Come si può agire sul cambiamento per una riforma globale del sistema? Su questo nodo i giornalisti dell'Espresso hanno avviato il dibattito a Torino col ministro della giustizia Orlando, il procuratore nazionale antimafia Roberti, il giurista Grosso e il magistrato e scrittore Giancarlo De Cataldo

Stagione giusta. Ottimismo. Riforma globale del sistema. Lotta alla corruzione e alle reti che uniscono criminalità organizzata e corruttele politiche. Partecipazione dell'opinione pubblica per rendere più trasparente la PA. Sono le parole d'ordine che risuonano al Salone del libro, nel dibattito dei Dialoghi dell'Espresso sul tema 'Se questa è giustizia'. A discutere e proporre idee per il futuro prossimo su come sia possibile imprimere un cambiamento a questo nodo centrale della vita pubblica italiana, sono stati chiamati, coordinati dal direttore del nostro giornale Bruno Manfellotto, dal caporedattore Gianluca Di Feo (che di giustizia si occupa dagli anni di Tangentopoli) e dall'inviato Lirio Abbate (che segue in particolare la criminalità organizzata di stampo mafioso) il ministro della giustizia Andrea Orlando, il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, il giurista Carlo Federico Grosso e il magistrato e scrittore Giancarlo De Cataldo.

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Il direttore Bruno Manfellotto sottolinea, aprendo l'incontro e rivolgendosi al ministro Orlando, come i fatti delle ultime settimane, dalla condanna di Marcello Dell'Utri latitante in Libano all'arresto dell'ex ministro Claudio Scajola all'inchiesta sugli appalti dell'Expo di Milano mettano in risalto le questioni irrisolte del sistema giustizia, dalla prescrizione alla corruzione. Tocca al ministro avviare una revisione globale del sistema giudiziario che è stata troppo a lungo rinviata.

La cronaca delle ultime settimane evidenzia anche un altro punto importante: la 'supplenza' della magistratura che interviene laddove la politica non arriva. Il direttore chiede al Orlando quanto questa debolezza sia preoccupante. Secondo il ministro la legge anti corruzione è una buona legge per quel che riguarda la trasparenza e l'andamento della pubblica amministrazione, ma quando arriva la sanzione penale la corruzione si è già verificata. La vera sfida è costruire un sistema che impedisca che si compiano i reati. Una situazione complessa necessita di risposte plurali e, su questo punto Orlando insiste più volte, non demagogiche. “Abbiamo difficoltà a definire i confini tra mafia, corruzione politica e faccendieri. Si sono create delle reti per condizionare la PA”. Un antidoto che non è normativo ma può “guardare a istituzioni che già esistono altrove” è una maggiore partecipazione dei cittadini alle scelte della PA. Il “coinvolgimento responsabile” è fondamentale per farla funzionare meglio e, tenendo i riflettori accesi, per ridurre la possibilità che venga infiltrata da tentativi di corruttela.

Quando Manfellotto gli chiede poi che cosa il Governo intende fare sulla prescrizione, Orlando replica che non ha senso “dare alla norma un valore salvifico”, perché talvolta la prassi, e questo è un concetto sul quale il ministro renziano insiste molto, è “importante quanto le norme”. Il vero tema è la crisi del processo, penale ma anche “civile, un punto di cui si discute troppo poco”. Dove non funziona la giustizia, dove è percepita una situazione di illegalità, sono soggetti terzi – ed è il caso del controllo mafioso del territorio – che si incaricano di dirimere le controversie.

“La prescrizione è da affrontare dentro un'idea di come si fa funzionare il processo” ma rifare il mosaico generale della giustizia necessita di una stabilità politica che negli ultimi anni è mancata. Più avanti, nel corso del dibattito, il ministro tornerà di nuovo a mettere in risalto l'importanza di far funzionare la giustizia civile. Perché nell'ottica di favorire gli investimenti stranieri nel nostro Paese, togliere di mezzo la percezione di scarsa efficienza è fondamentale. E qui di nuovo si sente la mission renziana che il ministro fa sua.

Il nostro inviato Lirio Abbate invece, nel rivolgersi al procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, evoca innanzitutto la sempre maggiore complessità del quadro in cui è necessario intervenire per battere il potere e le infiltrazioni delle mafie e chiede quali siano gli strumenti di cui procure e magistrati antimafia hanno bisogno. Roberti traccia rapidamente il quadro di come il sistema mafioso si sia evoluto da quando, negli anni Ottanta, Giovanni Falcone lo definì “un fatto umano che come tutti i fatti umani ha avuto un inizio e avrà una fine”. “La previsione di Falcone” dice “non si è avverata”, piuttosto il fenomeno è cambiato, si è inserito in una pluralità di reti di malaffare “che si chiamavano e si chiamano ancora Tangentopoli, con le stesse dinamiche e le stesse facce di ieri”. La criminalità organizzata mafiosa, spiega il procuratore, si è incrociata con altre reti di criminalità.

