Con la missione Artemis, la Nasa punta a una presenza umana fissa sul satellite. Per la sua importanza tecnico-scientifica certo, ma anche economica. E la sfida ingegneristica si incrocia con la geopolitica

Mentre leggete queste righe, la nuova astronave Orion della Nasa viaggia vicino alla Luna. È previsto che nelle prossime settimane le orbiti attorno, si spinga fino al punto più lontano mai raggiunto da un veicolo spaziale per il trasporto umano, 450 mila chilometri dalla Terra, quindi torni sul nostro pianeta per tuffarsi al largo di San Diego, la mattina dell’11 dicembre.

 

A quel punto, dopo un viaggio di oltre due milioni di chilometri, si concluderà Artemis 1, la missione inaugurale del programma chiamato come la divina gemella di Apollo, Artemide, e destinato a portare, oltre al prossimo uomo, la prima donna sulla Luna. Succederà non prima del 2025 e con Artemis 3, la terza missione in calendario.

 

Artemis 1, infatti, non trasporta astronauti, se si escludono il pupazzo Shaun the Sheep dell’Agenzia spaziale europea, due torsi femminili e un manichino per il rilevamento delle vibrazioni e dei raggi cosmici sul corpo umano. Decollata, dopo tre rinvii, la mattina del 16 novembre (alle 7:47) dal Kennedy Space Center, in Florida, ha l’obiettivo di qualificare tutti i sistemi coinvolti, cioè verificarne il corretto funzionamento oltre l’atmosfera. Sistemi come il nuovo Space Launch System, o Sls, un razzo vettore di 98 metri e 2.608 tonnellate al decollo; con lui, la capsula Orion per il (futuro) trasporto di quattro persone e lo European Service Module, una delle novità più significative di Artemis rispetto alla corsa lunare degli anni ’60: pur a guida statunitense, infatti, il nuovo programma si basa su un’ampia collaborazione internazionale, soprattutto con l’Agenzia spaziale europea (Esa), quella canadese (Csa) e quella giapponese (Jaxa).

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Coordinata dall’Agenzia spaziale italiana, la nostra industria ha un ruolo rilevante nella missione e nell’avventura lunare tutta: imprese piccole e medie – Cbl Electronics, Aviotec, Alfa Meccanica, Criotec e Dtm Technologies – insieme con grandi realtà come Leonardo e Thales Alenia Space hanno contribuito alla realizzazione del modulo di servizio, che fornisce propellente ed elettricità alla Orion e che dalla seconda missione, prevista entro fine 2024, permetterà la sopravvivenza dell’equipaggio garantendogli acqua e aria. La torinese Argotec ha invece costruito l’unico satellite europeo di Artemis 1: grosso quanto una scatola di scarpe, ArgoMoon si è sganciato da Sls a 40 mila chilometri di quota e ha filmato la separazione degli altri satelliti scientifici a bordo (dieci in tutto), testimoniando una fase in cui i sistemi principali non potevano collegarsi a Terra. Artemis 1 è un passo atteso dall’ultimo allunaggio umano, avvenuto mezzo secolo fa, nel dicembre del 1972. Sarebbe, però, opportuno chiedersi perché tornare sulla Luna adesso. A quale costo e con quali benefici?

 

Il 28 agosto scorso la risposta dell’Economist è stata impietosa: secondo il settimanale britannico, l’utilizzo dello Space Launch System — successore dello Space Shuttle ed erede del Saturno V, il razzo che portò 12 uomini sulla Luna fra il 1969 e il 1972 — sarebbe «un colossale spreco di denaro pubblico». O un «gigantesco spreco di risorse» per chi preferisse la definizione del Washington Post (4 settembre). Sopravvissuto al programma Constellation, approvato nel 2005 da George W. Bush con l’obiettivo di tornare sulla Luna entro il 2020 e cancellato da Barack Obama cinque anni dopo per l’eccessivo incremento dei costi, Sls costituirebbe «un inarrestabile slancio dello status quo, creato per garantire che i contratti del defunto programma continuassero».

 

Cifre alla mano, è difficile dissentire: agli americani lo sviluppo del nuovo sistema di lancio è costato 40 miliardi di dollari negli ultimi dieci anni (fonte: New York Times). Nello stesso periodo l’imprenditoria spaziale privata – si pensi anche solo a SpaceX di Elon Musk – ha rivoluzionato il settore con la digitalizzazione dei processi, la riutilizzabilità e la miniaturizzazione delle tecnologie. Il nuovo approccio, oggi implicito nel concetto di “new space economy”, ha permesso una drastica riduzione dei costi. Non quelli del programma lunare: secondo l’Ufficio dell’Ispettore generale Nasa (Oig), il volo di Sls costerà 2,2 miliardi di dollari, mentre Artemis 1 arriverà a 4,1 miliardi.

 

Riportare l’umanità fra i crateri lunari entro il 2025 preleverà dalle tasche dei contribuenti 95 miliardi in tutto. E non è da escludere, suggerisce l’Oig in un rapporto pubblicato a giugno, che da Artemis 4 in poi, cioè quando si dovrà stabilire una presenza umana permanente sulla Luna, l’incremento dei costi accelererà. A fronte degli investimenti nel programma Apollo rivalutati in termini odierni — circa 280 miliardi di dollari, stima la Planetary Society — non è azzardato suggerire che mezzo secolo di innovazioni abbia prodotto ben poco in quanto a risparmi.

 

Il giudizio, però, sarebbe affrettato. E, in fondo, scorretto.

