L'intera equipe medica è imputata per omicidio colposo al Tribunale di Catania. E la moglie della vittima ha deciso di portare questa storia fuori dalle aule giudiziarie dopo l'inchiesta internazionale de L'Espresso sugli Implant File. «Perché non succeda più e altri non soffrano come me»

L'autorizzazione per effettuare i primi trapianti d'utero è stata concessa al Policlinico di Catania l'estate scorsa. È stato il Consiglio Superiore di Sanità ad approvare il protocollo sperimentale e dare il via libera a Pierfrancesco Veroux, professore alla guida della Chirurgia Vascolare e del centro trapianti del Policlinico, e a Paolo Scollo, capo della Ginecologia e Ostetrica dell'Azienda Ospedaliera Cannizzaro. In Europa esiste soltanto un altro centro in grado di compiere un intervento così complesso, si trova in Svezia e finora sono stati realizzati 12 trapianti. Adesso c'è anche Catania, che ha ottenuto il nulla osta nonostante Pierfrancesco Veroux sieda al banco degli imputati in un processo per omicidio colposo per la morte di un paziente, Francesco Morabito, Franco per i famigliari, entrato all'ospedale di Catania per un trapianto di rene e uscito in una bara. Il fatto risale a quattro anni fa e da allora la moglie, Luisa Giorgio, non trova pace. È difesa dai giuristi di Ferrara Carlotta Gaiani e Fabio Anselmo, l'avvocato dei famigliari delle vittime dei “buoni”, come Stefano Cucchi, Federico Aldovandi, Giuseppe Uva.

Luisa Giorgio vuole andare a fondo e anche la Magistratura, rigettando la richiesta di archiviazione del pm, intende capire perché «le conclusioni a cui sono giunti i consulenti del pubblico ministero siano diametralmente opposte rispetto a quelle fornite dai famigliari di Francesco».

Dopo che l'Espresso ha cominciato a scoperchiare casi di malasanità con l'inchiesta internazionale Implant Files, a proposito dei dispositivi medici impiantati sotto la pelle delle persone, Luisa Giorgio ha deciso di portare la propria vicenda fuori dalle aule giudiziarie, «perché non succeda più e altri non soffrano come me». Eccola, questa storia.

Francesco Morabito ha 61 anni e da tre è in dialisi e in lista d'attesa per un trapianto alla Regione Sicilia e al Centro Trapianti dell'Ospedale Molinette di Torino. Ha già fatto tutti gli accertamenti del caso e risulta idoneo all'intervento. Il 13 febbraio 2015 il centro trapianti del Policlinico Universitario di Catania lo contatta, è arrivato un rene. «Ci viene detto che la donatrice è una donna più giovane di Franco, in buona salute, deceduta a Palermo», racconta la moglie.

Viene compilata la cartella clinica e firmato il consenso informato per il trapianto di un rene. Franco cammina verso la sala operatoria, saranno gli ultimi suoi passi. L'intervento dura circa tre ore, alle 22 lo riportano in camera. «Il medico, Massimiliano Veroux, mi spiega che l'equipe ha eseguito un trapianto doppio con i reni di una donatrice donna. Chiediamo spiegazioni: eravamo certi si trattasse di un trapianto singolo. Il dottore ci risponde che le donne hanno reni più piccoli e, vista la stazza del mio compagno, dovevo essere contenta perché così avrebbe recuperato la piena funzionalità renale». Massimiliano è un medico del Centro Trapianti ed è fratello di Pierfrancesco, il primario sia del centro Trapianti sia della Chirurgia vascolare. Entrambi sono figli di Gastone Veroux. L'Espresso parlava di questa dinastia di medici già nel 2007, a proposito dei Baroni Rampanti, che raccontava di passaggi ereditari di cattedre universitarie e di direzioni sanitarie, di concorsi vinti per genetica.

Quel 13 febbraio 2015, Massimiliano e Pierfrancesco Veroux sono entrambi in sala operatoria insieme all'equipe di medici Alessia Giaquinta, Filippo Giacchi e Riccardo Gula, oggi tutti imputati per omicidio colposo al Tribunale di Catania. Il procedimento nasce da un esposto che la moglie e la sorella di Francesco Morabito presentano alla locale Procura.

La trascrizione della denuncia delle due donne è talmente cruda che i Carabinieri restano interdetti e chiedono loro se sono certe di ciò che vanno dicendo. Del resto, denunciare due Veroux a Catania significa mettersi contro una delle famiglie più potenti e rispettate della zona.

«A distanza di quattro giorni dall'intervento, mio marito inizia ad accusare dolori, è pallido e sofferente. Il medico mi dice che c'è un'emorragia venosa, nulla di preoccupante. Qualche ora dopo Massimiliano Veroux mi informa che Franco deve tornare in sala operatoria per rimuovere l'ematoma e che “occorre dare una rettifica ai reni”, che non sono ancora entrati in funzione. In serata il professor Veroux mi comunica che l'ematoma è stato rimosso, ma a causa di un grave calo pressorio è stato costretto a rimuovere i reni impiantati, che i reni e le arterie “si erano accartocciati”. A notte fonda ci viene concesso di entrare in sala operatoria per vedere Franco, qui due rianimatori ci raccontano un'altra verità: Franco ha avuto un arresto cardiaco per ben 45 minuti e lo hanno dovuto defibrillare per tre volte perché aveva un litro di sangue in tutto il corpo, avevano trasfuso almeno tre sacche di sangue», ha raccontato Luisa Giorgio al pubblico ministero nel corso del verbale di assunzione di informazioni.

