La seconda tappa calabrese dei nostri incontri itineranti negli atenei di tutta Italia. Con il ministro Lanzetta, i docenti dell'ateneo, i nostri giornalisti e gli imprenditori che combattono le cosche

Un incontro per parlare delle donne che resistono alla mafia, dell'importanza della cultura per contrastare il racket e del danno che ogni anno la 'ndrangheta e le altre forme di criminalità organizzata causano soprattutto al Sud. Sono questi i temi al centro del secondo appuntamento calabrese dei Dialoghi dell’Espresso, ospitato dall’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro e con ospiti docenti, giornasti dell'Espresso e il ministro degli Affari Regionali Maria Carmela Lanzetta.


Dopo i saluti di rito, l'incontro si è aperto con la testimonianza di Alessandra Cerreti, pm della Dda di Reggio Calabria: «La mafia è la negazione della cultura. La mafia vuole che la gente resti nell’ignoranza, dunque l’università è un avamposto antimafia, la gente si ribella solo se sa». Poi il pm ha introdotto il tema della figura delle donne all’interno dei sistemi mafiosi: «La donna è la persona che trasmette ai propri figli il vincolo mafioso. La cella base della ‘ndrangheta è la famiglia elementare (madri, figli...). Ci hanno abituato che la mafia è invincibile, perché è impossibile pensare che gli ‘ndranghetisti si accusino tra familiari. Questo è un falso mito però: si pensi ai collaboratori di giustizia che sono figlie di boss. Certo, affinché si crei un collaboratore di giustizia ci deve essere uno stato credibile. Se tutte le donne di mafia si ribellassero, la mafia sarebbe finita».

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Anche Lirio Abbate, inviato de l’Espresso e autore del libro “Fimmine Ribelli. Come le donne salveranno il Paese dalla ‘ndrangheta”, condivide il punto di vista di Cerreti: «Le donne sono una figura preponderante in ogni famiglia, anche in quella mafiosa. E finalmente sembra che le donne di mafia abbiano capito che devono collaborare con la giustizia. Un esmepio sono Maria Concetta Cacciola, Giuseppina Pesce, Rosa Ferraro e Simona Napoli».

Gianfrancesco Turano, inviato dell'Espresso, ricorda come nonostante la ‘ndrangheta sia un’organizzazione criminale ferocemente maschilista, già negli anni 70 Pier Paolo Pasolini dopo una sua visita in Calabria parlò di una società totalmente matriarcale.

Una volta preso il microfono, il Ministro degli Affari Regionali Maria Carmela Lanzetta ha invece voluto riassumere agli studenti la sua esperienza di sindaco del comune di Monasterace: «Appena insediata come sindaco trovai un comune distrutto. Mi resi immediatamente conto che era costruito su sale, sabbia e senza fondamenta. Questo per dire che in quel territorio si avvertiva fortemente l’assenza dello Stato. Partii con un’azione amministrativa forte, tenendo sempre ben in vista la Costituzione sulla mia scrivania, agganciandomi a tutte quelle strutture che mi potevano aiutare a diffondere la conoscenza delle regole. La più grande difficoltà nella quale si può trovare un sindaco in quel territorio è capire quale sono le richieste mafiose, perché queste non sempre sono dirette e trasparenti».

Alla domanda di Abbate sul perché dopo le sue dimissioni nessuno sia intervenuto per chiederle di ripensarci e di restare, l’ex primo cittadino ha risposto in maniera sintetica ma efficace: «Quando ho annunciato le dimissioni da sindaco non è venuto nessuno a dirmi di restare al mio posto, forse perché se ne stava andando un sindaco scomodo che denunciava la mafia a voce alta».

Il professore di Storia e dinamiche della mafia Tano Grasso si riallaccia alla denuncia del ministro, sostenendo che per affrontare e sconfiggere la mafia basterebbe che la volonta delle classi dirigenti: «La mafia esiste, non per via dei criminali, ma perché le classi dirigenti ne condividono gli affari. Il vero buco nero della Calabria è rappresentato dalla selezione della classe politica».

Dopo le parole di Grasso interviene una studentessa per sottolineare come sul territorio sia proprio quel vuoto lasciato dallo Stato e dalle istituzioni a portare i cittadini a giustificare, sopportare e alle volte ad appoggiarsi ad altri poteri non sempre leciti: «Queste conferenze sono utilissime, ma chiedo a voi cosa dovremmo fare noi cittadini quando entriamo in un ospedale nella nostra regione e, per prenotare una visita ci viene detto che dobbiamo aspettare sei mesi. È in quel momento che si va a bussare alla porta di qualcun altro per ottenere ciò che ci spetterebbe di diritto».

A chiusura dell'incontro Bruno Manfellotto, direttore dell'Espresso, invita gli studenti a riflettere su alcuni dati riportati dall’ex Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino Giancarlo Caselli durante l’incontro dei Dialoghi di Cosenza: «Il Censis ci dice che le criminalità organizzate hanno un costo economico di 7 miliardi di euro all’anno. Il costo in termini di posti di lavoro rubati è di 185 mila. Gli universitari si devono rendere conto di cosa significa la criminalità, ma soprattutto devono rendersi conto del costo sociale che le attività criminali comportano nella vita di ogni cittadino. Ecco perché tutti i sistemi e i mezzi che si posso trovare per opporsi alle mafie vanno perseguiti. E La presenza di tanti giovani pronti ad ascoltarci qui oggi, mi fa rendere conto che c’è voglia di cambiare».