Tradizionale o allargata, etero o gay, è uguale: il nucleo affettivo di base è l'ombrello sotto cui gli italiani si rifugiano per affrontare la tempesta della crisi. E non solo quella economica
Coppie che si sfasciano, famiglie che si ricostituiscono, madri single, padri separati, figli che non se ne vanno, anziani che rimangono soli. È la famiglia di ultima generazione, di cui tutti parlano ma pochi capiscono. Sono i nuovi format familiari che preoccupano, insospettiscono, a volte scandalizzano. La famiglia, dagli anni Settanta in poi, ha attraversato moltissime turbolenze. Ma proprio mentre tutti la danno in via di estinzione, o perlomeno in seria crisi, ecco che dimostra una sua impensata vitalità: si rompe ma si ricompone, si frantuma ma si rafforza. Anche oggi, dopo tanti venti di guerra, dopo le contestazioni e le implosioni, si rivela ancora un porto sicuro durante le tempeste sociali. Incrollabile certezza nel vortice della vita.
È una storia tutta italiana, questa, che riaffiora a dispetto di ogni cambiamento: i legami familiari rimangono centrali. Anche dietro la scelta più trasgressiva si nasconde, se si va a vedere, una rete collaudata di solidarietà. Una struttura antica, si direbbe contadina.
Lo narrano le statistiche, le ricerche, i sondaggi e soprattutto la vita quotidiana. Secondo l'ultima rilevazione Istat, si dilata ulteriormente la permanenza dei ragazzi, tra i 18 e i 34 anni, in casa dei genitori: dal 2008 al 2012 è aumentata ancora dell'1 per cento. Cresce anche il numero degli anziani che tornano a vivere in casa dei figli, per contribuire con la loro pensione. Intanto i ragazzi, come ha rivelato nelle sue ultime ricerche il Censis, ammettono che per loro la famiglia è la cosa più importante. Non solo: i genitori sono tornati a essere un modello, a cominciare dal padre, che pure sembrava negli ultimi tempi sostanzialmente "sbiadito". Ma basta guardarsi intorno per capire che la via italiana alle nuove famiglie ha radici lontane, e un sapore antico.
Antonio, bancario, 58 anni, dopo un matrimonio e una convivenza, e dopo tre figli, è tornato a vivere dalla madre, nella casa al mare vicino Roma comprata negli anni del boom economico. «In questa casa passavo le vacanze da bambino», racconta: «Oggi si è rivelata preziosa. Qui costa tutto meno, io con le famiglie che devo mantenere non mi posso permettere altro. Mi sono sistemato al piano di sopra, mia madre, ottantenne, di sotto. È un bene? Un male? È regressivo? Maschilista? Non me lo chiedo proprio». È così però che si risparmia, è in questo modo che si sopravvive.
È andata a vivere nella casa al mare anche Cinzia, cinquant'anni, separata, assiste anziani per necessità. «Mio marito non mi passa più soldi e gli affitti sono diventati troppo cari. Così io sono venuta qui, nella casa che ci eravamo comprati tanti anni fa, mentre le mie figlie - studentesse universitarie - sono rimaste in città ma stanno dalla nonna, nella vecchia casa di quando ero piccola. È in periferia, un tempo la snobbavo, oggi mi ritengo molto fortunata ad averla. Anche mia madre, con cui non andavo più tanto d'accordo, oggi volentieri dà una mano alle ragazze. Ci ha salvato». Sono le conseguenze della crisi. Sono i miracoli della famiglia.
Coppie che si frantumano e altre che si formano. Ale e Silvia, 27 anni, hanno finito l'università, facoltà di economia. Cercano un lavoro "vero" e in attesa di prendere una casa tutta loro dormono sempre insieme a casa dei genitori, un po' dagli uni e un po' dagli altri, in quelle che erano le loro stanze da ragazzi. Mamma e papà, comprensivi, hanno preso un letto un po' più grande. «Aspettiamo di avere un po' di soldi prima di prendere casa», dicono loro: «Quello che guadagniamo con piccoli lavori lo mettiamo da parte». Intanto fanno questa vita dei nostri tempi, a casa dei genitori ma con la laurea e il master in tasca. Come una coppia adulta, ma ancora e sempre figli.
Sono molti i genitori che accettano che i figli dormano in casa con i fidanzati, in attesa che possano permettersi di prenderne una loro. Un modo per i ragazzi di non aspettare, di sentirsi grandi restando bambini; un modo per i genitori di continuare quell'accudimento prolungato che nessun conflitto generazionale, nessuna barricata giovanile o rivoluzione studentesca, è riuscita a cambiare. è una storia tutta italiana, anche questa.
Nel farsi e disfarsi della famiglia, nel suo frantumarsi e ricomporsi, sono gli anziani che spesso rimangono soli. Ma non sempre. Giovanni, avvocato di Bologna, ha deciso di portare a vivere in casa sua la suocera, un'ex professoressa. Era in una casa di riposo, 1.600 euro di pensione ma 2.600 al mese la retta. «Prima io e mia moglie riuscivamo ad aiutarla integrando la sua pensione, ma ora ogni lira serve, perciò abbiamo deciso che verrà a vivere da noi». Così eccoli di nuovo tutti insieme come un tempo, genitori, nonni e figli sotto lo stesso tetto, come negli anni Cinquanta quando diverse generazioni convivevano e le rivendicazioni di autonomia erano lontane.
