La Consulta ha preso una decisione storica che apre la strada al cognome materno per i figli. "Sarà operativa da subito" dice il costituzionalista Ceccanti "ma solo se c'è accordo tra i coniugi". Per gli altri casi "servirà una norma". E in Senato un ddl c'è già, basta finire il lavoro. Anche se di accelerazioni, per ora, non se ne vedono

La sentenza è storica, la supplenza della giustizia sulla politica è evidente. Eppure la decisione della Consulta di aprire la strada al cognome materno per i figli, dichiarando incostituzionale l’automatica attribuzione del cognome paterno, è una spinta verso un futuro che in realtà è ancora vago, tutto da definire.

Anzitutto perché una legge servirà comunque. “La possibilità di utilizzare anche il cognome materno sarà subito operativa da quando esce la sentenza, purché i genitori siano d’accordo”, spiega il costituzionalista Stefano Ceccanti: “Per gli altri casi, penso anzitutto che per i figli già nati prima della decisione della Consulta, invece, servirà una legge”.

Servirà anche un cambiamento di mentalità complessivo che sin qui ha faticato a farsi strada. “Ora si attribuisce una facoltà, ma chi pensa che da ora in poi avremo ovunque anche il cognome della madre, se lo scordi. Il rischio che prevalga comunque la cultura patriarcale c’è”, dice l’avvocata Giulia Bongiorno, che ha raccontato anche in un libro (Le donne corrono da sole) la sua vana battaglia parlamentare per il doppio cognome e le resistenze che ha incontrato tra i politici.

C’è una questione culturale ancora da affrontare: quella stessa che ha portato finora il Parlamento a lasciare la questione in un cassetto, nonostante trentasette anni di proposte di legge, pronunce della Consulta e della Corte europea dei diritti umani. Ed è anche un problema pratico. Adesso, infatti, con la novità introdotta dalla Consulta l’unico dato certo, come spiega anche l’avvocata che ha portato avanti il ricorso, è che il cognome del padre, nei figli nati all’interno di un matrimonio, non è più automatico.

Si potrà fare anche diversamente ma in che modo e con quali confini non è ancora chiaro: manca ancora la sentenza che dovrà definire i termini della decisione, e comunque anche il dispositivo non potrà risolvere in toto la casistica. Insomma: tolto l’automatismo (sul cognome del padre), non se ne fa un altro ugualmente potente (sarà doppio cognome sempre e comunque?). Soprattutto: la Corte Costituzionale può arrivare fino a un certo punto. “La Consulta ha il potere di dichiarare incostituzionale una legge, ma la sentenza non sostituisce l’obbligo di una legge”, dice il senatore Sergio Lo Giudice, relatore in Senato del ddl sul cognome materno che giace in commissione Giustizia da due anni, ripreso in mano da qualche tempo, e che forse sta per avere – giusto per via giudiziaria - una nuova spinta. “Io una accelerazione me la auguro”, dice lui.

Insomma, se è vero che la Consulta ha scavalcato l’immobilismo parlamentare, anche dalla politica, alla fine, dovrà arrivare un segnale. “Un vero legislatore coraggioso, una legge la farebbe”, dice Bongiorno.

E comunque una legge servirà. Ne è convinta anche Stefania Stefanelli, docente di diritto di famiglia all’Università di Perugia, autrice di alcune pubblicazioni giuridiche sul tema. “La sentenza della Consulta, che ancora non conosciamo, potrà indicare una norma immediatamente efficace, oppure enunciare un principio, lasciando poi al legislatore il compito di articolarlo. Ma l’ambito è talmente vasto che è difficile che una sentenza sola possa coprire tutta la casistica”, spiega.

Vale a dire che bisognerà regolamentare tutta la materia, andando al di là del ricorso specifico. Si dovrà decidere cosa vale per le coppie non sposate, cosa si fa in caso di disaccordo tra i coniugi, in che termini la nuova legge si applica per i figli già nati e cresciuti. Pena introdurre una nuova disparità di trattamento che a sua volta sarebbe incostituzionale. Una legge dunque servirà: e quella che c’è in Parlamento già si occupa di tutti questi casi, per esempio stabilendo che in caso di disaccordo vale la regola del doppio cognome in ordine alfabetico, e che ciascuno potrà poi trasmettere uno solo dei propri cognomi alla discendenza. Ma, c’è da dire, nonostante la buona volontà di qualcuno, che non sembra un momento particolarmente adatto, in Parlamento, per occuparsene.