L'operazione "fuorigioco" ha coinvolto 64 indagati e 35 società di A e di B. Evasione fiscale e false fatturazioni i reati contestati. L'accusa: in 5 anni sottratti 12 milioni di euro alle casse dello Stato. Coinvolti Aurelio De Laurentis (Napoli), Adriano Galliani (MIlan) Claudio Lotito (Lazio), Jean-Claude Blanc (Juventus), il procuratore Alessandro Moggi e i giocatori Lavezzi, Crespo e Mutu

Tutto è partito da un’indagine sulle rapine subite da alcuni giocatori del Napoli. Così, praticamente per caso, è nata l’inchiesta che ha sconvolto il mondo del calcio. Dall’ascolto di una conversazione intercettata, avvenuta nel 2012 tra il calciatore Ezequiel Lavezzi e il suo procuratore Alejandro Mazzoni, la Procura partenopea ha iniziato a nutrire sospetti. In quella telefonata, Lavezzi chiedeva a Mazzoni informazioni sull’apertura in Svizzera di un conto corrente in favore di un altro calciatore. Da questo scambio di battute i pm Danilo De Simone, Stefano Capuano e Vincenzo Ranieri, coordinati dal procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli, sono risaliti alle presunte anomalie fiscali nascoste dietro ai “contratti di acquisto dei diritti delle prestazioni sportive dei calciatori”.  In altre parole: il calciomercato. 

Gli inquirenti hanno iniziato a scavare intorno alle operazioni effettuate da Mazzoni, per poi   allargare il cerchio d’indagine: quelle irregolarità apparivano “il modus operandi adottato su scala nazionale” dalle società calcistiche, tanto di serie A quanto di serie B e Lega Pro.

Così l’operazione “Fuorigioco” è entrata nel vivo: su richiesta della Procura e su disposizione del giudice per le indagini preliminari Luisa Toscano, la Guardia di Finanza ha eseguito perquisizioni e sequestri nelle sedi delle principali società, in tutta Italia. Dall’Atalanta al Milan, dal Palermo alla Fiorentina, sono 35 i club coinvolti. I beni sequestrati ammontano a un valore complessivo di 12 milioni di euro, somma equivalente a quella sottratta, secondo i pm, alle casse dello Stato.

I reati contestati, che sarebbero stati commessi nel periodo compreso tra il 2009 e il 2013, sono  evasione fiscale e false fatturazioni. Gli indagati sono in tutto 64 e, tra loro, figurano anche dirigenti, calciatori e procuratori delle più importanti squadre di calcio: dall’amministratore delegato del Milan Adriano Galliani, al presidente del Napoli Calcio Aurelio De Laurentiis, a quello della Lazio Claudio Lotito, fino all’ex dirigente della Juventus Jean-Claude Blanc. Tra i giocatori indagati, oltre a Lavezzi, anche Hernan Crespo e Adrian Mutu. Tra i procuratori, invece, spunta il nome di Alessandro Moggi, figlio di Luciano.

Secondo l’accusa, gli indagati avrebbero costituito “un radicato sistema finalizzato a evadere le imposte”. In particolare, il meccanismo fraudolento da loro escogitato avrebbe funzionato nelle operazioni commerciali per la compravendita dei calciatori. I procuratori, cioè, fatturavano ai club le loro prestazioni, facendo finta che l’opera d’intermediazione compiuta nel corso delle trattative fosse resa nell’interesse esclusivo di questi ultimi. In realtà, gli agenti agivano per tutelare gli interessi degli atleti assistiti e per far ottenere loro le migliori condizioni contrattuali. Secondo la legge italiana, il procuratore deve agire nell’interesse di una sola parte (quella da cui è pure retribuito) quando presta la sua opera professionale. Eppure, nelle contrattazioni finite nel mirino dei pm napoletani, i ruoli venivano ribaltati fittiziamente: il destinatario del servizio prestato diventava la società, invece che il calciatore.

