Il quartiere dove vivo era chiamato la Nuova Atene. Qui si è contagiati come altrove, ma in una cornice ricca di immagini e di ricordi illustri 

Mentre il Secondo Millennio volgeva al termine, e a un’età avanzata stavo per entrare nel Terzo, con alle spalle gran parte di un secolo ricco di guerre costate milioni di morti e di rivoluzioni fallite, screditate o ridimensionate, pensavo a una prossima epoca più saggia, se non proprio pacifica. Non immaginavo un mondo senza più confini, ma un mondo con meno confini invalicabili, non essendo più necessari ad arginare le rivalità nazionali e ideologiche. Un pianeta, certo, ancora litigioso, con fiammate di terrorismo e scontri armati cronici circoscritti, ma con meno violenza di massa. Ero un illuso. Lo eravamo in tanti. Non potevamo prevedere che un virus avrebbe provocato morti come un conflitto armato e ripristinato tante frontiere, per difendersi non da nemici umani, ma da contagi imprevedibili.

Il regolamento in vigore nella Parigi in cui vivo mi consente di allontanarmi dalla mia abitazione non più di un chilometro e per non più di un’ora. Invece di essere cancellati i confini si sono moltiplicati, all’interno delle stesse nazioni, sia pure provvisoriamente e in modo più o meno rigido. Scorrono, per il momento, proprio sotto casa. Posso valicarli per motivi eccezionali, se sono in grado di giustificarmi con la polizia a presidio di tutti i quartieri. Abitando sulla Riva destra della Senna, non posso raggiungere la Riva sinistra senza un motivo valido.

Chi cammina per Parigi deve mostrare, se richiesto dalla polizia, l’“Attestation de déplacement dérogatoire”, un modulo, una specie di foglio di via, stampato con il computer, da compilare quando metti piede fuori casa: l’ora d’uscita, il motivo, la destinazione. Lo spazio urbano in cui posso muovermi liberamente, sempre con l’Attestation in tasca, è quello che un tempo veniva chiamato la “Nuova Atene” (la Nouvelle Athènes). Ho l’impressione che quel vecchio titolo sia stato rispolverato. Mi ritengo fortunato perché, trovandosi la mia strada al centro di questo spazio (nel cuore dell’attuale Nono arrondissement, sotto Montmartre) posso riacciuffare con la memoria celebri personaggi che vi hanno vissuto e luoghi altrettanto celebri, non risparmiati dalla Parigi moderna. È come se in una fase drammatica della storia, non solo francese, fossi rimasto prigoniero di un’area privilegiata, che scopri nuda e quasi silenziosa grazie all’assenza di un traffico assordante e alla mancata attrazione delle vetrine, ora spente, dei negozi chiusi. Si è contagiati e si muore come altrove, ma in una cornice ricca di immagini e di ricordi, da tempo sepolti.

Il nome di “Nuova Atene” è stato dato da un giornalista (Dureau de la Malle) nel 1823 al quartiere Saint Georges non ancora del tutto urbanizzato, dove, divelti vecchi preziosi vigneti, sorgevano numerosi cantieri, e tra i palazzi appena costruiti erano nate, esplose, tante attività culturali. Era in corso la guerra di indipendenza greca contro l’Impero ottomano. Ed è in onore ai patrioti di Atene che fu battezzato il quartiere. Ma era un nome adatto anche a un’area dedicata all’arte: teatri, musei, atelier di pittori e scultori ancora oggi attivi, se non fossero provvisoriamente chiusi per l’epidemia che imperversa. Il virus per ora invincibile risveglia il passato remoto.

Nella “Nuova Atene” ridisegnata con l’immaginazione si aggirano celebri fantasmi che animarono l’epoca romantica parigina: scrittori, attori, musicisti, pittori. In rue Chaptal c’è un tempio di quel periodo che due secoli dopo ci appare magico. Il Museo della Vita Romantica, imprigionato dalle case costruite sui giardini di un tempo, dopo le distruzioni del 1870, durante la Comune, è una reliquia. L’edificio, con pochi altri nel quartiere, è dello stile della “Nuova Atene”. Il proprietario era un pittore olandese, figlio di un tedesco e naturalizzato francese. Ary Scheffer era un apprezzato autore di ritratti di personaggi famosi, e un animatore mondano. L’atelier della rue Chaptal era anche la sua abitazione. E il venerdì sera nei suoi saloni riceveva l’élite del movimento romantico, non sempre solo francesi: George Sand, Chopin, Liszt, Turgheniev, Dickens, Maria Malibran, Rossini, Gounod, Delacroix, Géricault... Due secoli dopo, la città svuotata dal virus lascia spazio a nobili fantasmi.