M. V. Lee Badgett ha dimostrato come per decenni la ricchezza delle nazioni sia stata decelerata dal perdurare di stigmi e stereotipi

Combattere le discriminazioni nei confronti delle persone Lgbt+ non è solo un fatto morale. Tra le vittime dell’omobitransfobia, che svilisce abilità e talenti, ci sono anche le nostre industrie, il nostro benessere materiale, le nostre tasche. Lo sostiene il libro “Economia Queer. Perché i diritti civili sono un vantaggio per tutti (Il Saggiatore)”, autrice l’economista americana M. V. Lee Badgett. Elaborando una gran mole di ricerche internazionali, molte delle quali svolte in prima persona, dimostra come i pregiudizi verso lesbiche, gay, bisessuali, transgender e chiunque non si riconosce nell’identità di genere danneggino e zavorrino l’economia generale. Per decenni la ricchezza delle nazioni è stata insomma decelerata dal perdurare di stigmi e stereotipi. Ne abbiamo perso per strada, di Pil, a forza di escludere o emarginare le minoranze sessuali.

«Negli ultimi trent’anni ho analizzato i salari, il livello occupazionale, la povertà, le politiche pubbliche, scoprendo che le persone Lgbt+ vanno incontro a risultati diseguali rispetto a quelle eterosessuali», scrive Badgett. La sua missione si è intensificata quando la Banca mondiale l’ha invitata a stimare il contraccolpo di omofobia e transfobia sulle economie nazionali. Un impegno portato avanti con le agenzie per lo sviluppo, gli attivisti e, perché no, con chi ha intuito che essere “Lgbt+ friendly” conviene. Ai propri affari. A prescindere dalla ghiotta nicchia di mercato. È il cosiddetto «argomento aziendale». «Le persone Lgbt+ sono più sane e produttive quando sono impiegate in luoghi di lavoro solidali. Le aziende che hanno politiche egualitarie rendono meglio delle aziende che non le hanno». Macinano più profitti. Ecco perché quasi tutte le grandi multinazionali hanno deciso «di aggiungere volontariamente l’orientamento sessuale alla loro politica societaria di non discriminazione». Performance finanziarie splendenti come l’arcobaleno Pride, sorrette dal segno più del prezzo delle azioni, mentre «la produzione nazionale di beni e servizi è significativamente più alta nei Paesi che concedono maggiori diritti alle persone Lgbt+».

Badgett quantifica, per esempio, che l’India abbia perso fino all’uno per cento del prodotto interno lordo per la sua omofobia e transfobia. Allargando le analisi di Kees Waaldijk, artefice dell’indice di otto leggi Lgbt+ (il Gilrho), ha inoltre appurato come la misura dei diritti Lgbt+ sia «correlata positivamente al Pil pro capite a livello globale, con un aumento di 2065 dollari a persona per ogni diritto associato». Macroeconomia e inclusione Lgbt+ sempre più interconnessi. La chiave di volta si chiama «modernizzazione strategica». «I Paesi potrebbero adottare politiche a favore delle persone Lgbt+ per dimostrare alle persone di altri Paesi di essere partner commerciali evoluti e luoghi in cui investire e da andare a visitare». Restano però le leggi persecutorie in varie parti del pianeta, dall’Africa all’Asia; il bullismo a scuola, il mobbing e le molestie sul posto di lavoro; l’accesso parziale al sistema della salute; le diseguaglianze (tra l’altro recessive) intorno all’istituzione matrimoniale. La posta in gioco è alta: diritti umani e ragioni economiche insieme. Senza abbassare mai la guardia: «i cambiamenti nella politica possono rapidamente invertire i risultati raggiunti, come ha dimostrato l’amministrazione di Donald Trump che ha revocato i diritti per le persone transgender nelle scuole, nel sistema sanitario e nelle forze armate».