Il Movimento 5 Stelle è primo nei sondaggi ma non ha i numeri per governare da solo. E visto che il Pd di Renzi si colloca in una direzione opposta, resta aperto solo uno scenario: patto del Nazareno contro alleanza sovranista

I 5 Stelle continuano ad essere un rebus. Sono ubiqui, stanno sia a destra sia a sinistra, sono un po’ apprezzati da tutti, soprattutto dai leghisti, pescano nelle varie categorie sociali con una fortissima sovra-rappresentazione della fascia giovane fino ai 45 anni e con una sotto-rappresentazione simile tra gli over 65.

Questa ubiquità nasconde, o forse consente, una grande indeterminatezza su una infinità di questioni cruciali. E altrettanto indeterminato è il modo con cui il M5S intende organizzarsi se sarà chiamato a responsabilità governative. Su questo piano si intravedono nuvole all’orizzonte.

L’intervento d’autorità di Grillo che ha defenestrato la candidata di Genova nonostante avesse vinto la competizione interna segnala tutta la difficoltà a gestire un partito numericamente esploso. Regole pensate per un movimento fluido e alieno da responsabilità non reggono alla trasformazione del M5S in un soggetto politico di primo piano, con tutti gli oneri conseguenti ai crescenti onori.

L’autocrazia proto-carismatica del fondatore non basta più e non è più accettata supinamente. Il passo di lato di Grillo compiuto quasi due anni fa, anche se poi ha dovuto fare marcia indietro, ha comunque oscurato la sua immagine perché nell’elettorato - e anche tra i grillini - la televisione è ancora il mezzo che, più di ogni altro, orienta le scelte politiche e, implicitamente determina le gerarchie interne.

Infatti, ormai sono i volti televisivi dei Di Maio and co. a identificare il movimento presso il pubblico. Ma dirigenza non è definita da regole precise e riconosciute. Questo spalanca la porta a futuri conflitti, magari non per la definizione delle liste - ci sarà posto per tutti - ma per il dopo elezioni. Chi detterà l’agenda e i rapporti con le altre forze politiche, oltre a Grillo?

I pentastellati ripetono che se, in quanto primi, avranno l’incarico di formare il governo dal presidente della repubblica faranno delle proposte agli altri partiti affinché esse vi convergano. In realtà, affinché si accodino: infatti il M5S non prevede alcuna trattativa visto che la ragione sociale del movimento è proprio quella di rifiutare gli “inciuci” e portare la politica alla luce del sole. Queste ingenuità non avranno le gambe lunghe già tra qualche mese: se i sondaggi continuano a premiare i pentastellati assisteremo ad una ricalibratura della loro strategia coalizionale perché non sono animati dal desiderio della pura testimonianza ma vogliono, fortissimamente, governare.

Ai 5 Stelle non interessa più di tanto fare battaglie di principio: ambiscono al potere, nonostante l’indimenticabile uscita di Paola Taverna alla vigilia delle elezioni romane: «C’è un complotto per farci vincere!». I grillini hanno una componente pragmatica, di attenzione alle cose - non per nulla tanti suoi esponenti locali hanno una formazione scientifica - che li porta naturaliter verso il governo.

Su molti temi vivono ancora sulla luna - pensiamo agli strafalcioni in politica estera ed europea - ma il grillismo di base, quello che circola nei meet-up di lunga data è improntato al problem solving. L’assenza di una ideologia di riferimento è un atout per importante per il M5S. Gli impedisce di arroccarsi su una posizione predefinita e lo pone al “centro geometrico” della politica.

La sua collocazione strategica e l’attrazione che esercita a 180° gradi su tutti i fronti deriva dalla sua ubiquità e plasticità ideologica. Quanto detto fin qui vale a livello elettorale. A livello parlamentare il gioco è diverso - e si fa molto più duro. Perché nessuno è disposto a favorire un concorrente.

In particolare, il Pd renziano punta ad uno scontro duro, diretto, senza sconti. Come in questi ultimi anni. Il probabile futuro segretario del partito ha già definito lo scenario: o noi o loro. Del resto il fossato tra i due partiti è diventato incolmabile nonostante i buoni uffici di Emiliano (peraltro sempre rimandati al mittente). Con la conseguenza di rendere ipotizzabile un’alleanza sovranista-populista tra M5S, Lega e Fratelli d’Italia. E di arrivare ad un inedito bipolarismo con, dall’altra parte, la riproposizione del patto del Nazareno. Uno scenario ben diverso da quello prefigurato da chi si cullava sulle onde del 40 per cento delle Europee.