Domenica 11 maggio due appuntamenti da non perdere al Salone del libro. Con il fondatore dell'Espresso e di Repubblica per parlare del "Racconto autobiografico" e dei suoi primi 90 anni. E con il ministro della Giustizia per  discutere dei problemi dei tribunali italiani

A maggio i “Dialoghi dell’Espresso” approdano a Torino con due importanti eventi nella medesima giornata, entrambi ospitati dal Salone del Libro, la grande manifestazione che l’anno scorso ha visto accorrere nei padiglioni dell’ex stabilimento Fiat del Lingotto, ristrutturato da Renzo Piano, ben 330 mila visitatori.

TUTTI GLI INCONTRI DEI DIALOGHI DELL'ESPRESSO IN GIRO PER L'ITALIA

Domenica 11, alle ore 18, appuntamento da non perdere nella Sala Gialla: il direttore dell’“Espresso”, Bruno Manfellotto, colloquierà con Eugenio Scalfari, fondatore del settimanale e del quotidiano “la Repubblica”. Il dialogo prenderà lo spunto dalla recente pubblicazione, presso Einaudi, del “Racconto autobiografico” nel quale il grande giornalista e maître à penser narra della sua famiglia di provenienza, dell’infanzia a Civitavecchia, del liceo di Sanremo e dell’amicizia con Italo Calvino, dei suoi inizi come funzionario di banca e dell’aiuto che gli diede il mitico Raffaele Mattioli, presidente della Comit, quando decise, con Arrigo Benedetti, di fondare “L’Espresso”. E poi, ancora, del legame con Mario Pannunzio e delle ragioni che li spinsero su spiagge diverse, della lunga e profonda intesa con Carlo Caracciolo, della fondazione di “Repubblica” e dei primi, difficili anni del quotidiano. L’incontro con Scalfari sarà quindi una chiacchierata a tutto campo, un approfondimento a 360 gradi su personaggi, affetti e passioni che hanno accompagnato i primi novant’anni della vita di un protagonista della storia del giornalismo italiano ma anche della storia d’Italia tout court.

Qualche ora prima, alle 12,30, e stavolta nella Sala dei 500, un altro confronto, “Se questa è giustizia”, affronterà una delle grandi emergenze italiane. Quello della giustizia in Italia è un sistema malato a detta di tutti gli addetti ai lavori e pure di tutti i cittadini (milioni) che ne hanno direttamente fatto le spese o che sono minimamente informati. Purtroppo i cambiamenti indispensabili per garantire al pianeta giustizia efficienza e rispetto della gente non sono ancora arrivati perché si sono persi anni a discutere di pseudo riforme “ad personam”, oppure di amnistie e indulti che sono stati somministrati come farmaci sintomatici invece di rappresentare, semmai, la sferzata finale a conclusione di un processo di radicali cure riformatrici.
Introdotti dal direttore del nostro settimanale, gli esperti di altissimo livello che parteciperanno al dibattito verranno “moderati” da due giornalisti dell’“Espresso”: l’inviato Lirio Abbate (ha seguito tutti i principali processi su mafia e criminalità organizzata degli ultimi anni e sui medesimi argomenti ha pubblicato numerosi libri) e il caporedattore Gianluca Di Feo (autore fra l’altro de “I gattopardi”, libro-intervista con il magistrato antimafia Raffaele Cantone, da anni costretto a vivere sotto scorta).

Del panel chiamato a discutere sui problemi giudiziari farà parte innanzitutto il Guardasigilli del governo Renzi, Andrea Orlando, esponente di punta dei “giovani turchi” del Pd ed ex ministro dell’Ambiente. Accanto a lui siederà Carlo Federico Grosso, docente emerito di Diritto penale ed ex vicepresidente del Csm, che come avvocato ha calcato le scene di processi quali quello di Cogne, quello per la strage di Bologna, quello per il crack Parmalat. Interverranno inoltre Giancarlo De Cataldo, magistrato ma anche sceneggiatore e scrittore (suo, fra l’altro, quel “Romanzo criminale” sulla storia della Banda della Magliana che ebbe grandissimo successo anche nella trasposizione cinematografica), e Franco Roberti, Procuratore nazionale Antimafia e in precedenza coordinatore della Direzione distrettuale Antimafia di Napoli (dove seguì tra gli altri i procedimenti contro gli stragisti del “clan dei casalesi”, conclusisi con numerosissime condanne) e Procuratore della Repubblica a Salerno.

Il dibattito seguirà piu fronti, anche tenendo conto delle esperienze e delle “sensibilità” degli interlocutori. Il magistrato Franco Roberti ha in mano tutte le carte per affrontare al meglio, ad esempio, uno dei capitoli più scottanti: vanno o meno regolamentate le intercettazioni e, nel caso, con quali criteri? I ruoli ricoperti dal magistrato napoletano ne hanno fatto un esperto autorevolissimo dell’importanza delle intercettazioni nella lotta alla mafia e di quali provvedimenti servirebbero per rendere questo strumento più incisivo. Ma anche altre questioni, come i problemi connessi alle nuove norme sull’autoriciclaggio o quelli legati alla gestione dei beni confiscati alle cosche, potranno venire messi a fuoco nel migliore dei modi sulla base delle molteplici esperienze d’indagine di Roberti.

Con il ministro Orlando e con Grosso è inevitabile che balzino in primo piano soprattutto le priorità nella riforma della giustizia, in particolare per quel che riguarda quella penale: come intervenire sull’eccesiva lunghezza dei processi, come smaltire l’arretrato mostruoso di fascicoli, quale spazio possono avere direttive come quelle stabilite a Roma - che limitano il numero di cause da mandare a giudizio, selezionandole secondo precisi criteri - o la “best practice” (la buona prassi che ha ottenuto i migliori risultati in alcune esperienze significative) sperimentata dalla Corte di Appello di Torino e che ha portato a una riduzione dei tempi della giustizia. In altre parole e in sintesi, gli esperti dovrebbero aiutarci a capire fino a che punto l’obbligatorietà dell’azione penale, che ha finora costituito un cardine del nostro sistema giudiziario, possa conciliarsi con l’efficienza processuale. E, dopo gli argomenti relativi a procedure e processi, dopo le sentenze, insomma, i due autorevoli uomini di legge non potranno sottrarsi dall’affrontare la questione della certezza della pena. Invocata da più parti politiche, richiesta dalla maggioranza dei cittadini, è conseguita in grado accettabile nell’attuale ordinamento? Oppure, che fare per evitare che troppi condannati riescano a sfruttare incongruenze o vuoti legislativi e a farla sostanzialmente franca?

Il contributo di De Cataldo, infine, oltre che sui temi già accennati, potrebbe concentrarsi sul racconto del “mestiere” di magistrato, sullo stress, le difficoltà, le frustrazioni spesso collegati all’esercizio di questo ruolo e in modo particolare sullo specifico logorìo che subiscono le toghe costrette per decenni a comportarsi da eroi nella lotta alla criminalità organizzata.