Alla richiesta di archiviazione formulata dal magistrato della Procura di Catania, i famigliari di Franco fanno opposizione, raccontando ciò che il loro consulente di parte, Giancarlo Guerrera, aveva evidenziato. «Guerrera partecipò all’autopsia, ma successivamente ad essa non fu più coinvolto dai consulenti del pm, nonostante egli avesse loro sottoposto alcune rilevanti osservazioni delle quali non è stato minimamente tenuto conto nella relazione da questi depositata», si legge nel ricorso.

Da queste carte si scopre che i reni erano stati donati da una donna di 80 anni «affetta da emorragia cerebrale, con registrato episodio di ipotensione grave, con anamnesi positiva per cardiopatia, dislipidemie, aortosclerosi. Positiva a Toxoplasma, Citomegalovirus, Epstein Barr, con esame cito-istologico deponente per uno score pari a 4 (lesioni moderate) per il rene destro e sinistro», rileva Guerrara, che spiega che in base alle linee guida la differenza massima di età dovrebbe essere di dodici anni, in questo caso è di diciannove.

Non è tutto. Nelle carte del coordinamento donazione, che tengono traccia di ogni azione fatta dai sanitari sugli organi, si scopre che questi erano stati espiantati all'ospedale Civico di Palermo. Il rene sinistro era stato inviato al dottor Salvatore Piazza, che lo aveva esaminato e lo aveva giudicato compromesso al punto da non essere idoneo «al trapianto in sicurezza», neanche per doppio trapianto. Il rene destro viene inviato all'ospedale di Catania. La dottoressa Rossana Pasquale, che si occupa della pratica, annota: «Il professor Veroux è stato informato della non idoneità e Ismett aspetta il rifiuto del Policlinico di Catania per dare risposta sui reni». Invece Veroux, poco dopo, accetta i due reni ed è pronto ad eseguire un doppio trapianto. Peccato che Franco, il diretto interessato, non era stato informato di questo cambio di programma: «Nel modulo del consenso informato firmato dal signor Morabito la scritta “doppio” è stata anteposta in un momento successivo e a posteriori». Proprio Veroux è stato relatore di una tesi di laurea a proposito dei maggiori rischi del doppio trapianto.

Ad aggravare il tutto è l'attesa di quattro giorni, prima dell'espianto dei due reni, che non avevano mai funzionato: «Il secondo intervento viene eseguito per ridurre un ematoma e non per espiantare i reni per crisi di rigetto. Solo in seguito all'operazione si dà atto dell'avvenuto espianto degli organi, che però non avevano mai funzionato. Ma il rigetto iperacuto si manifesta dopo minuti o ore dall'intervento, non dopo giorni dall'intervento», racconta il medico.

L'intervento da espianto è più complicato del previsto e poco dopo Franco muore e viene convocata la moglie: «Sono stata chiamata dal primario di terapia intensiva, il quale mi ha raccontato che Franco non aveva valutato bene i rischi ed i benefici del trapianto e se si trovava in quella situazione la colpa era della sua decisione e che, visto che soffriva di epatite C, il fegato, la più grossa ghiandola del corpo, non funzionava bene e questo aveva reso tutto più difficile. In realtà Franco era guarito dall'epatite. E poi Franco era un informatico, come poteva valutare i rischi dell'intervento? Spetta all'equipe dei medici tale valutazione».

Pierfrancesco Veroux, in un audit richiesto dall'assessore regionale alla Salute, in seguito alle segnalazioni dei famigliari di Morabito, spiega che «il problema vascolare ai reni identificato dal chirurgo palermitano era risolvibile dai chirurghi del Policlinico di Catania in quanto specializzati in chirurgia vascolare». E continua dicendo che: «Non è prassi richiedere preventivamente la firma del consenso per il doppio trapianto».
La moglie di Franco non è sorpresa del fatto che l'assessorato alla sanità regionale ha chiuso la vicenda sostenendo che tutto è stato compiuto secondo le norme, «avevo percepito un clima di favore verso i sanitari catanesi mentre venivo sentita».

Invece il giudice per le indagini preliminari, Alessandro Ricciardolo, accoglie l'opposizione presentata dai famigliari di Morabito e ordina di formulare l'imputazione coatta. All'udienza preliminare, che si è svolta nell'autunno 2018, i fratelli Veroux hanno chiesto di procedere con rito abbreviato, cioè hanno chiesto di essere giudicati solo sulla base degli atti d'indagine presenti fino a quel momento, mentre Riccardo Gula e Filippo Giacchi, all’epoca specializzandi, hanno scelto di andare a dibattimento. «Abbiamo chiesto al giudice, in base agli elementi contraddittori, di ammettere una perizia già in questa fase», spiega l'avvocato Carlotta Gaiani e il Gup Anna Maria Cristaldi l’ha ammessa.

L'udienza è fissata a fine marzo e in quell'occasione i periti Giorgio Bolino e Massimo Rossi, nominati dal giudice di Catania, presenteranno l'esito delle loro indagini, che dalla relazione preliminare recentemente depositata agli atti parrebbe ancora una volta assolutorio dell’operato dei medici.

«I periti dovranno però spiegare al Giudice – dice l’avvocato Fabio Anselmo - perché non hanno acquisito, né prodotto, né esaminato quella relazione di inidoneità sottoscritta dal dottor Salvatore Piazza che dopo aver eseguito la chirurgia da banco sul rene sinistro ha rilevato una aortosclerosi che coinvolgeva l’ostio dell’arteria renale fino ai due terzi della stessa, non ritenendolo quindi idoneo al trapianto in sicurezza. Quel rene è stato trapiantato su Franco: si vuole sostenere che non era prevedibile che potesse dare gravi problemi il trapianto di un rene in quelle condizioni?»