Parla il parroco di Bonassola che non potrà più celebrare messa in pubblico né predicare per le sue posizioni su aborto, fine vita ma soprattutto amore omosessuale. «Non si può parlare di accoglienza e poi escludere la dimensione affettiva: l’unione non è peccato»

Per il Vaticano lo scandalo ha un nome: si chiama don Giulio Mignani, parroco di Bonassola, Montaretto, Framura e Castagnola, sospeso dal suo ministero con una notifica firmata dal vescovo di La Spezia, monsignor Luigi Ernesto Palletti su decisione diramata dal Vaticano stesso: «Tecnicamente con la sospensione a divinis, rimango un prete, ma posso celebrare messa da solo, senza predicazioni pubbliche né catechesi».

 

Che la parola avesse avuto un peso importante nella sua vita, don Giulio lo aveva già intuito quando aveva stracciato un contratto a tempo indeterminato come dipendente bancario per passare a ben altri talenti da investire. E così, con le sue parole, è arrivato dove la Parola con la maiuscola chiede di andare, «alla fine del mondo», anche quando ha l’estensione di una parrocchia di 1.500 abitanti.

 

Per la Santa Sede, invece, le sue posizioni rappresentano la fine di un mondo sedimentato per secoli e l’inizio di una Chiesa che si lascia interpellare da domande esistenziali, come quella sul fine vita, che lo ha visto partecipe di un convegno a Genova con Marco Cappato.

 

Lo scandalo sull’amore Lgbt
Eppure, raggiunto al telefono, don Giulio puntualizza: «Considerato che tutto è partito dalla mia posizione sulle coppie omosessuali, che poi ha avuto una certa eco mediatica, devo evincere che l’argomento che li ha scandalizzati maggiormente sia stato quello. Il precetto penale, infatti, è stato emanato a dicembre, quando io non avevo ancora fatto esternazioni sull’eutanasia e sull’aborto. È stato il vescovo stesso a dirmi che l’eco mediatica aveva dato loro fastidio e hanno ritenuto necessario intervenire. Visto che tutto è partito prima, è stato quello l’argomento che ha dato più fastidio».

 

Tutto nasce dopo la domenica delle Palme del 2021, quando don Giulio decide di non benedire le piante come forma di protesta verso il responsum con cui la Congregazione per la dottrina della fede ha vietato le benedizioni alle coppie omosessuali: «Negli incontri, il vescovo mi aveva già richiamato verbalmente. Poi a dicembre scorso c’è stato un richiamo scritto, che mi ha notificato quello che tecnicamente si chiama precetto penale: se avessi continuato a fare esternazioni contrarie al Magistero della Chiesa, sarei incorso nella sospensione a divinis. E così è stato».

 

Don Giulio, però, non ci sta. Nei mesi precedenti al processo presso il tribunale ecclesiastico diocesano, ha avuto modo di contestare ciò che per la chiesa cattolica rimane intoccabile: il Magistero, in base a cui l’omosessualità è considerata peccato, ammettendo implicitamente che alcune relazione fra persone siano contrarie all’ordine di creazione voluto da Dio: «Il vescovo mi ha richiamato ai documenti del Magistero, dove si distingue tra persona omosessuale e atti omosessuali, ma io l’ho contestato: che accoglienza è quella in cui si accoglie a parole una persona ma poi la si strappa da una dimensione importante della persona umana, cioè l’affettività, la sessualità? E poi, secondo me, si deve uscire dal paradigma di considerare che l’unione sia un peccato. Perché è bello che il Papa parli di accoglienza, ma se poi parla di accoglienza del singolo, e non di coppia, anche lui è dentro questo paradigma».

 

La lettera al Papa
Qualche anno fa, don Giulio ha scritto una lettera a papa Francesco, ma non ha mai ricevuto una risposta: «Ho apprezzato la lotta del Papa contro il potere clericale, allora gli scrissi che il passo da fare come Chiesa era smetterla di riconoscere che noi possediamo la verità. Perché, se pensiamo di essere i detentori di questa verità, ci sentiamo di imporla agli altri, anche se in buona fede. E in passato molte persone sono state ammazzate per questo. È anche quello che accade con me: mi si dice che la verità e questa altrimenti devo stare con la bocca chiusa. Finché non c’è questo passo, la Chiesa non può essere una democrazia, ma resta una struttura gerarchica». Ma c’è un’altra chiesa, quella dal basso che in questi giorni sta mostrando a don Giulio la sua vicinanza: «Molti sacerdoti mi sostengono in privato, anche riguardo alle unioni omosessuali. Però mi confessano che evitano di manifestare pubblicamente perché, così, possono aiutare chi viene escluso come pastore. E poi, vogliono evitare di fare la fine che ho fatto io. Rispetto la loro posizione, però credo anche che, quando ci sono dei diritti della persona che vengono calpestati, occorre schierarsi pubblicamente».

 

È il pastore che parla, il parroco che si fa prossimo alla gente e che vede nel processo sinodale della Chiesa avviato da papa Francesco l’occasione per ascoltare le inquietudini spirituali dei fedeli oggi: «Per il Sinodo, ho inviato un questionario a 434 parrocchiani su temi come le unioni Lgbt, l’eutanasia e l’aborto. Quasi il 90 per cento è favorevole alle coppie omosessuali. Questo dimostra che nella Chiesa c’è grande fermento, c’è un sostegno notevole alla base. Ma non è sufficiente una spinta dal basso se dall’alto non se ne prende atto. Perché come credente devo imporre la mia visione? Io sono prete e sono a favore del matrimonio egualitario e dell’adozione per le coppie dello stesso sesso. Perché lo vedo dal vivo: a Bonassola conosco due donne che hanno due figli, ma che sono considerati tali solo per una di due. Perché?».

 

Essere al loro fianco
Dopo la sua presa di posizione a favore delle coppie Lgbt, don Giulio ha accolto e continua ad essere vicino a molti della comunità che si sentono ancora esclusi dalla Chiesa: «Tempo fa ho ospitato una coppia di donne in un cammino di fede. La lettera che mi hanno scritto mi ha commosso: “Quando ci hai accolto, ci hai preparato una stanza matrimoniale. Per noi ha voluto dir tanto, essere state accolte come coppia“».

 

Da quel giorno, la pastorale di don Giulio è nel solco di una trincea dove la Chiesa che deciso di servire lo considera una minaccia al suo status quo: «Ho partecipato alla cerimonia di unione di due cari amici di Bonassola: volevo essere lì come prete, dire loro sono con voi. Penso che quando i diritti umani vengono calpestati, chi ha autorità deve schierarsi anche pubblicamente. È importante esserci». Oggi don Giulio è nell’occhio di un ciclone che potrebbe strappargli quella veste talare, per lui diventata sinonimo di accoglienza: «Io sono sereno, ma c’è una sola cosa che mi rattrista. Che la Chiesa parli di scandalo, ma non tiene conto dei frutti positivi, dei genitori che mi ringraziano perché sostengo i loro figli, delle lettere di anonimi che ringraziano per sentirsi finalmente accolti. Se i frutti sono questi, allora perché tagliare l’albero?».