In questo modo, i club avrebbero ottenuto l’indebito vantaggio di poter dedurre dal reddito imponibile le parcelle pagate ai procuratori, beneficiando della detrazione dell’imposta sul valore aggiunto. I calciatori, dal canto loro, evitavano di sborsare il compenso del procuratore, spesa che peraltro non può essere dedotta dalle persone fisiche, e aggiravano l’obbligo di dichiarare il “fringe benefit” ricevuto dalla società, che si era accollata il costo dell’intermediazione. Di norma, infatti, l’importo pagato dai club avrebbe dovuto essere denunciato come un reddito da imputare al calciatore, ma, così agendo, le società omettevano il pagamento delle ritenute fiscali e previdenziali sul maggior reddito ascrivibile all’atleta. In altre parole, spendevano meno retribuendo direttamente l’agente, piuttosto che pagando il lordo dello stipendio al giocatore. Peccato, però, che negli ambienti sportivi e, tramite la stampa, anche nell'opinione pubblica non fosse un mistero per nessuno che quei procuratori erano agenti personali dei calciatori.

Per mascherare le manovre fiscali - come spiegano sempre gli inquirenti - gli indagati adoperavano cinque metodi diversi. Innanzitutto, c’era il gruppo di procuratori che, pur stipulando contratto regolare con la società sportiva, operava nei fatti a vantaggio dei calciatori: gli stessi con cui avrebbero dovuto mediare per conto del club che, in teoria, rappresentavano. A prova di questo ci sono “evidenze pubbliche”, come le dichiarazioni rese dai medesimi agenti, e il fatto che questi ultimi abbiano continuato a curare gli interessi dei calciatori anche dopo un’eventuale cambio di squadra. In un secondo gruppo di casi, invece, i procuratori agivano formalmente e in concreto per conto dei calciatori, ma erano remunerati dai club. A testimoniarlo ci sono sia le fatture sia una serie di “promesse di pagamento”, cioè “strumenti funzionali a vincolare il corrispettivo a una prestazione che però non ha trovato riflesso corrispondente contabile in fattura”. E allora, sostengono i pm, delle due l’una: o ci siano stati “pagamenti in nero” (e, quindi, anche la pre-costituzione di fondi neri a cui attingere) o s’è verificata “la necessità di formalizzare contabilmente una prestazione fittizia” per poter liquidare “il corrispettivo dovuto”.

Ma c’era anche un terzo metodo. Talvolta gli agenti operavano con regolare contratto tanto per i club quanto per i giocatori, violando così la normativa federale sportiva. Il Regolamento per gli agenti dei calciatori del marzo 2011, infatti, vieta di assumere posizioni in conflitto d’interessi. Allo stesso modo, in un quarto gruppo di ipotesi, i procuratori agivano per entrambe le parti, ma affidavano i mandati con la società a soggetti terzi con cui erano legati da partnership professionale. Infine, c’era chi adottava questo identico stratagemma, sempre ricorrendo a partner professionali, ma stipulava mandati con tutte e due le società, di volta in volta coinvolte nell’operazione di trasferimento o di compravendita dei calciatori.

Insieme alle perquisizioni e ai sequestri, la Guardia di Finanza ha notificato anche l’avviso di chiusura indagini. Ma dalla Procura partenopea non si esclude che l’inchiesta possa allargarsi ad altre annualità e ad altre società, qualora si ravvisassero ulteriori irregolarità. Le indagini che hanno portato alle misure di questa mattina, comunque, nascono nel 2012. All’epoca, la Guardia di Finanza si presentò nelle sedi del Napoli e della Figc per acquisire i contratti di Lavezzi, ceduto dal Napoli al Paris Saint Germain, e dell’attaccante argentino Cristian Chavez. Mesi dopo, i militari si sono presentati nelle sedi di una quarantina di società calcistiche per acquisire documentazione aggiuntiva. Gli investigatori hanno così descritto il dilagare di un “fenomeno generalizzato”: a fronte della “progressiva ed esasperata” lievitazione degli oneri relativi agli ingaggi dei calciatori, i club avrebbero cercato di rimediare a una situazione di squilibrio economico-finanziario ricorrendo a espedienti gestionali e commettendo una serie di illeciti fiscali.

Nella ricostruzione della Procura, peraltro, si legge anche di tentativi di portare in paradisi fiscali i propri guadagni da parte di calciatori, intermediari e dirigenti. L’attenzione si è concentrata soprattutto sulla triangolazione di affari creatasi tra Lavezzi, Moggi e Mazzoni: calciatori e procuratori, grazie a documenti falsi e attraverso l’interposizione di società-schermo, avrebbero delocalizzato i proventi derivanti dalle loro attività professionali. In questo modo, avrebbero sottratto i compensi percepiti sia alle pretese erariali italiane, visto che il nostro era il Paese di produzione del reddito, sia a quelle dello Stato di residenza fiscale, ossia l’Argentina.