La denuncia del portavoce italiano Riccardo Noury: «C’è un clima in atto che fomenta un accanimento verso le persone più vulnerabili»

«Sembra di essere tornati alla caserma di Bolzaneto, 22 anni fa» dice a L’Espresso Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia mentre commenta il caso dell'indagine sulle violenze compiute da alcuni poliziotti di Verona. Fotogrammi dell’orrore che a leggere le carte sulla vicenda di Verona ritornano: il sangue misto alla pipì. I racconti e le immagini di quei ragazzi messi nudi contro il muro in piedi, gambe divaricate, per ore. O delle ragazze umiliate e minacciate di stupro. Gli ordini: «Canta faccetta nera», «viva il Duce» e ancora gli urli della ragazza a cui fu strappato il piercing dal naso. Il reato di tortura all’epoca non c’era. Approvato solo nel 2017, oggi la destra al Governo vuole abolirlo. «C’è un clima», ripete Noury, «oggi chi è sempre stato contrario al reato di tortura è al governo».

 

Riccardo Noury: il caso della donna trans pestata dalla polizia locale di Milano, quello del carabinieri che prende a calci in testa un uomo arrestato e adesso Verona. Questi episodi cosa ci dicono?
«Che c’è accanimento nei confronti delle persone con vulnerabilità, in molti di questi casi c’è un’aggravante di odio razziale e questo rende il tutto ancora più inaccettabile. Si tratta in uno squilibrio di forze tra chi è indifeso e chi si ripara dietro una divisa, contando su un certo clima politico».

 

In che senso “un clima politico”?
«Non parlo soltanto di un certo atteggiamento nei confronti di persone vulnerabili, ma di un tentativo scivoloso di porre al centro del dibattito politico il tema del reato di tortura. Ne parla il ministro della Giustizia Carlo Nordio, ad esempio,ci sono proposte di legge di Fratelli d’Italia che dichiarano di voler “migliorare” la legge, in realtà la vogliono cancellare. Succede con l’aborto, succede con il reato di tortura. Questa è l’aria che si respira nei palazzi a Roma ed è qualcosa che scende nelle strade e nelle città». 


Come ricordava lei, in una lettera indirizzata a un sindacato autonomo di polizia prima del voto, Giorgia Meloni prometteva che una volta al Governo la destra avrebbe abolito il reato di tortura. Il disegno di Fdi vuole definire la tortura come un aggravante e non un reato riferibile in particolare modo ai pubblici ufficiali.
«Ci abbiamo messo 29 anni ad avere una legge che non è perfetta e rischiamo che in 29 giorni questa legge venga cancellata. La legge italiana prevede la tortura come reato comune, ma aggravato se commesso dal pubblico ufficiale, questo elemento già all’epoca era problematico. Ma, sa, all’epoca le associazioni per i diritti umani si sono detti: prendiamo questo testo anche se non è perfetto, ma non ci sono condizioni politiche. Adesso si vuole fare un passo indietro. Ufficialmente per adattare il testo italiano alla normativa internazionale mentre in realtà ha un intento neanche troppo mascherato di acuire».


Quali sono i rischi?
«Se si modifica il testo bisogna chiedersi cosa ne è dei processi in corso, se cambia la fattispecie è evidente che c’è un problema. Questa narrazione sulle modifiche e sulle migliorie nasconde altro. Quelli che per quasi 30 anni, dall’1989 al 2017, erano contrari al reato di tortura ora sono al Governo e hanno la maggioranza».


Ma non si potrebbe intervenire prima. Fare un lavoro di prevenzione?
«Il reato di tortura introdotto nel 2017 pecca anche di elementi sulla prevenzione. La tortura è uno dei più gravi crimini internazionali, non è tollerabile servirebbero delle condanne forti, unanime da chi è al potere in questo Paese. Il Presidente del Senato ha rilasciato ieri una dichiarazione cauta, va bene. Ma non basta una dichiarazione isolata. Non bisogna tentennare. Il che vuol dire che questo Governo deve porre fine anche ai tentativi di azzerare il reato di tortura. Altrimenti ci saranno mille Verona e non saranno punite».