma questo è di là da venire. La festa è appena incominciata. Non finirà tanto presto.