La sentenza della Corte Costituzionale fa a pezzi l'Italicum e riporta in vigore il proporzionale. Resta il premio di maggioranza ma scompare il ballottaggio: il nome del vincitore delle elezioni si scoprirà solo in Parlamento. E da stasera renziani e grillini vogliono la stessa cosa: voto subito
Il futuro, prima o poi, torna, si intitola il primo post del blog che
Matteo Renzi ha aperto questa mattina. Nell'attesa, però, è tornato il passato, con la sentenza della Corte costituzionale che dopo un'attesa interminabile, scontri in punta di diritto, pause pranzo e sussurri di liti, ha fatto a pezzi la legge elettorale
Italicum prodotta da questo Parlamento nel 2015, dopo che la stessa Corte aveva bocciato la precedente legge elettorale, il Porcellum.
Torna il passato recente della storia repubblicana: la
legge elettorale proporzionale. Perché eliminando il ballottaggio, considerato incostituzionale (eppure vige in tutti i comuni italiani per i sindaci e in molti paesi democratici, a partire dalla Francia) la Corte affossa il dogma renziano, sapere chi è il vincitore delle elezioni la sera stessa del voto, e ripristina riti e abitudini della Prima Repubblica: se nessun partito o lista raggiunge il 40 per cento, e stando ai sondaggi appare un obiettivo impossibile sia per il Pd che il Movimento 5 Stelle, il sistema torna alla proporzionale pura,
tanti voti tanti seggi, con un timidissimo sbarramento del tre per cento. E torna un passato ancora più remoto, la democrazia ateniese, con le cariche elettive scelte per sorteggio, su cui ha scritto pagine illuminanti Bernard Manin in "Principi di governo rappresentativo": la Corte introduce il principio del
sorteggio per decidere quale sarà il collegio che tocca ai capilista candidati in più circoscrizioni, dato che l'opzione volontaria è stata dichiarata incostituzionale.
Sono i frammenti di un sistema politico a pezzi. Con la Camera che ha un sistema elettorale e il Senato che ne ha un altro. Con una legge «
immediatamente applicabile», scrive la Corte, che però renderebbe il Paese ingovernabile chissà per quanto. Una nuova legge elettorale sarebbe necessaria, ma è quasi impossibile che riesca a farlo questo Parlamento in scadenza, dopo aver già fallito l'occasione di riscrivere le regole nei quattro anni precedenti. Il Movimento 5 Stelle chiede il voto subito, come la Lega di Salvini, ed è la reazione naturale. Ma la sentenza deflagra soprattutto all'interno del Pd, dove il capogruppo Ettore Rosato pochi istanti dopo la pubblicazione delle decisioni della Corte ha chiesto elezioni subito, con la proporzionale.
I renziani e i grillini parlano questa sera con la stessa lingua: votare subito. Ma è difficile che tutto il Pd segua Renzi su questa linea. E che il Quirinale possa tacere dopo aver fissato il paletto di una legge unica per Camera e Senato.
Di certo la tregua è finita. E anche il lungo periodo cominciato un quarto di secolo fa e giornalisticamente e politicamente ribattezzato Seconda Repubblica. Già ferita a morte con il voto del 4 dicembre, oggi finisce anche su un piano istituzionale. Gli attori delle fasi precedenti si preparano all'ennesima metamorfosi: da profeti del maggioritario a paladini della proporzionale. Delle riforme di Renzi resta poco o niente: chi chiedeva di conoscere il nome del vincitore la sera stessa si accontenterà di saperlo molte settimane dopo. Con l'incarico da assegnare a chi arriva primo: il mitico partito di maggioranza relativa. Di M5S non si conosce quale sistema istituzionale sia il preferito, l'importante è votare e ogni situazione confusa fa il gioco di Grillo. È l'ennesima puntata della tormentata vicenda italiana: l'unico paese in cui cambiano le repubbliche, le leggi elettorali, ma non i nomi dei protagonisti.