«È lo scheletro contadino dell'Italia: i legami si allentano ma non si spezzano», spiega Giulio De Rita, ricercatore del Censis che ha recentemente presentato un'indagine sulla famiglia italiana per la multinazionale Procter&Gamble. «Le relazioni familiari uniscono in una rete di solidarietà che accoglie non soltanto quelli che vivono sotto lo stesso tetto. Le famiglie si allungano e ramificano, si dilatano, resistono. Fenomeno che, se guardiamo solo alle convivenze e alle coabitazioni, rischiamo di non capire. La famiglia si restringe, è vero, e ha sempre meno componenti, ma spesso i figli vanno ad abitare vicino ai genitori, in un modo di vivere che, se si va a guardar bene, non è poi tanto lontano dal modello della cascina contadina, dove le situazioni interne via via mutano ma si resta pur sempre tutti insieme». Michela Bolis, sociologa, docente all'università Cattolica di Milano, ha fatto un'indagine sulle nuove coppie e i loro modi di abitare. I risultati sono netti e sconcertanti. «La maggioranza delle persone, che si sposi o vada a convivere, non si allontana mai molto dall'abitazione dei genitori. I due terzi rimangono nello stesso comune di residenza, spesso poco lontano da casa», spiega.
«L'uscita dalla famiglia d'origine non è mai un'uscita vera e propria. I modelli abitativi, da noi, vengono tramandati dai genitori ai figli; così come permangono le stesse modalità di relazione con il territorio. Non c'è accesso al lavoro che valga quanto rimanere nel proprio territorio di riferimento, che poi è quello dei genitori».
Tutto questo mentre le cifre scandiscono una continua trasformazione, o sarebbe meglio dire una disfatta. Un bollettino di guerra in cui la famiglia sembra andare in pezzi: nell'ultimo decennio, dal 2000 al 2010, secondo dati Istat, le unioni libere sono aumentate del 159 per cento, le famiglie ricostituite del 66, le madri sole del 78, i padri soli del 63, i single non vedovi dell'88, le famiglie monogenitoriali del 18 e le coppie senza figli del 20.
Ce ne sarebbe abbastanza per dire che abbiamo voltato pagina, invece…«In una ricerca realizzata dal Censis, alla richiesta "che cosa conta realmente nella vita" oltre il 96 per cento ha indicato la famiglia in cui è nato; una quota analoga ha indicato la famiglia che si è costruito», spiega Giulio De Rita. «La famiglia conta più della libertà, della realizzazione professionale e della sessualità, tutte esperienze che rappresentano invece il rischio, il cercare nuovi orizzonti». Trasformazioni e contraddizioni. Novità e nostalgia. «Quello che sorprende è anche il ritorno delle figure genitoriali, in particolare del padre, come modelli da prendere ad esempio. Nel 1988 circa il 15 per cento degli intervistati diceva di avere il padre come proprio modello, nel 2011 è salito al 22 per cento».
Non sono solo queste le sorprese. Contraddizioni arrivano anche dal fronte delle unioni libere: aumentano, ma per la maggioranza degli italiani il matrimonio rimane un'unione sacra. «Tutti i rapporti di coppia stabili hanno di per sé un senso sacrale», spiega De Rita: «Qualsiasi unione in cui ci si dichiara rispetto e fedeltà è considerato un vincolo sacro. Sembra una grossa contraddizione quella che stiamo rilevando proprio nelle ultime indagini, ma questa è la radice contadina che neanche la Chiesa sa più interpretare più. Quell'anima di cui non ci liberiamo neanche col modernismo più acceso». Sacralità dell'unione mentre diminuiscono i matrimoni religiosi; mentre le coppie coniugate con figli - il modello di famiglia tradizionale - diventa sempre più minoritario. «Quello che colpisce», interviene Linda Laura Sabbadini, dirigente dell'Istat, «è che le coppie coniugate con figli siano scese al 30 per cento. Una quota molto bassa. Anche i matrimoni religiosi sono in forte calo: in Lombardia le unioni civili hanno fatto il sorpasso. Mentre tutto questo avviene, però, assistiamo a una contaminazione continua di vecchio e nuovo, a un mix di antico e moderno che è poi il modo italiano di vivere il cambiamento».
Dietro le famiglie nuove e progressiste, dai diversi nomi e dai mille colori, si celano modelli che resistono a tutti i restyling. «In Italia abbiamo un modello di famiglia molto presente che in questi anni, per motivi economici, si è ulteriormente rafforzato», è l'opinione di Paola Di Nicola, sociologa e docente all'Università di Verona. «Così come si è intensificata l'attività di scambio e la reciproca dipendenza: i genitori vivono più a lungo e aiutano per un tempo più lungo di un tempo, ma il modello è sempre quello. Non ci sono relazioni nuove neanche nelle famiglie ricostituite. Resta, per esempio, il conflitto tra madre biologica dei figli e nuova compagna, nonostante quello che le rappresentazioni da spot vorrebbero farci credere. La famiglia resiste, e proprio nel momento della fine del modello tradizionale rimane un importante progetto di vita». Il più importante, forse, per gli italiani.