Per ottenere il documento bisogna spesso attendere tempi biblici, anche perché gli uffici sono a corto di personale, nonostante gli incentivi. E tre utenti su dieci per ridurre l’attesa simulano un’urgenza con vari stratagemmi

Per saltare la fila e aggirare la burocrazia che altrimenti li costringerebbe a un’attesa anche di mesi, c’è chi ha escogitato un trucchetto fantasioso. Siccome chi riesce a dimostrare l’urgenza può ottenere dagli uffici dell’anagrafe la carta di identità elettronica (Cie) in appena due o tre giorni, che sono niente rispetto ai tempi biblici a cui devono sottostare tutti gli altri, i furbi si inventano un viaggio, generalmente all’estero, che in realtà non hanno alcuna intenzione di fare. E per convincere l’impiegato comunale dubbioso, gli squadernano sotto gli occhi un biglietto aereo, in genere un volo Ryanair che costa poco. Così, con uno sforzo minimo, una modica spesa e senza logorare i tacchi delle scarpe e i nervi, riescono a mettersi in tasca in tempi ragionevolmente brevi la tesserina plastificata con i loghi della Repubblica, i dati personali, la foto, la firma.

 

Per tutti gli altri, però, cioè per i cittadini rispettosi delle regole che non se la sentono di ricorrere ai mezzucci, l’ottenimento della Cie è una specie di percorso a ostacoli, pieno di imprevisti e soprattutto maledettamente lungo. Eppure nonostante i disagi collegati alla carta elettronica non siano un segreto per nessuno, il governo aveva spensieratamente deciso di puntare proprio sulla Cie come strumento unico per il dialogo tra i cittadini e la pubblica amministrazione. Il sottosegretario della Presidenza del Consiglio con la delega per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale, Alessio Butti, e gli altri dell’esecutivo avevano perentoriamente dichiarato che la Cie avrebbe di colpo sostituito lo Spid. Che detto così sembra una sorta di sciarada, ma se fosse successo davvero avrebbe innescato un pandemonio.

 

Lo Spid è il Sistema Pubblico di Identità Digitale, lo strumento che consente ai cittadini di accedere ai servizi on line della pubblica amministrazione attraverso l’utilizzo di credenziali strettamente personali (username e password). Con lo Spid si può entrare, per esempio, nel sito dell’Inps per controllare la propria posizione previdenziale o per verificare tempi e modalità del pagamento della pensione. Si possono consultare i servizi dell’anagrafe, il fascicolo sanitario elettronico, la posizione presso l’Agenzia delle entrate. Senza lo Spid, in pratica, il cittadino diventa un po’ meno cittadino rispetto all’amministrazione statale. Spid e Cie sono per certi versi doppioni, in particolare per quanto riguarda l’accesso ai servizi pubblici.

 

Il sistema Spid si appoggia su una serie di gestori pubblici e privati tipo Poste, Tim id, Aruba, Infocert con i quali gli accordi dello Stato sono scaduti a fine 2022. Oggi gli italiani che hanno lo Spid sono circa 33 milioni e mezzo, quelli con la Cie quasi un milione di meno (32,7). Spesso chi utilizza lo Spid non ha la Cie e viceversa, mentre entrambi i sistemi continuano a crescere in parallelo: 6 milioni di Spid e 7 di Cie in più nel 2022. Il governo avrebbe voluto rompere questo dualismo imponendo la Cie anche a costo di andare contro la legge secondo cui avere la carta di identità è una facoltà e non un obbligo.

 

Chi vuole la carta di identità elettronica deve armarsi di santa pazienza perché per mettersela in tasca ci vuole un’eternità. Secondo le informazioni rilevabili sul sito della piattaforma ministeriale per le prenotazioni risulta che all’inizio della primavera i Comuni di Milano e Torino hanno addirittura temporaneamente chiuso le loro agende di appuntamenti non avendo finestre disponibili da offrire ai cittadini. A Napoli il primo appuntamento disponibile era per l’inizio d’agosto. A Roma, dove il Comune prevede quest’anno si facciano 340 mila carte, a febbraio la media era di 68 giorni di attesa, poi è peggiorata nelle settimane successive slittando verso i 4 mesi e oltre. Eliminare lo Spid in queste condizioni sarebbe stato più che un azzardo: invece di garantire ai cittadini un servizio unico e migliore, si sarebbe inevitabilmente creato un ingolfamento burocratico pazzesco, gli stessi cittadini sarebbero stati di fatto puniti e le proteste avrebbero sommerso Palazzo Chigi. Per fortuna, alla fine, l’esecutivo ha decelerato annunciando con tardiva prudenza che non è ancora arrivata l’ora del cambiamento. Più saggio rinviare, insomma.

