Redditi in calo, clienti in difficoltà: la recessione colpisce anche la grande distribuzione. Che inventa promozioni di ogni tipo per far quadrare i conti

Se piangessero solo i piccoli, potremmo dire: niente di nuovo sotto il sole. Quando la congiuntura rallenta, i primi a farne le spese sono i negozietti, muoiono come mosche colpiti dal rallentamento dei consumi. E talvolta è persino un buon segno, il sintomo di una ristrutturazione-razionalizzazione. Ma fra i molti segnali che la crisi economica in atto non è una crisetta qualsiasi vi è il fatto che morde anche i punti vendita della grande distribuzione: già da qualche anno è rallentata la dinamica dei ricavi e i profitti si sono assottigliati. Ora piove sul bagnato: al malessere causato dal lungo ristagno dei redditi da lavoro dipendente e dal peso dell'aumento di servizi e tariffe sul paniere della spesa si stanno aggiungendo gli effetti della crisi finanziaria e dell'economia reale.

Tra il 1999 e il 2007 nel solo commercio al dettaglio le imprese sono diminuite di quasi 38 mila unità, mentre nei soli primi nove mesi di quest'anno di quasi 18 mila (saldo tra nuovi ingressi e cancellazioni, dati Confcommercio). La Confesercenti stima, per difetto, che a fine 2008 avremo 44 mila punti vendita in meno nel commercio e 7.400 nel turismo, con una perdita occupazionale di 150 mila posti. Quel che è peggio, "su questi risultati non si sono ancora dispiegati appieno gli effetti della crisi scoppiata fra settembre e ottobre, ma dipendono soprattutto dal calo dei consumi che registriamo almeno da tre anni a questa parte", precisa il vicedirettore di Confesercenti, Mauro Bussoni: "Di nuovo, nelle ultime settimane, si nota un atteggiamento sempre più prudente da parte dei consumatori". Insomma, il peggio deve ancora arrivare, così come la temuta ondata di cassintegrazione e nuova disoccupazione. Il comparto merceologico più colpito è quello dell'abbigliamento, una spesa più facilmente rinviabile, così come quella per i prodotti tecnologici.

Come si sta attrezzando il settore di fronte a questo allarme rosso? Come cambiano il marketing e le tipologie dei punti vendita? Cosa fanno i big della distribuzione per conquistarsi una fetta, il più possibile analoga a quella degli scorsi anni, di una torta dei consumi che si va rimpiccolendo? Lo scenario è quello di una 'caccia al consumatore' senza esclusione di colpi, con gran dispiegamento di innovazioni e soprattutto di aggressive tecniche promozionali. Il primo banco di prova dell'efficacia dei rimedi saranno i risultati delle vendite natalizie, su cui peraltro nessuno si fa eccessive illusioni: la guerra sarà lunga, all'insegna di mors tua vita mea, e quella di Natale è solo la prima scaramuccia.

Piccolo è meglio
I maggiori gruppi hanno adottato già da tempo la multicanalità. Sono cioè presenti in tutte le principali tipologie della grande distribuzione: ipermercati, supermercati, centri commerciali, discount, piccoli supermercati di quartiere (o 'di vicinanza'). E si sono accorti che il ristagno dei consumi non colpisce tutti i canali allo stesso modo. "La crisi si avverte soprattutto nel 'no food' e quindi a soffrire di più sono gli ipermercati", precisa Aldo Soldi, presidente Coop. Il sogno del punto vendita immenso, di 10 mila metri quadri o più, dove senza mai uscirne si può trovare di tutto (prodotti alimentari confezionati e freschi, abbigliamento, mobili, elettrodomestici e prodotti tecnologici, servizi vari non esclusa la celebrazione della messa nei festivi) si è un po' appannato. Da qualche anno il fatturato degli ipermercati aumenta di frazioni di punto, a un tasso nettamente inferiore a quello dell'inflazione. Le cause? "Innanzitutto in alcune aree si è giunti alla saturazione", spiega Andrea Petronio, partner della Bain & Company, società di consulenza strategica: "Inoltre la parte 'no food' degli iper subisce l'offensiva crescente delle catene specializzate che a poca distanza hanno aperto grandi spazi dedicati o all'abbigliamento sportivo o a telefonini e tv o ad altro ancora". Una concorrenza micidiale per l'iper che non è in grado di tenerle testa né sui prezzi né sull'assortimento né sulla preparazione specifica del personale. "Nel Sud poi", sostiene ancora Petronio, "gli ipermercati hanno sempre trovato difficoltà a scalzare una tradizione molto legata al modello della vicinanza e della piccola dimensione. Infine raggiungere un iper costa, sia in termini di carburante che di tempo". Che fare, quindi? C'è chi pensa che la medicina più adatta consista in un'estensione dei servizi offerti dagli ipermercati, come le agenzie di viaggi o soprattutto i distributori di carburante. Altri stanno aggiustando la composizione dei format di vendita. Nessun canale è destinato a scomparire, ma nel mix crescerà il peso dei piccoli supermarket di quartiere. La Coop, ad esempio, nel 2008 ha aperto nella sola Bologna sei InCoop, negozi di vicinato mediamente di 250 metri quadri con un occhio attento alla composizione sociale e per età del quartiere. Quanto agli iper, la Coop progetta di ridisegnarli, privilegiando gli alimentari a tutto svantaggio del 'no food', le cui superfici verranno ridotte, e anche dando vita a un nuovo modello, l''ipermercato low cost', non più grande di 4-5 mila metri quadri. Novità di non breve respiro, in cantiere già da tempo, ma che le recenti traversie dell'economia non potranno che accelerare. Intanto, come intercettare il consumatore inappetente nelle prossime settimane e mesi?

