Ecco chi sono i due magnati alla guida dei gruppi in lizza per acquisire l'acciaieria di Taranto

Sajjan Jindal, l'indiano con la tecnologia più pulita

Chi è
Cinquantanove anni, laurea in ingegneria meccanica all’Università di Bangalore, appassionato di calcio - la domenica va spesso a fare il tifo per il Bengaluru Football Club - Sajjan Jindal è presidente della Jindal South West.

Quanto vale
Jsw è il secondo gruppo siderurgico indiano e trentesimo nella classifica mondiale ?dei big dell’acciaio, produce 12,4 milioni ?di tonnellate l’anno e ha un fatturato ?9 miliardi di dollari.

Le origini
Ha ereditato la società dal papà Om Prakash, nato contadino, divenuto imprenditore di successo e uomo politico ?di primo piano, fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 2005 in un incidente aereo. Om Prakash aveva provveduto a dividere l’impero di famiglia fra i quattro figli. Sajjan ha concentrato le attività nel Sud dell’India, dove possiede cinque stabilimenti. Quello di Vijayanagar, vicino a Bangalore, è un modello di sostenibilità ambientale.

I soci
Jindal è il socio di maggioranza - con una quota del 35 per cento - della cordata Acciai Italia, assieme al gruppo Arvedi (10 per cento) e alla Cassa depositi e prestiti e a Leonardo del Vecchio (entrambi con quote del 27,5 per cento). Intende conquistare Ilva puntando su innovazione, sostenibilità e investimenti a favore dei tarantini

Il piano
Jindal intende affiancare alla produzione ?di ghisa dal carbone impianti capaci ?di ottenere l’acciaio con un processo ?di lavorazione diverso, che sostituisce il carbone con il gas metano per ottenere un semilavorato del ferro, chiamato preridotto, che può essere trasformato in acciaio nei forni elettrici. Il nuovo impianto avrebbe un costo di 540 milioni di euro e avrebbe un impatto ambientale dimezzato rispetto a quelli a carbone. Secondo alcuni calcoli, questo procedimento diventa redditizio quando il costo del gas scende sotto i 20 centesimi al metro cubo. Attualmente il gas in Italia vale tra i 18 e i 21 centesimi al metro cubo e l’Ilva, che consumerebbe ingenti quantitativi, potrebbe spuntare prezzi anche più bassi. Jindal punta a realizzare 6 milioni di tonnellate di acciaio da carbone e una gamma compresa fra 4 e 6 da preridotto.

Il punto debole
Nonostante alcuni contatti, la cordata ?di Jindal & soci non è riuscita a schierare ?al suo fianco Intesa Sanpaolo, grande creditrice dell’Ilva, che ha poi deciso di entrare nella cordata rivale. Stando alle indiscrezioni, l’offerta della cordata Jindal ?è più bassa di quella di Arcelor, mentre ?gli investimenti sono più alti.

Lakshimi Mittal, l'offerta a rischio Antitrust

Chi è
Sessantasette anni a giugno, vegetariano, patito di yoga, passaporto britannico ?e indiano, Lakshmi Mittal vive in una lussuosa villa di Kensington, a Londra, ?e da un decennio è considerato il re dell’acciaio. La mossa chiave della sua strategia risale al 2006, quando il suo gruppo - nato in India - ha rilevato il rivale europeo Arcelor, un coagulo di ex acciaierie statali di Francia, Spagna, Belgio e Lussemburgo.

Quanto vale
ArcelorMittal con 56,8 miliardi di dollari di giro d’affari e 83,9 milioni di tonnellate prodotte nel 2016 è il maggior produttore d’acciaio al mondo.

Le origini
Mittal, che puntualmente compare nella classifica di Forbes fra gli uomini più ricchi ?e potenti, è un self made man nato in un villaggio senza elettricità e acqua corrente ?del Rajasthan, India del Nord. Si è laureato in Commercio all’Università di Calcutta ?e ha mosso i primi passi negli anni Settanta nella piccola acciaieria del padre.

I soci
Vuole conquistare l’Ilva attraverso la Am Investco Italy, in cordata con il gruppo Marcegaglia, socio al 15 per cento, con l’appoggio della banca Intesa Sanpaolo. Il punto di forza della sua candidatura è l’elevata offerta economica e la profonda conoscenza del mercato europeo, che ?a suo giudizio permetterebbe in tempi rapidi il rilancio delle attività dell’Ilva.

Il piano
Prevede di produrre a Taranto otto milioni ?di tonnellate di bramme, le grandi sbarre che vengono poi lavorate per produrre i laminati, e importarne altre due milioni, ?che verrebbero laminate nello stabilimento pugliese. Dal punto di vista ambientale, vuole investire 1,1 miliardi per rispondere alle indicazioni dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia). In ambito industriale spenderà 1,2 miliardi per riqualificare gli impianti, di cui 200 milioni per rimettere a nuovo l’altoforno 5, il più grande d’Europa.

Il punto debole
Il tallone d’Achille è il possibile richiamo dalla Commissione europea in tema di Antitrust. Oggi Arcelor produce 30 dei 90 milioni di tonnellate d’acciaio usati sul mercato europeo: controlla quindi il 33 per cento del mercato. L’Antitrust fa scattare l’infrazione per regime di monopolio superata la soglia del 40 per cento: significa che Arcelor non potrebbe produrre a Taranto più di cinque o sei milioni ?di tonnellate d’acciaio, mettendo ?a rischio la sopravvivenza dell’impianto.