Come quelle delle grandi industrie che producono in nero e smaltiscono in nero, generando il traffico illegali dei rifiuti. “Le cricche, i furbetti, la cricca degli appalti” non sono organizzazioni mafiose ma con la mafia sono contigue. Nel 416 bis, nella nella descrizione del metodo mafioso “la corruzione non c'è e ci dovrebbe essere”.
Poi Roberti commenta l'inchiesta che il nostro giornale ha realizzato alcune settimane fa sulla corruzione all'interno dei palazzi di giustizia. “E' vero che la prescrizione va inserita in una riforma del processo. Perché la prescrizione incoraggia la corruzione nei palazzi di giustizia, diventa criminogena. La giustizia che ritarda i tempi è un regalo che facciamo alle mafie e non ce lo possiamo permettere”.

Tocca ancora a Lirio Abbate toccare il tema delle intercettazioni, strumento fondamentale per l'Antimafia che periodicamente la politica vuole rivedere. Secondo Roberti, il vero pericolo in questo momento è la pronuncia della Corte di giustizia europea sui dati sensibili che, per massima tutela della privacy, devono essere rapidamente distrutti. “Questo va contro l'esigenza di mantenere nel tempo dati che possono essere utili dopo. La banca dati della procura nazionale serve per dare impulso alle indagini antimafia. Se noi li dovessimo distruggere perderemmo strumenti di lavoro contro le mafie. Servono per informare le prefetture con un contributo di conoscenza per i provvedimenti di interdittiva antimafia”.


Con una nota di amarezza, il nostro caporedattore Gianluca Di Feo fa notare che, come risulta dai documenti pubblicati dall'Espresso, l'allarme della procura Antimafia sull'Expo è stato ignorato, e questo ora crea, tra gli altri, il problema di rimpiazzare le ditte inquisite per evitare il blocco dei lavori.

Tocca al giurista Carlo Federico Grosso interpretare il tema della riforma della giustizia dal punto di vista degli avvocati, e articolare le sue proposte per il cambiamento. A chi gli chiede se ci sia da parte degli avvocati un'azione frenante sulla riforma, Grosso replica che, da avvocato, ritiene che la giustizia vada riformata anche se “con le regole attuali, non abbiamo interesse e anche dovere professionale a utilizzare gli strumenti per ritardare i processi”. Ma le riforme servono. Servono i tempi ragionevoli del processo. Serve la certezza della pena. Commentando la promessa di Renzi di cambiare il sistema giudiziario entro giugno, il giurista ritiene che non sia un obiettivo plausibile una riforma globale, ma pensa anche che partire dai progetti che il ministro Orlando ha già sul tavolo sarebbe la cosa più saggia per “disinnescare la mina” della prescrizione. Così come bisognerebbe affrontare il tema del falso in bilancio che “si prescrive pressoché inesorabilmente”. E tocca il tema delle sanzioni alternative al carcere, “istituti che vanno razionalizzati”, un altro soggetto di discussione su cui anche il ministro Orlando tornerà parlando di come alleviare la situazione esplosiva della carceri. Toccherà ad Orlando difendere la legge Gozzini e, sul tema del sovraffollamento, ribadire che è importante ultimare nuove carceri ma anche rimpatriare i circa 5000 detenuti comunitari che si trovano in Italia.


Quando l'avvocato Grasso conclude che “la riforma è indifferibile” e che oggi “non rischiamo più leggi ad personam perché si è chiusa un'epoca” parte dalla platea un lungo applauso.

Il magistrato e scrittore Giancarlo De Cataldo esordisce dicendosi d'accordo con il ministro di Giustizia (“cosa che non mi succedeva da molto tempo”) e sottolinea come gli ultimi decenni siano stati caratterizzati da un'aggressione della politica nei confronti della magistratura. “I giudici” dice “Sono stati a lungo seduti dalla parte dei potenti. Quando abbiamo cominciato a guardarli da lontano allora sono stati attaccati”. Se non si può negare che “i governi di centro destra sono stati una falange schierata contro la magistratura” ora siamo in un momento diverso, e “serve un tavolo di tecnici, giuristi, anche la Banca d'Italia, per cambiare rotta. Serve un linguaggio modificato. Oggi per la prima volta mi sento più ottimista” prosegue indicando alcune possibili modifiche, tra cui la sospensione della prescrizione per i latitanti.

E qui tocca a Lirio Abbate, che a lungo si è occupato di Marcello Dell'Utri, incalzare il ministro Orlando: “Visto che si sono voluti vent'anni per condannare Dell'Utri, chiede, che certezza abbiamo di estradarlo? Il ministro dà una risposta diplomatica, sostiene che il governo “Ha fatto tutto quello che è previsto nei trattati, con particolare scrupolo. Il diritto internazionale è comunque il più incerto. Il Libano è un paese instabile, che ha avuto una lunga guerra civile. La magistratura è uno dei punti di tenuta del paese. Credo ci siano le condizioni per cui possa andare a buon fine”.

Con questo augurio, che sarebbe un ulteriore segnale che si è entrati in una nuova stagione per la giustizia italiana, l'incontro si conclude.