L’alluvione che ha devastato la zona è l’ultimo atto di una storia fatta di progetti fermi e di burocrazia. Ma anche il risultato di una scelta lunga anni per trasformare la regione in un divertimentificio, trascurando le esigenze del territorio

Si sono ritrovati sott’acqua poche ore dopo aver ricevuto il messaggio con cui il direttore dell’ufficio scolastico regionale delle Marche, Marco Ugo Filisetti, invitava «all’adempimento del dovere con fede, onore, e disciplina». Sono gli studenti di Cantiano, Ostra, Barbara, Trecastelli, Castellone di Suasa, delle aree intorno a Senigallia e a Sassoferrato. Mentre acqua e fango scorrevano e travolgevano e uccidevano, l’assessore regionale alla Protezione Civile Stefano Aguzzi era a un dibattito elettorale a parlare, sembra, di Putin.

 

Poco prima, Michele Bomprezzi, bibliotecario e operatore culturale, rientrava nella sua casa di Arcevia dopo aver chiuso le porte della Biblioteca comunale di Cupramontana. È uno degli undici morti accertati.

 

Si piange, certo. Ci si indigna, certissimo. Si dimenticherà fra una settimana, tranne coloro che hanno perso una persona amata, la casa, una prospettiva di serenità. Sarebbe importante, però, capire che la catastrofe del 15 settembre non è soltanto la storia di un’alluvione non prevista o non prevedibile, non è solo la spia dell’urgenza della questione climatica che è rimasta quasi sempre sullo sfondo in campagna elettorale. È, invece, una delle storie che dimostrano cosa sta accadendo alle Marche, la terra che, come diceva la scrittrice Dolores Prato, non han labbra per narrarsi: e le labbra che narrano non vengono ascoltate. È una storia di abbandono, del desiderio di sbarazzarsi rapidamente di un modello di cultura e di sviluppo in favore di un altro, perseguito da questa amministrazione e anche da quelle precedenti: divertimento, fabbriche, turismo e meno abitanti ci sono meglio è. Vediamo perché.

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Sappiamo già, a questo punto, che l’alluvione di Senigallia aveva avuto un precedente solo otto anni fa, nel maggio del 2014, quando lo stesso fiume, il Misa, esondò uccidendo tre persone, ingoiando centinaia di case e provocando 180 milioni di euro di danni. Vengono indagati in otto, compresi due ex sindaci di Senigallia, Maurizio Mangialardi e Luana Angeloni. Da allora, la messa in sicurezza del bacino del Misa non è stata attuata: la cassa di espansione (o le casse: i progetti ne prevedevano diverse) non ci sono. C’è in compenso un nuovo ponte a Senigallia, dedicato al 2 giugno e inaugurato due anni fa: campata unica, parapetto massiccio e senza fessurazioni. Un nuovo muro su cui l’acqua si infrange ed esce e si sparge.

 

I progetti c’erano, dicono tutti. Ce n’erano tantissimi, dicono ancora, che rimbalzavano da Ancona a Roma e si perdevano nel nulla. Burocrazia, dice l’ex governatore Ceriscioli (Pd), che era alla guida della Regione durante il terremoto del 2016 e che, a nostra memoria, ha usato l’identica parola per giustificare lo spaventoso rallentamento non solo della ricostruzione, ma dell’assegnazione delle Sae e della rimozione delle macerie. E se qualcosa è stato fatto, è da quando Giovanni Legnini è diventato commissario per la ricostruzione: da poco più di due anni.

 

Ma ne sono passati sei. Sei anni in cui i terremotati sono stati non forniti di container nel luogo dove sorgevano le loro case per non disperdere le comunità, come è avvenuto nell’altra grande scossa marchigiana, il 1997, ma deportati sulle coste, dove i vecchi sedevano sulle panchine dando le spalle al mare, per poter guardare le loro montagne. Sei anni in cui molti sono morti, di malanni, certo, ma anche di nostalgia. Sei anni in cui molti sono andati via. Sei anni in cui la Sae, le soluzioni abitative provvisorie, sono state assegnate con enorme lentezza, e in molti casi marce e muffite. Quando si ruppero i boiler installati a Visso e Arquata del Tronto, dalla Regione Marche arrivò il commento: «Qui ogni volta che si rompe un tubo sembra si sia rotta una centrale nucleare». L’inverno era arrivato, era il dicembre 2017, e come si conviene nelle Marche montanare, era gelido.

