Diciannove database condivisi con le forze dell’ordine di tutto il pianeta, l’aumento dei crimini informatici e finanziari, i successi e i rischi sull’uso politico della giustizia. Parla Jürgen Stock, segretario generale della superpolizia

Sono passati cento anni da quando a Vienna nasceva l’organizzazione internazionale della polizia criminale. Il suo nome è diventato Interpol grazie a un poliziotto italiano, Giuseppe Dosi. Nel 1923 nella capitale austriaca erano riuniti 20 Paesi, ma oggi la più grande associazione di polizia comprende praticamente ogni Stato del pianeta. A guidare da un decennio questa complessa e cruciale macchina della sicurezza globale c’è il tedesco Jürgen Stock, 64 anni, già numero due della polizia criminale della Germania. Da quando è stato eletto Segretario generale dell’Interpol nel 2014 (oggi è al suo secondo mandato) ha avviato cambiamenti radicali, puntando sull’innovazione, rafforzando la struttura, migliorando i servizi per gli agenti sul campo e riformando lo statuto. Ha anche istituito operazioni per combattere ogni tipologia di criminalità emergente e organizzata, senza dimenticare il focus sul terrorismo. Inoltre, l’anno scorso, ha fortemente voluto inaugurare il nuovo centro contro la corruzione e i crimini finanziari (Ifcacc) che ha già portato a sequestrare in pochi mesi 200 milioni di euro da proventi illeciti.

 

«Il nostro lavoro è diverso dalla versione cinematografica. Pochissime persone capiscono davvero cosa facciamo: questo è il nostro punto debole», confessa Stock a L’Espresso, appena rientrato da Abu Dhabi dove ha diretto il primo summit asiatico sulla sicurezza. Lo scorso 2 febbraio, il killer della ’ndrangheta Edgardo Greco, già condannato all’ergastolo e latitante dal 2006, è stato arrestato in Francia; la sua fuga durata 17 anni è terminata proprio grazie al progetto “I-Can” sviluppato dall’Interpol nel 2020 per dare la caccia ai membri della mafia più potente. «Stiamo registrando ottimi risultati in questo settore e in meno di 3 anni abbiamo già aiutato ad arrestare dozzine di fuggitivi in tutto il mondo», spiega il Segretario generale, sottolineando che l’Interpol «gode di ottimi rapporti con l’Italia: uno dei nostri partner più forti».

 

Ma l’I-Can rappresenta solamente la punta dell’iceberg dell’attività dell’organizzazione, che offre in tempo reale alle forze dell’ordine mondiali ben 19 diversi database, coprendo ogni possibile reato grazie a centinaia di milioni di dati investigativi. Lo strumento indubbiamente più potente è il cosiddetto notice o avviso internazionale. Ce ne sono di 8 tipi ma il più famoso è il red notice (avviso rosso), una sorta di mandato di cattura internazionale che ogni anno aiuta a localizzare e fermare migliaia di feroci criminali. «Attualmente ricerchiamo 70.000 soggetti da red noticies», rivela Stock. Tuttavia, numerose Ong hanno accusato lo strumento di essere controverso perché utilizzato anche per scopi politici. «Siamo pienamente consapevoli del potenziale impatto sulle persone interessate – si difende il numero uno dell’Interpol - ed è infatti imperativo che gli avvisi non vengano mai utilizzati per scopi non previsti. Inoltre, ho voluto creare una task force proprio per salvaguardare l’integrità del nostro sistema e garantire un giusto processo per ogni avviso». Riguardo lo storico arresto di Matteo Messina Denaro, Stock tiene a congratularsi con le autorità italiane e afferma che «non importa dove o per quanto tempo i criminali cerchino di eludere la giustizia: non verranno mai dimenticati dalle forze dell’ordine». Ma come è possibile scappare per un terzo di secolo? «Comprando il silenzio delle persone...». Una delle fondamenta chiave alla base del successo dell’Interpol è la condivisione delle informazioni tra i 195 Paesi membri.

 

«Recentemente, ad esempio, sono state le nostre informazioni condivise a consentire l’arresto di un cittadino afghano che stava attraversando illegalmente un confine europeo diretto in Italia. Le sue impronte erano state rilevate su un ordigno esplosivo 10 anni prima del suo arrivo alle frontiere Schengen e un avviso dell’Interpol ha portato il suo profilo da terrorista all’attenzione delle autorità nazionali», racconta Stock.

 

Nel 2016, è stato il primo capo dell’Interpol a intervenire all’Assemblea generale dell’Onu («un grandissimo onore»), lanciando un appello per una maggiore cooperazione transnazionale. «La criminalità – ragiona - non si ferma ai confini, ma, dato altrettanto importante, non inizia nemmeno lì. Uno dei miei obiettivi è portare la nostra organizzazione il più vicino possibile alla polizia per garantire che i funzionari possano accedere alle informazioni di cui hanno bisogno quando ne hanno bisogno e ovunque si trovino nel mondo».

 

Secondo Stock, oggi, tra le minacce all’architettura globale e i preoccupanti risvolti geopolitici, il ruolo unico dell’Interpol è più essenziale che mai. Tra i principali rischi del futuro il Segretario individua la criminalità informatica e finanziaria («in costante aumento»), con la corruzione che si aggiunge alla complessità dei problemi. La sfida più grande diventa quindi garantire ai Paesi con poche o nessuna risorsa di affrontare la nuova e vecchia illegalità: «È una grande ambizione, lo so, ma se abbiamo imparato qualcosa dagli ultimi cento anni, è che insieme possiamo farcela». Con un budget annuale di 150 milioni di euro e migliaia di dipendenti sparsi in tutto il mondo, l’organizzazione internazionale della polizia criminale affronta responsabilità sempre più vitali. «Ogni giorno – conclude Stock - l’Interpol lavora per rendere il mondo un posto più sicuro. Sono estremamente orgoglioso di farne parte».