La seconda tappa degli incontri itineranti dell'Espresso, con tre esponenti della magistratura impegnati nella lotta alla criminalità organizzata. Per ricordare come la cultura costituisca la principale forma di resistenza

Dopo la tappa di esordio a Napoli, i Dialoghi dell'Espresso approdano in Calabria, con due incontri con gli studenti delle università di Cosenza e Catanzaro per parlare di mafie, istituzioni e poteri forti.

Il primo incontro a Cosenza, nell'aula Umberto Caldora dell'Università della Calabria, si tiene di fronte a una platea piena di studenti. Il direttore de L'Espresso Bruno Manfellotto, dopo i ringraziamenti di rito al Rettore Gino Mirocle Crisci, passa subito a illustrare i motivi che hanno portato il nostro giornale a fissare due appuntamenti dei Dialoghi a poco più di cento chilometri l’uno dall’altro. «Pensavo, venendo in una città del Sud, alle grandi scommesse sociali che il paese ha attraversato negli ultimi due secoli. Pensate a quante piaghe sociali sono state affrontate: salute, lavoro, istruzione, diritti civili, grandi conquiste per le quali tante generazioni si sono impegnate. Il tema della criminalità non è stato affrontato adeguatamente, non si è riusciti a portare a casa il risultato. La criminalità ha cambiato pelle, ha conquistato altri territori. Questa battaglia non l'abbiamo ancora vinta ecco perché siamo qui».

TUTTI GLI APPUNTAMENTI DEI DIALOGHI DELL'ESPRESSO

Dopo Manfellotto segue l’intervento del professore Franco Altimari, direttore del dipartimento di Lingue e scienze dell’educazione: «L'università è il luogo dove si formano le coscienze critiche non le coscienze passive. In questa terra difficile è nostro obbligo contribuire a creare una coscienza diffusa del problema».

Sono invece segnate dalla commozone le parole del docente Unical Giancarlo Costabile che si rivolge direttamente agli studenti per un commento sintetico ma partecipato: «Spesso quando facciamo università legittimiamo una grammatica astratta ed estranea ai problemi dei giovani. Abbiamo avuto una pedagogia complice, abbiamo inventato gli “uomini struzzo”, che nascondono la testa sotto terra e vivono nell'omertà. Bisogna parlare di educazione nel significato più profondo, cioè nel senso di liberazione».


Lirio Abbate, inviato de l’Espresso, prende la parola per proporre un gioco: «Oggi vi facciamo vedere come nasce un numero de L’Espresso» e spiega ai ragazzi che solo attraverso lunghe riunioni e discussioni si può alla fine arrivare a trovare quegli input che servono per trovare delle soluzioni. Poi, quasi a completare l’introduzione del direttore, aggiunge: «La Calabria è l'unica regione in cui l'Espresso fa due tappe nelle università. Domani saremo a Catanzaro perché crediamo che in una regione come la vostra l'impegno culturale sia l'arma migliore per contrastare il fenomeno della criminalità». Ribadendo l’importanza della cultura nella lotta alla criminalità organizzata Arcangelo Badolati, direttore scientifico del laboratorio di Resistenza Antimafia e giornalista della “Gazzetta del Sud”, ricorda che quando frequentava l’università non aveva la fortuna di avere professori interessati al tema: «Se la Calabria è nelle condizioni in cui si trova è perché non siamo stati abbastanza forti».

L’università e la cultura sono elementi centrali nella lotta alle mafie anche per Gianfrancesco Turano, inviato de l’Espresso e nato a Reggio Calabria, che ribadisce la centralità dell’università nel processo che potrebbe portare ad un reale cambiamento: «E' importantissimo per noi calabresi avere questa università come punto di appoggio. Perché senza di esso noi questo mondo non riusciremo a sollevarlo mai».

E’ poi il turno dell’ex Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino Giancarlo Caselli, che esordisce ammonendo gli studenti a non fidarsi troppo di quanto dirà: «Ricordatevi che stiamo parlando di problemi molto complessi, mafia, legalità, massoneria. E' proprio perché si tratta di questioni complesse che esistono opinioni diverse, la mia è solo una di queste». Poi, entrando nel vivo del dibattito, «La mafia non è solo un problema di crimini commessi, ma è anche questione sociale, economica. E' un impoverimento che viene causato a danno dalla società».

A sostegno di quanto detto, passa dalle parole ai numeri ricordando come da una ricerca del Censis di qualche anno fa si comprende bene come le mafie zavorrano lo sviluppo dell'economia nel Mezzogiorno: «Le cifre sono spaventose, il Censis parla di 7 miliardi di euro in meno. A causa delle mafie ogni anno si perdono 180 mila posti di lavoro regolari. Una rapina di futuro ad esclusivo vantaggio dei mafiosi».

L’ex Procuratore aggiunto di Catanzaro Giuseppe Borrelli, appena insediato alla procura di Napoli come Procuratore aggiunto, prende la parola per la sua testimonianza. «Nel litorale Tirrenico, il contrasto alla 'ndrangheta si combatte con il solo commissariato di Paola. Per il resto, in 130 chilometri, non c'è alcuna presenza della polizia di Stato. Ci sono due compagnie dei Carabinieri (Scalea e Paola) con soli 10 uomini. Allora dopo quello che si è verificato a Scalea non è stato rafforzato l'apparato investigativo, nessun intervento in questa direzione e lo stesso accade a Lamezia Terme dove, durante un procedimento di 416bis, il processo è stato sospeso perché il tribunale non aveva le gabbie. Anche da qui nasce la sfiducia nelle istituzioni. Le indagini svolte da noi in questi anni hanno confermato quello che è successo. Una commistione tra soggetti criminali che comandavano e si relazionavano all'imprenditoria e alle istituzioni nelle parti politiche e ad altre parti della società, la cosa strana è che se un magistrato si occupa di un politico colluso con la mafia diventa il magistrato il problema. Questo accade solo in Italia».

Lirio Abbate chiude infine tra gli applausi degli studenti: «I tre magistrati che avete ascoltato oggi sono tre esempi da imitare. Le regole vanno sempre rispettate. Chi butta le bombe non è per le regole. Chi va contro la magistratura non è per le regole. Bisogna essere sempre riconoscenti alla magistratura, non solo quando qualcuno finisce in carcere».