 

Funziona così. Dopo le visite di rito e le commemorazioni annuali, dopo i primi Natali post-sisma, si dimentica. Si dimentica o si ignora che Visso e Camerino saranno restituite alla vita tra non meno di vent’anni. Perché il terremoto, nella memoria collettiva, si lega alle immagini cui tutti siamo stati abituati: le case sventrate, la quotidianità di un armadio o di un letto o di un cesso esibita, il dettaglio che stringe il cuore (il giocattolo fra le macerie, la fotografia nella cornice infranta, una scarpa, se va bene un velo da sposa). Ecco, il terremoto non è solo questo. Può essere, per esempio, paesi che mentre ti avvicini sembrano intatti sotto un cielo d’autunno senza nuvole, con le roverelle che frusciano al vento, e foglie che arrossano dolcemente, e vi porta a chiedere: ehi, ma non è successo niente, qui? Cosa posso vedere? Dove sta, questo terremoto? Il terremoto sta in tutti i paesi che non fanno notizia perché non sono rasi al suolo, ma inagibili sì, e continuano a esserlo ancora.

 

Ecco, per le alluvioni succede qualcosa di simile. Si dimentica. Perché se è vero che la burocrazia impantana i progetti, va anche detto che chi vorrebbe trasformare le Marche in un villaggio vacanze è invece velocissimo. Ed ecco che nel dicembre scorso arriva, per esempio, l’ordine di esproprio per gli abitanti di Rubbiano, frazione di Montefortino in provincia di Fermo: via i pollai, le case, i terreni in favore di un progetto da 7 milioni di euro: lo chiamano «sviluppo dell’offerta ricettiva». In altre parole, un resort per i turisti che vogliono visitare le (meravigliose) Gole dell’Infernaccio.

 

Non è il solo. Qualche mese fa, Mario Di Vito scorreva sbigottito su Il Manifesto i progetti presentati dalla Regione Marche per accedere al Fondo complementare Pnrr Sisma 2009-2016: «Due tronconi da 53 e da 50 milioni di euro che prevedono l’installazione nel cratere di quattro impianti sciistici di risalita, un centro termale, un “parco intergenerazionale solidale”, piste ciclabili, valorizzazioni varie, hub multimediali e “recuperi a destinazione servizi turistici culturali intercomunali”». Il 21 aprile scorso, l’attuale presidente Acquaroli presenta in pompa magna il progetto “Sibillini Mountain Experience”: 36 milioni di euro (29 milioni di euro dal Pnrr, 7 milioni di euro dal privato) nel comune di Sarnano, alle porte del Parco dei Sibillini. Per realizzare: una pista sintetica in Neveplast, nuovi bacini di accumulo idrico per gli impianti di innevamento artificiale, uno zoo (attraversabile in auto come in un safari), tapis roulant, una nuova cabinovia funicolare a terra, una pista per i “gommoni da neve”, una teleferica “a volo d’Angelo”. Solo recentemente il progetto ha ricevuto (su una piccola parte) parere negativo da Legnini.

 

Queste storie, e la mancata realizzazione dei piani per contenere il Misa, sono la dimostrazione di una lunga storia di disattenzione, mancanza di progettualità, indifferenza, voracità nell’immaginare il tutto e subito: il turismo mordi e fuggi, la svendita dei terreni alle multinazionali per le coltivazioni intensive di noccioleti, il land grabbing dei pascoli sottratti agli allevatori, il culto della grande opera. Leonardo Animali, uno degli attivisti marchigiani che da anni prova a dire che occorre un’altra idea di sviluppo, ha postato una fotografia: è il disastro dell’onda di piena dell’Esino. Ma dove oggi vediamo i detriti lasciati dall’acqua, ricorda, passeranno tra qualche anno i binari del raddoppio della ferrovia Falconara-Orte, lotto 2, esecutivo, finanziato Pnrr, avvio cantieri gennaio 2023. Dopo la Quadrilatero Umbria-Marche, ultimata parzialmente nel 2016 nel tratto Foligno-Civitanova Marche, dopo anni di promesse ai sindaci su famigerati piani di area vasta mai realizzati, e le ruspe sono già al lavoro nel tratto Fabriano-Muccia, continuando a mettere in crisi il territorio a livello ambientale, paesaggistico e sociale.

 

Mentre alluvioni e terremoti spopolano, prende forma un’idea del territorio che produce divertimento e reddito. Magari col ritorno di Dustin Hoffman che recita, sbagliando, l’Infinito, come nello spot della Regione Marche del 2009.