Oltre l’atmosfera si configurano gli scenari bellici del futuro ma che coinvolgono in pieno anche la guerra in Ucraina in corso. E alle lotte tra le grandi potenze con astronauti e satelliti, si aggiunge il terzo incomodo degli interessi privati (e non c’è solo Elon Musk)

La Russia effettua un test, cosiddetto “Asat”, e con un missile distrugge Cosmos 1408, un suo satellite in disuso a circa 500 chilometri dalla Terra. La nuvola di almeno 1.500 detriti, che orbita a più di 24mila chilometri orari, scatena la reazione internazionale: la Nasa non esita a definire «irresponsabile» la Federazione, stigmatizzandone anche l’indifferenza nei confronti dell’incolumità della Stazione spaziale internazionale, cosmonauti (russi) compresi.

 

C’è un dettaglio che attrae meno l’attenzione: poco sopra la quota orbitale del test, opera la costellazione Starlink, con cui SpaceX, la compagnia privata di Elon Musk, punta a vendere Internet super veloce in ogni punto del Pianeta. Anche per questo oggi l’aneddoto assume le tinte plumbee di un avvertimento: rivendica la capacità di colpire chiunque, fosse anche al di là del cielo. Perché è lo spazio il nuovo centro della Terra.

 

Apparente paradosso, è verità confermata dalla Nato, che da anni annovera l’oltre-atmosfera fra i domini strategici: dallo spazio si coordinano le forze armate, si muove il proprio esercito e si spiano quelli altrui. Da lì, si garantiscono la capacità di comunicare e la precisione delle armi più letali, come i missili ipersonici.

 

Lo ribadisce un’altra «offensiva spaziale», datata 24 febbraio 2022: un’ora prima dell’entrata dei carri armati russi in Ucraina, un attacco cibernetico colpisce la rete satellitare Ka-Sat, della società di comunicazioni con sede negli Stati Uniti, Viasat, che fornisce l’accesso a Internet a banda larga in tutta Europa e in una ristretta area del Medio Oriente. Mentre l’obiettivo rimane incerto, il National cyber ​security center del Regno Unito, il Consiglio dell’Unione europea e il Dipartimento di Stato americano sono sicuri quando, a inizio maggio, attribuiscono formalmente l’hacking alla Russia. Secondo Washington, lo scopo era «interrompere il comando e il controllo ucraini durante l’invasione».

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Fra le tante analisi sulla guerra in Ucraina, una rivela un paradigma emergente: mentre le modalità del conflitto a terra evocano tattiche da secolo scorso, nello spazio si stanno configurando scenari bellici del futuro ed è lì, sopra le nostre teste, che oggi si decide la geopolitica di domani.

 

Con una novità assoluta: l’ingresso, anche nell’agone extra-atmosferico, di corporation e interessi privati. È un dettaglio cruciale, ma per raccontarlo conviene, prima, tornare alle ripercussioni spaziali più clamorose della guerra, come gli insulti via Twitter che a inizio marzo si sono scambiati Scott Kelly, fra gli astronauti americani rimasti più a lungo in orbita, e Dmitry Rogozin, fedelissimo di Vladimir Putin, già vice Primo ministro della Difesa e oggi direttore di Roscosmos, l’agenzia spaziale della Federazione.

 

Tutt’altro che puerile, la zuffa racconta il tramonto di una collaborazione pacifica durata quarant’anni. Tutto finito. O almeno da rifare. E non è un caso che la Stazione spaziale internazionale, il simbolo supremo di una space diplomacy di successo, sia stata al centro di tanto accapigliarsi: Rogozin, lesto a ricordare che la navigazione della Iss si deve al segmento russo, ha chiesto al Cremlino di concludere la collaborazione. Mosca ha fatto sapere che così sarà, sebbene i partner internazionali (Stati Uniti, Europa, Canada e Giappone) saranno edotti un anno prima delle dimissioni. Se è perciò improbabile che la Iss venga abbandonata in fretta e furia - e, anzi, pochi giorni fa l’amministratore della Nasa, Bill Nelson, e il direttore generale dell’Agenzia spaziale europea, Josef Aschbacher, hanno confermato che in orbita l’attività collaborativa di tutto l’equipaggio rimane encomiabile -, è certo che gli strascichi della crisi saranno lunghi anche fra le stelle.

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La prima a sperimentarne il prezzo, stricto sensu, è stata OneWeb, compagnia partecipata dal governo britannico. Si è vista lasciare sulla rampa di Baikonur, in Kazakistan i 36 satelliti della sua costellazione Internet che avrebbero dovuto essere lanciati il 4 marzo a bordo di razzi Soyuz (russi). Sorte identica per i due nuovi “Galileo” della costellazione europea per la navigazione e il geoposizionamento. Di contro, benché la Federazione si fosse detta pronta al decollo, ExoMars, la missione congiunta destinata a Marte e programmata il prossimo settembre, è stata sospesa dall’Agenzia spaziale europea, in attesa di tempi migliori. O di partner “pronta-consegna”, cioè la Nasa - come confermato da Nelson mercoledì, pronto a garantire il supporto statunitense alla missione - e soprattutto compagnie private, con SpaceX in testa.

