I dati ufficiali dicono che c’è un animale domestico ogni 4 abitanti, ma altre stime dicono che sono in realtà più del doppio. E mentre il pet food vola, i servizi pubblici arrancano e c’è il rischio di un aumento di abbandoni a causa della crisi

Molto presto anche chi possiede un canarino o una tartaruga, un coniglietto o un criceto, un pesce rosso o una salamandra dovrà iscriverlo alla nuova anagrafe unica nazionale che sarà istituita, e poi aggiornata in tempo reale, dal Ministero della Salute.

 

Il decreto legislativo, che è già “in fase di emanazione”, contiene disposizioni per l’identificazione dei nostri amati pets e non solo. L’Italia deve adeguare la normativa al regolamento 429 dell’Unione Europea, varato nel 2016, per la prevenzione e il controllo delle malattie trasmissibili tra animali e, vedi Covid, dagli animali all'uomo. Lo schema del decreto prevede la registrazione di tutti gli animali da compagnia “commercializzati e detenuti”. Nuove regole in arrivo anche per l’anagrafe degli animali selvatici ed esotici tenuti in cattività. Sarà un importante cambio di rotta, perché fino a oggi non è possibile avere un’idea precisa di quanti siano gli animali che vivono nelle case degli italiani.

 

Con buona approssimazione si può dire però che questo è un Paese per cani. Anzi, senza correre il rischio di offendere qualcuno, si può affermare che l'Italia è un Paese di cani. E anche di gatti. La banca dati dell'anagrafe animali da affezione, quella in parte già operativa al Ministero della Salute, ne conta ufficialmente quasi 13 milioni e mezzo, vale a dire un cane ogni 4,4 umani residenti. Già così non è poco, ma alcune stime autorevoli indicano proporzioni più considerevoli: secondo il decimo rapporto "Animali di città" di Legambiente, per esempio, i cani in Italia sarebbero tra i 19.800.000 e i 29.800.000, cioè 2 o 3 per residente; l'Eurispes conferma e calcola che il 44,7% degli italiani ha almeno un cane in casa; Altroconsumo accredita un'indagine secondo la quale gli animali da compagnia, quindi non solo cani e gatti, sarebbero oltre 62 milioni, cioè più della popolazione del Paese che si attesta a quota 59,5 milioni.

 

Insomma, i numeri sono una gran cagnara, tanto per restare in tema. Il problema sta nel meccanismo di registrazione: il compito per ora è assegnato alle Regioni, che a loro volta inviano i dati, più o meno aggiornati ogni mese, al Ministero della Salute. Il quale nel suo sito web pubblica una mappa che comprende i cani, i gatti e, chissà perché, i furetti: niente pesci e rettili, pappagalli e canarini, conigli e criceti. Va poi ricordato che il microchip è obbligatorio solo per i cani su tutto il territorio nazionale e per i gatti esclusivamente in Lombardia.

 

«Le stime del nostro rapporto - spiega Antonino Morabito, curatore di "Animali di città" edizione 2022 - si basano sui numeri forniti dalle amministrazioni comunali o regionali e poi sull'osservazione del trend negli ultimi dieci anni. Abbiamo notato grandi disparità: laddove la gestione dell'anagrafe è gestita dai comuni il numero delle registrazioni è più prossimo al rapporto di un cane per ogni abitante». È un indicatore, non un valore assoluto. Però, chiarisce Morabito, lascia ipotizzare che in Italia vivano almeno 20 milioni di cani e probabilmente altrettanti gatti.

 

Ma se i numeri ufficiali e quelli stimati non vanno d'accordo, il discorso cambia se si guarda all'andamento del mercato dei prodotti per animali: il pet food fattura circa 2,4 miliardi di euro (nel 2007 era la metà), cui va aggiunto un altro miliardo scarso tra accessori e prodotti per l’igiene degli animali.

 

E se si scava dietro queste cifre si trovano storie straordinarie. Come quella di Baldassarre Monge, che del pet food italiano è di fatto l’inventore: la sua famiglia cominciò negli anni 60 a produrre alimenti per cani e gatti utilizzando gli avanzi della macellazione dei polli che allevava. La storia dell’azienda, tuttora familiare, che ha sede a Monasterolo di Savigliano, in provincia di Cuneo, è ancora più simbolica se si pensa che prima della linea di prodotti per animali Monge ne aveva avviata una di omogeneizzati per bambini. Bella intuizione negli anni del baby boom, ma ancora più lungimirante appare ora quella del pet food. I bimbi fino a 3 anni nel 2020 erano un milione e mezzo e muovevano un mercato alimentare di 548 milioni (fonte Il Sole 24 Ore), mentre cani e gatti erano già una quarantina di milioni. Ed è puntando su di loro che Monge nel 2021, con un fatturato di 385 milioni di dollari, si è piazzata al 22° posto nella classifica mondiale del settore compilata ogni anno dalla rivista americana Petfood Industry. Ma forse fa ancora più effetto sapere che - non per amore di calembour - l’azienda leader nella produzione di alimenti per cani si sia insediata a... Piazzetta Cuccia, con una quota superiore all’1 per cento nel capitale di Mediobanca.

