Celebrare o no l’anniversario dell’esperimento marxista di autogoverno, finito nel sangue e subito diventato un simbolo? In Francia, destra e sinistra si dividono. Ma resta una pagina cruciale della storia d’Europa

Nemmeno la pandemia che ha piegato una Parigi incapace di riaccendere le sue luci riesce a smorzare le polemiche, invero furibonde, su fatti di 150 anni fa. Vivacità culturale in uno dei pochi luoghi al mondo in cui si è ancora pagati per pensare, certo, ma anche mancanza di memoria condivisa su un periodo cruciale, mito di una sinistra una volta tanto unita in tutte le sue poliedriche sfaccettature e vergogna per una destra (non tutta, come vedremo) che non si rassegna all’etichetta positiva della metropoli rivoluzionaria, indicatrice di una strada, annunciatrice di progresso, futuro, diritti.

 

Parigi aveva già tagliato la testa a un re sul finire del Diciottesimo secolo, replicato i suoi moti a stretto giro nel 1830 e nel 1848 (da cui il famoso adagio “è successo un 48”) quando il 18 marzo del 1871, appunto 150 anni fa, conobbe l’esperienza della Comune, prima applicazione incarnata, si è sempre voluto osservare, delle idee di Carlo Marx, con le sue venature repubblicane e socialisteggianti. L’anniversario tondo merita, per la giunta socialista di Anne Hidalgo, celebrazioni speciali pur con le limitazioni imposte dal Covid-19. Ma da quando è stato reso noto il calendario delle cerimonie non passa giorno senza una presa di posizione sui giornali, un dibattuto televisivo, una contrapposizione di “verità”, una ricapitolazione di quei 71 giorni che, se non sconvolsero il pianeta, hanno colonizzato l’immaginario della galassia progressista ad ogni latitudine.

 

Storici, politologi, intellettuali, impegnati in un “pro e contro” quasi un tifo da stadio. Con le immancabili intrusioni di sospetti su un uso improprio della storia per bassi scopi elettorali. Ad esempio, Rudolph Granier, “Les Républicains”, destra moderata, tuona contro la sindaca e la accusa di sfruttare l’anniversario per rinsaldare attorno al suo nome socialisti, ecologisti e comunisti in vista del suo “progetto presidenziale” (si vota l’anno prossimo), «ma raccoglierà sicuramente meno persone dei dieci milioni di francesi che hanno partecipato all sottoscrizione nazionale per costruire il Sacre-Coeur», la basilica meta di frotte di turisti, quando si poteva viaggiare, considerata segno della restaurazione clericale, sorta dopo il 1873 sulla collina, allora periferia della capitale, dove iniziò l’insurrezione.

 

La comunista Raphaelle Primet gli replica a stretto giro che si trattò della rivoluzione «più moderna e feconda di tutte quelle che hanno illuminato la storia». E la sua collega di partito Laurence Patrice rincara: «La Comune è portatrice di tutti i nostri valori di oggi». Nel serratissimo ping-pong, da destra l’avvocato Antoine Beauquier bolla gli eventi come «un triste momento di guerra civile» e nota che non si possono «trasformare in eroi coloro che assassinarono i domenicani di Arcueil venuti a curare i feriti sotto le insegne della Croce Rossa». Come si potranno, aggiunge in un impeto retorico, «denunciare i casseur dopo aver onorato in pompa magna chi ha scelto di bruciare les Tuileries, il Palais Royal, il palais d’Orsay, le sinagoghe e l’Hotel de Ville?».

 

Chiosa la disputa in termini ideologici Patrick Bloche, il vice della Hidalgo: «Mi sento rassicurato, ho sempre creduto nelle differenze tra destra e sinistra e questo dibattito ne è la riprova». E sembra una stoccata alla pretesa del presidente della Repubblica Emmanuel Macron, alfiere del superamento del dualismo storico.

 

Ma cosa successe in quel fatale 1871? I prodromi vanno ricercati nel settembre di un anno prima con la disfatta di Napoleone III nella guerra franco-prussiana che diede origine al famoso scioglilingua studiato in tutte le scuole di francese: «Napoléon cédant Sedan ceda ses dents», cioè Napoleone cedendo a Sedan cedette i suoi denti, anche noto con la variante «ceda l’empire», cedette l’impero.

