Sviluppo e mantenimento del nostro tenore di vita dipendono anche dalla qualità degli investimenti nel settore. Parla Josef Aschbacher, numero uno dell’Esa

Se l’Europa non tiene il passo, tutti noi, non solo il settore spaziale, ci rimetteremo. L’obiettivo è rimanere competitivi e consentire alla nostra industria di avere opportunità nel mercato globale; per questo dobbiamo puntare a un aumento del budget».

 

Il numero uno dell’Agenzia spaziale europea, Josef Aschbacher, lo ripete come un mantra: nello spazio ci si gioca il presente, prima del futuro. Chi, istituzione o Paese, non voglia sprofondare nella marginalità, dovrà aumentare gli investimenti, quindi concentrarli su programmi per migliorare la scienza e le tecnologie a beneficio collettivo. Aschbacher insiste non solo perché il suo ruolo glielo impone: «Senza asset spaziali – sottolinea – gli ucraini non potrebbero difendersi. Lo stesso vale per la sicurezza dei cittadini europei. Per quanto spiacevole sia la prova, oggi lo spazio è parte integrante della salvaguardia e del nostro tenore di vita».

 

Austriaco, esperienza quarantennale – con incarichi, fra gli altri, alla Commissione europea, all’Istituto asiatico di tecnologia e, dal 2016, alla guida del centro Esa-Esrin per i programmi di Osservazione della Terra - Aschbacher è direttore generale dell’Esa dal primo marzo del 2021. Tra i fautori della costellazione europea Copernicus, a oggi il finanziamento più consistente dell’Unione in ambito spaziale, subito dopo la nomina ha divulgato una nuova strategia, “Agenda 2025”, per accelerare le nuove iniziative extra atmosferiche e i programmi più importanti. Per concretizzarla, nel novembre del 2022, al Consiglio ministeriale dell’Esa aveva chiesto ai 22 Paesi membri 18,5 miliardi di euro. Ne ha ottenuti 16,9 (più di tre dall’Italia, terzo contribuente), un record storico per l’agenzia, ma comunque meno rispetto agli oltre 25 miliardi di dollari che la Nasa ha per il solo anno in corso. E, nel caso europeo, da dedicare a un problema aggravatosi l’anno scorso, quando l’interruzione dei rapporti con la Russia e il conseguente annullamento dei lanci con i vettori Soyuz, i ritardi del nuovo lanciatore pesante europeo, il razzo Ariane 6 tuttora privo di una data di debutto, e il failure della prima missione commerciale del razzo leggero Vega C, hanno lasciato l’Europa senza un accesso autonomo allo spazio. Non è un caso che Euclid, la missione scientifica più importante dell’agenda spaziale europea, sia stata lanciata il primo luglio da un Falcon 9 di SpaceX.

 

È una situazione che a gennaio, durante la European space conference di Bruxelles, Aschbacher non aveva esitato a definire critica: «Non ho nascosto la mia preoccupazione, ma da allora le cose sono migliorate. Stiamo preparando Vega C perché torni sulla rampa entro fine anno» e nonostante, pochi giorni fa, la prova statica di accensione del propulsore con il nuovo inserto in carbonio-carbonio, il pezzo alla base del guasto, abbia rilevato un’anomalia, i lavori per rispettare la data non si interrompono. Avio, l’azienda che per la maggior parte sviluppa il lanciatore, ha confermato la necessità «di ulteriori attività di indagine per garantire condizioni di performance ottimali». Per quanto riguarda Ariane 6, continua Aschbacher, «da maggio pubblichiamo regolari aggiornamenti sul suo sviluppo tecnologico: abbiamo alcuni problemi e nelle prossime settimane effettueremo verifiche fondamentali, il cui risultato, a settembre, ci permetterà di dire quando sarà il lancio inaugurale. Sbilanciarsi oltre sarebbe speculativo, ma sono molto più ottimista di sei mesi fa».

 

Ben più certe sono le prospettive dell’esplorazione umana: l’Esa continuerà le attività a bordo della Stazione spaziale internazionale, a oggi previste fino al 2030, e i suoi astronauti parteciperanno al programma Artemis, a guida statunitense. Aschbacher, che aveva già ufficializzato che dopo il primo allunaggio, previsto con Artemis III, alle missioni lunari prenderanno parte per primi alcuni dei sette astronauti della classe 2009 – fra cui Samantha Cristoforetti e Luca Parmitano – si spinge oltre: «Per l’Esa acquisire la capacità di lanciare i suoi astronauti con mezzi europei è una priorità. Stiamo sviluppando scenari diversi e preparando le decisioni da prendere allo Space summit di novembre». Complice un settore rivoluzionato dall’iniziativa privata e da nazioni arrembanti, Cina e India su tutte, è però impossibile ignorare come l’Europa, la cui eccellenza si esprime nelle missioni scientifiche, sconti ritardi su altri fronti. Proprio la mancanza di mezzi in grado di portare astronauti in orbita così come la decisione, nel 2014, di non investire su lanciatori riutilizzabili sono lì a ricordarlo: «Costruire un nuovo sistema di lancio – replica Aschbacher – richiede circa dieci anni. Decidere di svilupparlo non può prescindere da valutazioni di mercato. Il contesto attuale ci permette di dire che la generazione successiva ad Ariane 6 e Vega C sarà riutilizzabile». A proposito di contesto, la crisi internazionale consente di delineare collaborazioni con attori come Russia, Cina o India? «Con la Russia è difficile immaginare qualcosa, se non fra molti anni. La cooperazione con la Cina non sarebbe più semplice e andrebbe comunque circoscritta alla scienza, escludendo lo sviluppo di hardware. Con l’India, invece, cercheremo di lavorare, tenendo sempre presenti la salvaguardia delle proprietà intellettuali e il controllo delle esportazioni. A maggior ragione, per essere competitivi, dobbiamo aumentare i fondi a livello istituzionale. In più, per poter creare imprese, l’Esa dovrà acquisire anche dei finanziamenti privati».