 

Non solo perché fra gli obiettivi di Artemis 1 c’è la riduzione dei costi sulla base dei dati ottenuti per Sls e Orion, o per il fatto che la Nasa stia cambiando la filosofia degli appalti e adottando la formula dei contratti a prezzo fisso. Cose queste che, a onor del vero, potrebbero anche interessare poco da questa parte dell’oceano.

 

Sono gli obiettivi diversi dal programma Apollo a fare di Artemis una novità, pensata per rispondere a necessità emergenti: 60 anni fa la prima “space race” declinava oltre l’atmosfera la guerra fredda, diventando anche una valvola di sfogo della contrapposizione fra Usa e Urss. Oggi Artemis punta a una presenza umana stabile sul suolo lunare, alla luce della sua importanza tecnico-scientifica e, nondimeno, economica. «Torniamo per restarci», proclama la Nasa da anni. Beninteso, sarebbe ingenuo pensare il traguardo come avulso da risvolti geopolitici, tanto significativi che ci si tornerà a breve, ma non è da quelli che scaturisce il rinnovato anelito lunare.

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Artemis richiede scienza e ricerca innovative, reclama infrastrutture da sviluppare, promette scoperte a beneficio collettivo. Non ultimo, la Luna custodisce un eldorado di metalli preziosi e acqua ghiacciata: “il petrolio dello spazio”. Ma anche, o soprattutto, di elio-3 e terre rare. Mentre il primo, se disponessimo della fusione nucleare, aprirebbe le porte del nirvana energetico, le terre rare rischiano di diventare oggetto di appetiti non così futuribili: trattasi di 17 elementi chimici già oggi essenziali per l’industria elettronica e tecnologica, “verde” compresa, e, a dispetto del nome, non esigui sulla Terra, ma costosi da estrarre e per la maggior parte controllati dalla Cina, che ne detiene circa il 37% delle riserve. Secondo un rapporto del 2017 della Banca mondiale, la loro richiesta non farà che crescere nei prossimi decenni.

 

«È certo che ci siano anche ragioni economiche alla base di un programma così ambizioso, ma in questa fase è importante non evidenziarle oltre il necessario», commenta Massimo Comparini, amministratore delegato di Thales Alenia Space, che oltre al contributo sul modulo di servizio di Orion è coinvolta pure nella realizzazione del Gateway, la stazione in orbita lunare che si prevede di costruire fra qualche anno e che supporterà le attività extraterrestri.

 

«Torniamo sulla Luna con due obiettivi principali: anzitutto perché qualsiasi cosa apprenderemo, per esempio sulla costruzione di infrastrutture, sarà la base per approntare esplorazioni nello spazio profondo, in primis su Marte. Poi, certo, lavorare sulla Luna significherà sfruttarne le risorse. Occorre ricordare comunque quanto questo potrà esserci utile sulla Terra. Non si sottovalutino gli aspetti tecnico-scientifici e i benefici comuni che quest’avventura porterà nei prossimi anni».

 

Vero, come il fatto che negli anni recenti la maggiore accessibilità al settore abbia portato con sé una platea di attori non endogeni pronti a svilupparne i servizi. Lo ha dimostrato il mercato satellitare: non serve disporre di una sonda propria per commercializzarne le applicazioni o per inventarne di nuove. Detto altrimenti: proprio come le orbite più prossime alla Terra sono ambito di crescenti interessi commerciali, la Luna potrebbe ampliare il numero degli stakeholder. Lo dimostrano già oggi piani lunari per la produzione e la distribuzione energetica di Enel, o progetti per le comunicazioni e la navigazione, come quello su cui verte l’accordo siglato a luglio fra Inmarsat, gestore britannico di servizi per le telecomunicazioni mobili, e l’italiana Telespazio, leader dei servizi satellitari, di geoinformazione e navigazione in Rete.

 

«Stabilire una presenza umana permanente sulla Luna è un progetto ambizioso, ma possibile», conferma Luigi Pasquali, coordinatore delle attività spaziali del gruppo Leonardo e ad di Telespazio: «Abbiamo dimostrato di avere tutte le competenze necessarie per poter supportare le missioni delle agenzie europee e mondiali, oltre allo sviluppo di una “lunar economy” sostenibile».

 

Che le nuove prospettive economiche stimolino anche appetiti geopolitici è l’altro lato della medaglia: sarebbe una visione parziale quella che ignorasse l’esclusione da Artemis di Cina e Russia, due Paesi che nel frattempo hanno già annunciato di voler installare, insieme ed entro il 2036, la International Lunar Research Station, una base lunare per operazioni robotiche.

 

Pur ambizioso, l’obiettivo è verosimile, visto che la Cina, seconda potenza spaziale dopo gli Usa, sulla Luna ha già ottenuto risultati unici: a inizio 2019 appoggiò il lander Chang’e 4 e poi manovrò il rover Yutu-2 sul lato nascosto del nostro satellite. Traguardo mai raggiunto da altri. Anche l’India, che vuole ripetersi, e un’organizzazione no profit israeliana hanno inviato lander nel 2019, sebbene entrambi si siano schiantati. Un orbiter sudcoreano è in arrivo.

 

Se si considera che Artemis 3, per allunare, sfrutterà la nuova astronave Starship di SpaceX e che fra le 13 aree individuate dalla Nasa per appoggiarsi sulla Luna alcune coincidono con quelle annunciate dalla Cina, è evidente quanto sia composito il ventaglio di motivi per ripartire adesso: lì convergono scienza, tecnologia, interessi privati e pubblico prestigio. Sarebbe il caso d’interrogarsi, allora, sul come comporre gli appetiti affinché, senza sprechi, banchettino in tanti. Magari tutti. Mentre orbita attorno alla Luna, Orion fa riflettere.