I farmaci a base di testosterone sono fuori produzione in tutta Italia. Ma sono l'unico compromesso che richiede l’adeguamento al genere sentito come proprio. Messa al muro, la comunità trans non vede alternative: resta solo il mercato illegale (Foto di Alessandro Penso)

«Ci siamo riuniti di fronte al pc e abbiamo ordinato un centinaio di fiale da un sito indiano». Daniele ha 45 anni, è un uomo transessuale; "Ftm", si dice così quando si transita dal genere femminile a quello maschile. Daniele è in terapia ormonale sostitutiva (TOS) da un anno e mezzo. Deve assumere una fiala di “Testoviron” ogni 28 giorni per riequilibrare gli ormoni. È l’unico compromesso che richiede l’adeguamento al genere sentito come proprio. A un certo punto, nel mese di gennaio, si è recato nella sua farmacia di fiducia. “Buongiorno, mi spiace ma i farmaci a base di testosterone sono fuori produzione”. È andata così. Il testosterone è sparito. Percorre tutta la città. Scaffali vuoti. Dal sud al nord Italia. «È un’emergenza che coinvolge tutto il paese e non riusciamo ad ottenere risposte» racconta. «Da Napoli a Palermo abbiamo fatto questo ordine online. Arriverà dall’India. Forse sto rischiando ancora una volta la mia salute, non ho la certezza di cosa ci sia all’interno di queste fiale, ma non posso aspettare».
Roma punto di riferimento per tutto il Sud
Un cortocircuito che viene confermato dalla dottoressa Giulia Senofonte, specialista in Endocrinologia e dottoranda di Ricerca presso il Policlinico Umberto I di Roma: «Il testosterone - spiega - lo può prescrivere solo un endocrinologo che sia dell’ASL o del policlinico. Il punto è che non tutte le ASL si occupano di disforia di genere. Nel Lazio ci siamo noi, ad esempio».
L’Umberto I risulta il polo di riferimento per il centro sud sulla questione della disforia di genere. Gestito dal professore Lombardo, responsabile dell'ambulatorio di Endocrinologia e Andrologia presso il Dipartimento di medicina sperimentale (responsabile prof. Andrea Lenzi). L’unico centro pubblico che dal 2013 ha in attivo un day hospital che segue i primi due anni di terapie delle persone transessuali. Qui sulla base di una relazione dello psicologo e dello psichiatra viene diagnosticata la disforia di genere. Successivamente somministrata la terapia ormonale sostitutiva per far sviluppare alcune caratteristiche del genere sentito come proprio e per fare regredire quelle del sesso biologico. La persona interessata può richiedere al tribunale del luogo dove risiede l’autorizzazione al trattamento medico chirurgico di riconversione sessuale. La legge 164 del 1982 che autorizza le terapie ormonali, consente se si è pronti, l’intervento. Un testo molto contestato dalla comunità trans. Sebbene nel 1982 fosse rivoluzionario, oggi appare superato. L'obbligo di ricorrere a pareri medici e alla decisione di un giudice per affermare la propria identità di genere è vissuto dalle persone trans come svilente del diritto di autodeterminarsi, ormai riconosciuto da diversi stati del mondo.
 
«Ho pazienti che vengono dalla Sicilia, dalla Calabria» racconta la dottoressa Senofonte «ma sul territorio nazionale non c’è molto conoscenza della disforia dal punto di vista del personale medico. Non c’è proprio la cultura. Spesso un endocrinologo che in una ASL potrebbe prescrivere il testosterone a una persona trans, prima di farlo rimanda al collega di competenza che si trova in un altro centro». Tempi biblici.
Inoltre: “Cambiare una terapia in corso d’opera può risultare un problema - spiega Senofonte - Nonostante sia lo stesso tipo di ormone, la formulazione ha caratteristiche diverse e non tutti rispondono alla terapia. Ho dei pazienti che hanno iniziato con il Testoviron, adesso in mancanza stanno facendo il Sustaston e gli è tornato il ciclo. Per me è una sconfitta terapeutica. Quello è la prima cosa che giustamente richiede un soggetto trans nel nostro ambulatorio”.
 
Le Asl impreparate
Un endocrinologo esperto in disforie di genere è di per sé una rarità all’interno di un Asl. Ma è anche il sentimento di solidarietà, accoglienza, sensibilità che spesso allontana le persone transessuali dal servizio pubblico. Come racconta Antonello: “Ci sono stato in un Asl. Mi sembrava di essere finito su un altro pianeta. Qualcuno sbagliava i pronomi, gli aggettivi. Non era colpa loro, ma l’impreparazione era palese”. Rivolgersi ad Antonello al femminile significa negare ciò che è e come ormai appare. Sbagliare i nomi, i pronomi, gli aggettivi significa cancellare con una parola sbagliata tutto il percorso di una persona trans, e provocare una grande sofferenza. Non è una questione “puramente lessicale”. Negare l’identità delle persone con cui siamo in relazione significa chiamarsi fuori, alzare un muro tra noi e la vicenda umana degli altri. Hanno lottato anni per arrivare a questo punto, vengono traditi da una semplice «a». Un rapporto di fiducia che si incrina fino a spezzarsi e allontana così il paziente.
 
Le associazioni: “Situazione paradossale”
Confusione massima, soluzioni pericolose e improvvisate dai pazienti. Cathy La Torre, avvocata per Cest in questi giorni tenta di indirizzare i ragazzi verso le ASL, invano: “Viviamo una situazione emergenziale e paradossale - spiega a L’Espresso - le Asl chiedono la giustificazione dell’endocrinologo, ma gli endocrinologi che si occupano di disforia di genere sono pochi, molto molto distanti e con liste di attesa molto lunghe.
“Scriveremo una lettera formale ad Aifa per metterli al corrente di questi problemi perché è chiaro che non è sufficiente che mandino un dispaccio a tutte le ASL pe reperire l’ormone, se poi le ASL lo fa solo attraverso la prescrizione degli endocrinologi che non ci sono”. Del resto gli esperti nel trattamento delle persone con disforia di genere devono saper maneggiare la somministrazione di un ormone a una persona con un sesso biologico diverso. La situazione è gravissima e il tempo è l’unica cosa che le persone trans non hanno dalla loro parte”.