 

A trattare la resa, che contemplava la cessione dell’Alsazia e della Lorena oltre al pagamento di cinque miliardi di franchi d’oro, fu l’avvocato marsigliese Adolphe Thiers, il quale fu eletto capo dell’Assemblea nazionale convocata a Bordeaux e decise di trasferire il Parlamento a Versailles per poi diventare il primo presidente della Terza Repubblica. Le vessatorie condizioni dell’armistizio, lo scippo della centralità e l’opinione diffusa che il nuovo governo non avrebbe mitigato le ingiustizie sociali e favorito la borghesia a discapito delle classi lavoratrici, provocò l’insurrezione di Parigi. Furono indette elezioni e insediata la nuova assemblea definita La Comune, forma di autogestione socialista-libertaria. Fu adottata come simbolo la bandiera rossa e furono emanati decreti di emergenza per arginare la povertà come il blocco del pagamento degli affitti e l’assegnazione ai poveri delle case sfitte, la sospensione della vendita degli oggetti depositati al Monte di Pietà, la sospensione dei sequestri e la dilazione di tre anni per il rimborso dei debiti e delle cambiali scadute.

 

Più avanti, in seguito alla «vile fuga di alcuni proprietari di officine» fu deciso di assegnarle a cooperative di operai. E fu abolito il lavoro notturno dei fornai. E inoltre: fu eliminato l’esercito permanente e furono armati i cittadini, l’istruzione fu resa laica e gratuita e le spese per il culto non dovevano gravare sul bilancio dello Stato, i funzionari ebbero stipendi che li equiparavano agli operai così come fu stabilita la parità di salario tra uomini e donne. In quella forma primigenia di democrazia diretta, per impedire la professionalizzazione della vita pubblica, fu prevista la revocabilità delle cariche elettive. Tutto doveva essere deciso non da pochi ma dal popolo. La gestione dei teatri venne affidata alla Federazione degli artisti di Parigi, presieduta dal pittore Gustave Courbet.

 

Parigi si trovava tuttavia in una morsa, con i soldati prussiani di Bismarck ancora accampati nei pressi delle periferia Nord e il governo Thiers da Versailles che contava su truppe sufficienti per vincere gli insorti. Nella settimana tra il 21 e il 28 maggio, detta “la settimana di sangue”, la situazione precipitò. Parigi bruciava sotto i colpi dell’artiglieria, a poco a poco caddero tutte le roccaforti di difesa della città, la repressione che seguì provocò, a seconda delle stime, tra i 17mila e i 35mila morti.

 

Il massacro più sanguinoso della storia di Francia. Decine di migliaia di parigini furono arrestati, molti andarono in esilio. Benché quella di Parigi sia rimasta la più famosa, altre Comuni erano state proclamate in diverse città francesi tra le maggiori come Lione, Marsiglia, Tolosa, Saint-Etienne, Limoges, Narbonne. La sua fortuna critica fu immediatamente tale da valicare l’Atlantico se in Messico, gli editti “in nome del popolo” venivano pubblicati sui giornali tradotti in spagnolo.

 

Morta sul campo, la Comune cominciò da subito a sopravvivere come mito. Per Lenin, che pure ne riconosceva gli errori, ebbe il merito di «risvegliare il movimento socialista in tutta Europa, mostrò la forza della guerra civile, dissipò le illusioni patriottiche, insegnò al proletariato europeo a stabilire concretamente gli obiettivi della rivoluzione socialista». Oltre ad essere considerata l’antesignana della rivoluzione d’Ottobre, divenne esempio da seguire per i socialisti (ad esempio per il Fronte Popolare al governo tra il 1936 e il 1938), mentre gli anarchici hanno sempre applaudito il primo tentativo riuscito di autogestione.

 

A destra una condanna pressoché unanime dovuta, oltre al resto, anche alla «confisca dei mezzi di produzione», come ha ricordato nei giorni scorsi il politico David Alphand. Eppure una fetta, seppur minoritaria, ne ha riconosciuto qualche merito patriottico soprattutto per la resistenza al diktat prussiano e alle vessazioni seguite alla guerra persa, compresa la ferita dell’amputazione dell’Alsazia e della Lorena, poi riconquistate dopo entrambi i conflitti mondiali del Novecento.

 

Comunque la si veda, una pagina cruciale della storia non solo francese ma d’Europa. Strette nella distinzione tra commemorazione e celebrazione destra e sinistra litigano. Nel momento in cui la pandemia fa riscoprire questioni bruciate sull’altare del liberismo come il concetto di bene comune.