 

Sono tanti i motivi per cui il sistema della carta di identità elettronica non funziona. Le procedure d’urgenza, vere o inventate che siano, sono uno dei freni del rallentamento. I motivi ritenuti validi dalla burocrazia per poter accedere al canale privilegiato dell’urgenza sono davvero tanti. Si va dallo smarrimento al furto, dai viaggi impellenti alla necessità di avere un documento valido nel caso di ricovero in ospedale e perfino per l’iscrizione a un club sportivo.

 

Considerato che per avere una carta di identità nuova un cittadino deve pagare 22 euro e 21 centesimi (16,79 come spese di emissione e 5,42 come diritti fissi e di segreteria), ma per l’urgenza non si paga un centesimo in più, ecco che il gioco è fatto, nel senso che ormai il ricorso all’urgenza è diventato il segreto di pulcinella. In assenza di dati certi in proposito, calcolata una media a spanne tra grandi e piccoli centri, è plausibile sostenere che su cento pratiche per l’ottenimento di una carta nuova o per il rinnovo della vecchia, almeno una trentina viaggino sul canale turbo dell’urgenza.

 

Per tutti gli altri cittadini la strada ordinaria passa attraverso la prenotazione gestita dal ministero dell’Interno che, salvo qualche incidente di percorso, funziona abbastanza. Ci sono anche alcuni Comuni che gestiscono in proprio pure la fase preliminare della prenotazione, ma sono una minoranza. Quello che in genere non va è ciò che si trova a valle della prenotazione, gli uffici anagrafici dei Comuni, gli sportelli dove concretamente la carta di identità elettronica viene fisicamente lavorata che hanno accumulato ritardi non decenti per un Paese come l’Italia. Le insopportabili lungaggini non sono dovute ai tempi fisici per la creazione del documento, che pure non sono brucianti. Usando i macchinari e il software forniti dal ministero, agli uffici in teoria basterebbero una decina di minuti per una nuova carta d’identità, più un paio di settimane perché il Poligrafico dello Stato la materializzi e la consegni.

 

Quel che non funziona è l’organizzazione del lavoro negli uffici anagrafici, in genere considerati dai dipendenti comunali una sorta di luogo della perdizione perché lì è molto difficile imboscarsi e si deve lavorare sul serio. Per invogliare i dipendenti comunali a scegliere l’anagrafe spesso vengono riconosciuti incentivi di 250 e anche 300 euro al mese. Nonostante i premi, però, in molte città gli uffici restano sovente sotto organico in relazione alla mole di lavoro quotidiana che va dalle copie integrali degli atti di nascita, di matrimonio, di morte ai certificati di stato civile. Senza contare gli attestati di regolarizzazione di soggiorno per gli immigrati. Da un anno molti certificati (14 tipologie per l’esattezza) si possono ottenere on line da casa grazie all’Anpr, l’Anagrafe nazionale della popolazione residente. Ma anche questa novità non ha ridotto significativamente i ritardi per la carta d’identità.

 

Per legge ogni cittadino ha in teoria diritto di farsi preparare la carta da qualsiasi Comune italiano. Dopo una lunga fase di gestazione durata un quindicennio, ora la piattaforma ministeriale delle prenotazioni consente infatti ai cittadini di scegliere il Comune che desiderano, con un’avvertenza, però: se il Comune individuato è fuori provincia è necessario un nulla osta ad hoc per avviare la procedura e anche questo, ovviamente, complica e allunga i tempi della pratica. Qualche tempo fa a Roma i cittadini erano addirittura invogliati a organizzarsi con una gita fuori porta con destinazione l’anagrafe in modo da alleggerire la pressione sugli uffici delle 15 municipalità capitoline. Ma con un rapido giro in internet si scopre che su 121 comuni della provincia di Roma solo 3 sono disponibili a fare le carte dei romani. Velletri è il più sollecito e consente di prenotare un appuntamento nel giro di un paio di mesi. Gli altri due sono Olevano Romano (47 chilometri da Roma) dove l’appuntamento è per Ferragosto e Lariano (36 chilometri) il 24 agosto.

 

Per tentate di accorciare i tempi da aprile 2022 il Comune di Roma si è inventato gli open day e i click day, cioè un servizio straordinario che consente di fissare appuntamenti un giorno per l’altro in qualcuno dei 15 municipi che rimane aperto il sabato e la domenica o in uno dei tre chioschi fissi: piazza delle Cinque lune, piazza Sonnino e Santa Maria Maggiore. L’agenda viene compilata on line il venerdì mattina alle nove: ci si collega al sito del ministero, ma dopo pochi minuti finisce tutto e le prenotazioni vengono rifiutate per eccesso di domanda. I pochi privilegiati che riescono a prenotarsi esultano, le migliaia e migliaia di esclusi devono rassegnarsi aspettando di tentare la fortuna alla prossima riffa senza però avere mai la certezza di centrare l’obiettivo. La «città dei 15 minuti» vagheggiata dal sindaco Roberto Gualtieri sembra più una presa in giro che uno slogan.