Un’altra storia di successo è quella di Arcaplanet, fondata nel 1995 dall’ex pasticcere Michele Foppiani a Carasco, in Val Fontanabuona, provincia di Genova. Primo negozio a Chiavari e poi una crescita vertiginosa fino a diventare la prima catena italiana di supermarket per i pets: 2.000 dipendenti, 390 store in 17 regioni. Nel 2021 il giro d’affari è stato di 400 milioni. Ora Arcaplanet fa capo al gruppo finanziario Cinven. Foppiani era ad fino all’aprile scorso, poi ha lasciato l’azienda.

 

Sbaglia però chi pensa che si tratti solo di business, perché a fronte di queste performance economiche, ci hanno guadagnato pure gli animali: «L’industria garantisce mangimi bilanciati, di alta qualità - spiega Maurizio Sodini, allevatore genovese di bracchi italiani, tra cui molti campioni mondiali –. I cani vivono più a lungo e in salute. E poi ci sono vantaggi anche per chi ha tanti animali: prima preparare le pappe per noi era un vero e proprio lavoro».

 

Se i numeri dell’anagrafe sono un po’ ballerini, i costi pubblici per i servizi dedicati a cani e gatti sono invece una certezza: quasi 193 milioni di spese per Comuni e Asl. E se i costi possono variare anche sensibilmente da una zona all’altra del Paese, l’amore per cani e gatti è equamente distribuito al Nord, al Centro e al Sud, come risulta dal rapporto di Legambiente. La differenza più rilevante riguarda invece i canili. Se, dopo le inchieste della magistratura, sono sempre meno le strutture che nel Sud accolgono fino a 1000-1500 animali, resistono i rifugi gestiti da privati in grado di ospitare fino a 800 cani. Va decisamente peggio con i canili sanitari: sono previsti per legge, ma al Sud non esistono o esistono solo formalmente.

 

«Eppure - dice Morabito - dovrebbero essere obbligatoriamente il primo punto di contatto per un animale trovato in strada». Avere numeri precisi sarebbe utile anche per risolvere questi problemi o comunque provarci: «È una follia che l’anagrafe canina non sia unica, nazionale e condivisa da tutte le amministrazioni. Non possiamo non sapere quanti e quali animali ci siano nelle nostre case perché, proprio come noi nel caso del Covid, sono potenzialmente ospiti di virus pericolosi».

 

Ed è proprio questo uno degli scopi del decreto in arrivo. Tra le altre finalità c’è la necessita di condividere dati, informazioni, funzionalità e infrastrutture per garantire una migliore governance; creare flussi di lavoro inter-funzionali tra Regioni, servizi veterinari, Ministero e gli altri enti deputati alla gestione del randagismo; elaborare indicatori statistici per programmare gli interventi di sanità pubblica veterinaria per la prevenzione delle malattie o la lotta del randagismo. Non ultima, la possibilità di risalire con certezza al proprietario dell’animale.

 

E poi, magari, in sede locale, programmare meglio la pulizia dei luoghi pubblici, spesso motivo di scontro tra chi ama i cani e chi magari con minor entusiasmo condivide gli spazi urbani con loro e con le loro urgenze di varia origine. Perché, inutile nasconderlo, le condizioni igieniche di molti marciapiedi delle nostre città sono al di sotto del livello minimo di decenza.

 

«La maggior parte dei proprietari di cani è attenta – dice Morabito - poi ce n’è una percentuale che invece proprio non ci riesce. Ma anche in questo caso. se un’amministrazione non sa quanti cani ci siano nel suo territorio come può organizzare un servizio efficace di pulizia delle strade?».

 

Infine, ma non ultima, c’è la questione abbandoni, piaga tipica dell’estate che rischia di diventare un problema non più stagionale. Nel 2021 sono stati 72.115 i nuovi ingressi nei canili sanitari e 29.194 nei rifugi. Numeri in leggero calo, spiega il Ministero della Salute, che in occasione della nuova campagna di sensibilizzazione contro gli abbandoni segnala però una triste novità: tra i cani restituiti ai canili molti erano stati adottati durante il lockdown per il Covid.

 

«Anche se è più diffusa la cultura del rispetto per gli animali - dice Morabito - i numeri restano alti. E c’è il timore che possano aumentare in vista di una maggiore criticità economica nel Paese. Un cane ha un costo mensile difficile da ridurre. E se una famiglia monoreddito si trova in difficoltà il primo a subirne le conseguenze è il cane. C’è il rischio che a breve la comunità si debba far carico di 200mila animali. Servono politiche non tanto per la loro gestione, ma per aiutare le famiglie a non abbandonarli, perché il contraccolpo emotivo potrebbe oltretutto essere un problema in più».

 

Una curiosità, infine, conferma che la matassa dei numeri ufficiali oggi è difficile da sbrogliare. Secondo Legambiente il comune con più cani è San Possidonio, provincia di Modena: 2 per abitante e ci si può credere. Meno plausibile invece è il numero che arriva da Pescara: 1 cane ogni 1.697 residenti. Chissà, forse i pescaresi, gente di mare, preferiscono i gatti? Per saperlo con certezza ora basta aspettare il decreto...