La titolare del dicastero per gli Affari Regionali sarà ospite dell'appuntamento organizzato dall'Espresso a Catanzaro il 27 marzo. Per parlare delle donne che combattono la criminalità organizzata
Per sette anni prima cittadina di Monasterace, comune calabrese ad alta intensità di boss, Maria Carmela Lanzetta, attuale ministro per gli Affari regionali, non ha fatto sconti alla criminalità organizzata e ha subìto dalle cosche minacce e attentati. L’abbiamo intervistata alla vigilia del Dialogo de “L’Espresso” al quale parteciperà, a Catanzaro.
Negli ultimi tempi vi sono stati diversi casi di “pentitismo” tra donne imparentate con mafiosi. Mogli, figlie o sorelle degli “uomini d’onore” possono diventare l’anello debole?«Non c’è dubbio che il “pentitismo”, a cominciare da quello maschile, abbia contribuito soprattutto ad abbattere il mito della mafia, che però non è stata sconfitta se ancora oggi siamo qui a parlarne. In questi ultimi anni si sono moltiplicate anche le storie di donne che hanno deciso di spezzare le loro catene di appartenenza, contribuendo a rompere il muro di silenzio che troppo spesso circonda la criminalità organizzata. Le loro scelte rappresentano una vera minaccia per il sistema mafioso e sono servite in primo luogo a infondere fiducia nella società civile, a risvegliare le coscienze di cittadini, dei giovani in particolare. Ma come sappiamo la mafia ha una grande capacità di rigenerarsi, soprattutto nel periodo di crisi economica che sta attraversando ancora l’Italia. Lo Stato quindi deve saper cogliere gli effetti positivi nati dal risveglio delle coscienze delle donne che hanno scelto di uscire dalla logica mafiosa, perché il loro sacrificio non sia vano».
Quali sono i maggiori e specifici problemi che un pubblico amministratore si trova ad affrontare operando in un ambiente dominato dalle mafie?«I sindaci, gli amministratori locali sono coloro che per primi si trovano a fronteggiare la criminalità organizzata. Per loro, e penso in particolare ai piccoli comuni, ogni decisione, ogni scelta - dagli appalti alla gestione della quotidianità - diventa complessa in un luogo inquinato dalle mafie. A volte fare il sindaco, da “mestiere più bello del mondo” è diventato il più pericoloso. Basta ricordare le centinaia di intimidazioni subite dai nostri amministratori, o l’omicidio del sindaco di Pollica Angelo Vassallo, ucciso in un attentato di stampo camorristico il 5 settembre del 2010».
L’amministratore locale può contare su un adeguato sostegno dello Stato?«Spesso i nostri amministratori non hanno gli strumenti o i mezzi necessari per fronteggiare la situazione, perché per combattere e sradicare davvero questi fenomeni che si diffondono in profondità, occorre un’azione coordinata che veda coinvolti tutti gli attori, dalle forze dell’ordine alle scuole, dove si educano le coscienze dei nostri ragazzi. Ecco perché è giusto che chiedano l’aiuto dello Stato, per esempio la collaborazione delle Prefetture, anche per le scelte politico-amministrative che intendono fare. I nostri comuni sono l’avamposto della battaglia per la legalità. Da ministro vorrei portare avanti la loro lotta quotidiana, trovando modi concreti per sostenerli di più e aiutarli a liberare i loro, i nostri territori dalla rete della criminalità organizzata che soffoca la crescita economica, così come la possibilità di costruire un futuro, di progettare il domani».