 

Elon Musk è diventato il simbolo di come l’imprenditoria spaziale sia entrata a pieno titolo nel conflitto. Non solo perché è stata la sua SpaceX a correre in soccorso di OneWeb; fin dai primi giorni dell’invasione, Musk si è proposto di inviare dei terminali della rete Starlink all’Ucraina. Se da oltre tre mesi è possibile vedere gli interventi di Volodymyr Zelenskyj ai Parlamenti di mezzo mondo, è merito delle 11mila stazioni di SpaceX. Ed è solo la punta dell’iceberg: come confermato da un’inchiesta di “Politico”, firmata dai giornalisti Christopher Miller, Mark Scott e Bryan Bender, grazie alle componenti di terra e alla costellazione, a oggi costituita da più di 2.300 satelliti attivi sui 40mila previsti (entro il 2030), Starlink ha permesso di comunicare alle forze ucraine in prima linea, quelle schierate nell’est del Paese e nei territori occupati, dove le infrastrutture terrestri sono state distrutte.

 

Detto altrimenti, nonostante i reiterati attacchi elettromagnetici e informatici, Starlink è diventata un’arma finora incontrastabile per i russi. Non è un caso se nel 2021 la Duma volesse promulgare una legge per vietarne le trasmissioni sul territorio della Federazione, con l’accusa di aggirare i centri di controllo terrestri. Ed è altrettanto significativo che poche settimane fa, a maggio, sul cinese “Modern defence Techology”, un paper descrivesse le tecniche hard e soft per compromettere i satelliti di SpaceX, definiti «un pericolo per la sicurezza nazionale».

 

È per di più noto che Musk, o OneWeb, non esauriscano «la minaccia» di spie (private) oltre l’atmosfera: presto la costellazione Kuiper porterà 3.236 satelliti di Amazon nelle orbite basse, per incrementare l’accesso globale alla banda larga.

 

Già oggi però, non è SpaceX l’unica azienda attiva, attraverso lo spazio, nel conflitto in Ucraina: le società private che consentono di scaricare ed elaborare le immagini satellitari vanno arricchendosi. C’è la statunitense Spire Global, che possiede una costellazione costituita da più di un centinaio di nanosatelliti per l’osservazione della terra: accusato lo stop dei lanci russi - la compagnia si è sempre servita dei Soyuz - il cambiamento principale per Spire è che i dati raccolti dai suoi satelliti vengono richiesti come mai prima da aziende, governi e Ong. Spire raccoglie dati in radiofrequenza, che forniscono informazioni sul movimento di navi e aerei, ma anche sui modelli meteorologici.

 

Discorso analogo per BlackSky technology, che integra informazioni satellitari e da altre fonti per venderle. A gennaio l’azienda ha iniziato a monitorare lo schieramento delle forze russe al confine con l’Ucraina. Da allora fornisce immagini e dati ai clienti, al pubblico e ai media.

 

Come fa anche Maxar Technologies, che costruisce satelliti e fornisce dati di osservazione della Terra agli acquirenti: Tony Frazier, il vicepresidente esecutivo, ha dichiarato che la sua società monitora, con una risoluzione di 30 centimetri, gli eventi in Ucraina e in Bielorussia, giorno e notte, a terra e in mare.

 

Che questo tipo di controllo si traduca in un vantaggio strategico, oltre che economico, è evidente. Come è palese che mentre la Cina e l’Europa rincorrono la preminenza statunitense - la Commissione europea ha già annunciato una propria costellazione per le comunicazioni entro il 2030 -, là, oltreoceano, siano i privati a lastricare la via. Sempre si decida di ignorare che, oggi, il principale soggetto nello spazio non è la Nasa, ma il Dipartimento della Difesa statunitense. Motivo per cui è difficile non pensare agli Starlink in Ucraina come a un laboratorio sul campo, una tecnologia per testare e validare le infrastrutture dei conflitti che verranno. L’efficienza degli apparati, la stabilità delle comunicazioni e la resilienza rispetto a ai cyberattacchi – incensata lo scorso 20 aprile alla C4Isrnet Conference nientemeno che da David Tremper, il direttore dell’electronic warfare all’Ufficio del segretario della Difesa americano -, stanno delineando il nuovo identikit tecnologico di chi dominerà lo spazio.

 

È un punto di svolta epocale: nel 1991 la guerra nel Golfo rivoluzionò la cyberwar, dimostrando come satelliti e computer potessero interfacciarsi in tempo reale e intercettare i missili nemici. Vent’anni fa, i conflitti in Iraq e Afghanistan hanno rappresentato un’altra tappa per i fornitori di servizi satellitari per comunicazioni commerciali, pronti a elargire collegamenti ad alta larghezza di banda alle forze armate in Medio Oriente. 

 

Dall’Ucraina emerge un’evoluzione ulteriore: tutto, pace compresa, dipende(rà) dai dominatori del cosmo. Pubblici e privati. E questo fa tutta la differenza del mondo.