L’edizione appena conclusa dell’evento di Torino, l’ultima diretta da Nicola Lagioia, è stata scandita da contestazioni, polemiche, solidarietà, tifoserie. Prova generale di un conflitto tra visioni del mondo di destra e di sinistra

«Com’è andata? Bene, si sono incazzati tutti!», ha detto al telefono Nicola Lagioia, direttore del Salone internazionale di Torino, a Vittorio Sgarbi. Che non ha perso tempo per raccontarlo a tutti, in apertura dell’incontro su “Scoperte e Rivelazioni. Caccia al tesoro dell’arte”, edito da La nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi.

 

E se la sorella ha voluto inneggiare a Lagioia per la fine del suo settennato dedicandogli una divertente e affollata festa con tanto di concerto degli Extraliscio, Sgarbi senior, sceso dal palco, ne ha criticato l’equidistanza di fronte alle contestazioni della ministra Eugenia Roccella: «Non c’erano due parti in gioco. La parte qui è solo una, quella del libro. E il libro deve essere sempre libero. Non si censurano gli autori», ha detto. Tanto per aggiornare la polemica d’apertura del Salone: la richiesta di dimissioni del presidente degli editori Ricardo Franco Levi, commissario del governo per la Buchmesse, per aver disinvitato dalla fiera di Francoforte il fisico Carlo Rovelli.

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Giusto il tempo di ammettere la figuraccia che la parola censura ha ricominciato a circolare. E i corto circuiti hanno fatto saltare di continuo la corrente, come era prevedibile dall’istante in cui il presidente del Senato Ignazio La Russa, inaugurando il Salone, ha auspicato «contaminazione, assenza di steccati» ideologici: da Matteo Renzi contro il fascismo degli antifascisti al ministro della cultura Gennaro Sangiuliano che cita il pensiero di Piero Gobetti ma apprezza anche l’immagine dei “giornalisti poliziotti” del filosofo della destra radicale Alain de Benoist, autore di un libro con l’ideologo di Putin Alexander Dugin.

 

È stato un Salone più politico del previsto questo appena concluso: con le voci del dissenso di piazza decise a farsi sentire, dai ragazzi di Extinction Rebellion in gommone contro i disastri ambientali alle donne di Non una di meno fino al no vax che assalendo l’immunologa Antonella Viola ci ha riportati di colpo al cospetto di quel virus appena rimosso. Dal consigliere del ministro Francesco Giubilei che si rivolge a distanza ad Annalena Benini, dicendo di aspettarsi da lei, il prossimo anno, una direzione più pluralista di quella attuale, alla polemica culturale degli autori che protestano sulla scarsa considerazione del lavoro intellettuale nel nostro Paese: il sasso l’ha lanciato lo scrittore Vincenzo Latronico, ma la polemica ha circolato di incontro in incontro: solo noi, gli scrittori, non guadagniamo nulla, hanno detto in coro.

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Gli editori, al contrario, esultano: le vendite si sono moltiplicate per tutti, in questa trentacinquesima edizione del Salone che, tra record di biglietti staccati e disagi da pioggia incessante, ha mostrato anche i suoi limiti fisici: difficilmente potrà crescere oltre l’attuale capienza, nonostante lo sforzo di dilatarlo verso l’alto, con l’apertura di Pista 500 sul tetto del Lingotto.

 

«Il Salone non si lottizza», ripetono gli autori, e come non essere d’accordo. Ma gli spazi cambiano, le geometrie si ridefiniscono, tra attacchi e solidarietà, tra soliti noti e nuovi protagonisti, il Salone somiglia a un poligono che sta già curvando i suoi lati.

 

E questa edizione del Salone è stata la prova generale di uno scontro culturale a cui assisteremo sempre più spesso nei prossimi mesi: tra visioni del mondo di destra e di sinistra. E un’agorà allargata che ha ora, prima di tutto, il dovere di difendere le regole democratiche del confronto, non di promuovere hooligans della cultura.

 

«È responsabilità del poeta mettersi agli angoli delle strade e distribuire volantini scritti, è responsabilità del poeta entrare e uscire da torri d’avorio, bilocali sulla avenue e campi di grano saraceno e accampamenti militari, è responsabilità del poeta dire la verità al potente…», scandiva Grace Paley in “Piccoli contrattampi del vivere”, a proposito di onestà e libertà del lavoro intellettuale. E ha ragione lo scrittore Javier Cercas quando, sottolineando il bisogno di voci critiche nella società, ripete al Salone ciò che aveva anticipato all’Espresso: «La politica è troppo importante per lasciarla solo ai politici».

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Anche il libro è troppo importante per lasciarlo solo alla politica. E alle tifoserie.