L’industria del falso in mano alla camorra toglie importanti risorse economiche al Club. Mentre gli ultras contestatori di De Laurentiis invitano a non abbonarsi. E costringono il club alle plusvalenze da cessione

Il sosia di Viktor Osimhen, conto bancario escluso, distribuisce volantini pubblicitari nei dintorni della Pescheria azzurra in via Portamedina. Il ragazzo sembra pronto per il match, compresa la mascherina VO9 che è diventata il marchio di fabbrica del centravanti nigeriano. La divisa, nemmeno a dirlo, è interamente falsa. Come si dice a Napoli, pezzotta.

 

Se si continua a scendere verso via Toledo, il pezzotto domina anche in Largo Maradona dove campeggia il murale dedicato al Pibe de Oro. Fiumi di turisti che si accalcano per i vicoli dei Quartieri Spagnoli comprano senza porsi il problema dei ricavi da merchandising che affliggono Aurelio De Laurentiis. Il presidente del club azzurro ha più volte lamentato l’impossibilità di ricondurre negli argini della legge una voce del bilancio che ad altri club italiani ed europei porta in cassa decine, se non centinaia di milioni di euro.

 

Inutile cercare la Ssc Napoli nella top ten dell’ultima classifica pubblicata da Statista dove domina il Bayern Monaco con 3,25 milioni di magliette vendute, più del doppio della Juventus quinta classificata e prima delle italiane.

 

Non è certo mancanza di passione. I gadget dei campioni spopolano fra chi ha partecipato alla festa infinita per il terzo scudetto, iniziata di fatto a marzo e rinviata a dopo il match del 30 aprile contro la Salernitana, con hotel, bed and breakfast, ristoranti strapieni.

 

La vendita di sciarpe e magliette ingrossa il fiume di soldi che in larga parte prende la strada dei clan camorristici Mazzarella o dell’Alleanza di Secondigliano, padroni della contraffazione, e che rende lo scudetto a Napoli molto meno redditizio che altrove.

 

Sebbene la Guardia di finanza continui a sequestrare prodotti taroccati, il territorio da controllare è sterminato. Ci sono stati blitz a Scampia e nei laboratori abusivi nel centro storico, al Mercato e a Fuorigrotta, il quartiere dello stadio San Paolo. Ma le officine dei falsari sono state localizzate anche fuori città, a Sorrento, a Portici, a Gragnano e perfino nell’isola di Ischia.

 

La questione del merchandising è uno dei motivi di scontro tra De Laurentiis e gli ultras. Lo scudetto è da considerare una semplice tregua a questo antagonismo. Le frange criminali del tifo organizzato non intendono rinunciare ai traffici del pezzotto grazie a un’infiltrazione delle curve che, va detto, è una costante nelle maggiori piazze calcistiche italiane da nord a sud.

 

A Napoli la stessa “quinta mafia” che prospera grazie alle merci false è in prima linea nelle contestazioni alla società che il produttore cinematografico nato a Roma ha rilevato dal fallimento nel 2004. Non è infrequente vedere per le strade di Napoli scritte come “no agli abbonamenti” o “tesserati mai”. Semplici slogan? Solide realtà: gli azzurri hanno 12 mila abbonati a fronte degli oltre 40 mila a testa delle due milanesi, dei 15 mila della Sampdoria avviata verso la retrocessione e dei clamorosi 19.948 del Lecce, che gioca in una città di 100 mila abitanti.

 

Come beffa ulteriore, De Laurentiis è accusato di non investire abbastanza proprio da quelli che depauperano il club e ne pregiudicano le possibilità di spesa. Del resto, per uno dei paradossi più sbalorditivi del calcio italiano, la vittoria in campionato procura meno soldi della retrocessione. Dati alla mano, la Lega di serie A mette a disposizione dei campioni d’Italia per la stagione 2022-2023 un premio di 23,4 milioni. Una squadra che va in B dopo avere giocato almeno tre stagioni in A nell’ultimo quadriennio incassa 25 milioni di euro dal cosiddetto paracadute. Anche se lo scudetto porta altri 10 milioni di euro dall’Uefa, la federazione europea, il confronto con i campionati continentali è mortificante.

 

La Bundesliga tedesca, unico torneo importante d’Europa a 18 squadre, destina ai vincitori del Meisterschale 76,5 milioni di euro. In Francia il titolo nazionale vale 60 milioni di euro, un paio di milioni in meno di quanto prenderà il Barcellona campione di Spagna. La ricchissima Premier league è relativamente meno generosa con un premio di 44 milioni di sterline (circa 50 milioni di euro).

 

La Ssc Napoli potrà consolarsi con una contabilità in equilibrio. Nei diciotto esercizi dal 2004-2005 al 2021-2022 la società ha chiuso in perdita per otto volte, inclusi i tre bilanci in rosso della pandemia. L’aggregato generale dei conti economici è in negativo per 1,3 milioni di euro, una cifra residuale per una squadra di serie A tanto che l’estate scorsa c’era chi indicava nel Napoli l’affare più conveniente per eventuali investimenti di fondi, sceicchi e oligarchi.

 

Sotto l’aspetto patrimoniale la rosa dei calciatori si è rivalutata fino a un totale stimato in 629 milioni di euro dal sito Transfermarkt, utilizzato come parametro anche dai giudici nei processi sportivi sulle plusvalenze. Il club azzurro ha superato Inter e Milan al primo posto in serie A.

 

Gli incrementi più rilevanti riguardano il coreano Kim, preso l’anno scorso a 20 milioni e oggi valutato 50, lo slovacco Lobotka, da 24 a 38 milioni, il polacco Zielinski, da 15 a 40 milioni. In cima alla classifica della crescita ci sono Osimhen e Kvaratshkelia. Il georgiano acquistato dal ds Cristiano Giuntoli per 11,5 milioni di euro oggi ne vale 85. L’attaccante nigeriano è quotato 100 milioni da Transfermarkt. De Laurentiis non sarebbe d’accordo. Per cedere l’uomo mascherato ai club inglesi interessati vuole 170 milioni di euro. Ha già venduto al Chelsea Jorginho e Koulibaly. Potrebbe rifarlo. Se c’è una cosa che interessa relativamente al presidente degli azzurri è la popolarità sulla piazza di Napoli. Finché vince in campo e tiene a posto i conti, ha ragione lui.