Promozioni a go-go
Gli uffici marketing dei grandi gruppi lavorano a tutto spiano. La consegna è trovare nuove forme di promozione. "Quella tradizionale fa fatica a essere notata", precisa Petronio, "bisogna trovarne di diverse dagli altri e mirate al proprio naturale segmento di consumatori. A seconda del punto vendita prevalgono quelli che puntano sulla qualità o quelli che puntano al prezzo o, ancora, quelli interessati ai servizi offerti". Così spuntano come funghi trovate quali la spesa gratuita per un minuto: estratti a sorte, alcuni clienti possono riempire il carrello gratuitamente con tutto quello che riescono a stiparvi in 60 secondi. Oppure quella di un centro commerciale del bresciano che, fra tutti coloro che spendono almeno 10 euro, ha messo addirittura in palio un appartamento in Val Camonica. Quasi tutti, inoltre, hanno inaugurato la stagione natalizia, con il relativo corredo di reparti giocattoli, dolciumi e regali, a novembre (Auchan e Carrefour tra il 10 e il 13 del mese, Esselunga il 17), puntando a battere sul tempo la concorrenza. Generalizzati, poi, sconti e offerte speciali pre-natalizi per catturare il popolo dei saldi senza attendere gennaio. All'Auchan di Cinisello Balsamo, dopo aver acquistato uno tra i 600 giocattoli messi in promozione, ci si può portare a casa anche un premio, tentando la fortuna con lo 'Strappa e Vinci', regalato a chi spende più di 35 euro. Nei 1.600 supermercati Sma, se superi 20 euro di spesa il regalo è assicurato: si può ritirare in cassa il buono per un panettone. Mentre il Gruppo Pam, 600 negozi, ha puntato a convincere anche le aziende a comprare il classico presente natalizio al supermercato, invitando più di 300 mila imprenditori ad abbandonare agende e simili per un più goloso cesto. Esselunga, catena con prezzi contenuti, alletta i clienti con promesse di lusso. Con la sua carta fedeltà si può guadagnare un set di costose porcellane Villeroy & Boch: "È un'idea intelligente", commenta Petronio, "far sognare il consumatore con qualcosa di bello e costoso proprio nel momento in cui non vi è altro modo per conquistarlo". Senza troppa originalità, molte catene hanno puntato invece su prezzi scontatissimi per un paniere di beni di prima necessità o su una riduzione generalizzata dei prezzi in alcuni giorni della settimana.

Obiettivo pantere grigie
Nella caccia al consumatore un posto di primo piano spetta al pensionato. Vi sono gruppi che scontano tutti gli acquisti del 10 o 15 per cento alla presentazione alla cassa del libretto di pensione, altri che in alcuni giorni della settimana praticano gli stessi sconti agli over 60 o agli over 70 debitamente tesserati. Le 'pantere grigie' accorrono a frotte. Ed è solo un aspetto di un fenomeno più generale che gli addetti ai lavori chiamano 'effetto downgrading': i clienti, alle prese con il problema della 'quarta settimana', stanno imparando a fare lo slalom tra i diversi format commerciali e le numerose promozioni.

Sono così sempre più numerosi i consumatori 'volatili', che comprano detersivi o fagioli in scatola all'hard discount, piatti pronti al banco del supermercato o nel negozio sotto casa, altri generi con un buon rapporto prezzo-qualità scegliendo tra gli scaffali i prodotti di marca in offerta speciale o le 'private label' (prodotti con marchio della catena distributiva, concorrenziali con quelli di marca e venduti in media a prezzi del 25 per cento inferiori), fino agli acquisti sulle bancarelle degli ambulanti, "quelli che stanno meno risentendo della crisi", nota Bussoni. Una strategia avveduta che non punta solo al risparmio e che è alla base delle buone performance che continuano a contraddistinguere gli outlet rispetto ad altri punti vendita: "Siamo un'alternativa per chi non vuol rinunciare alla qualità e alla griffe, quando i borsellini diventano sempre più piccoli", afferma Giorgia Tarchini di Fox Town, uno dei più importanti centri, a Mendrisio, in Svizzera, meta di pellegrinaggi di italiani che hanno fatto crescere il fatturato del 17 per cento nei primi dieci mesi di quest'anno. Paradossalmente la crisi induce prospettive ancora più confortanti per gli outlet nel 2009: "La caduta dei consumi aumenterà le rimanenze delle imprese e dei negozi", osserva Luigi Battello, amministratore di McArthurGlen Group, quattro centri in Italia con un fatturato in crescita del 10 per cento, "e qui entriamo in gioco noi: saremo d'aiuto ai produttori per smaltirle, e sarà un'occasione per i clienti di trovare il capo giusto alla taglia giusta, con un risparmio che parte dal 30 per cento".

Cliente fedele cercasi
La 'fidelizzazione' è sempre stata una questione prioritaria. Oggi, con un consumatore che saltella di qua e di là, è ancora più decisiva. Il mezzo a cui si fa più ricorso non è nuovo: le carte fedeltà. Nuovo è il fatto che in alcuni centri commerciali siano state lanciate raccolte punti non dei singoli esercizi, ma valide per tutti gli operatori presenti. Più tranquillo è l'approccio di Coop: "Abbiamo quasi sette milioni di soci", ricorda Soldi, "con i quali c'è una relazione forte, fatta anche, ma non solo, di prezzi diversi, offerte riservate, ristorni a fine anno: non è un caso che quasi il 70 per cento di quello che vendiamo lo comprino loro".

Parola d'ordine: ristrutturare
Nella grande distribuzione la gara degli sconti e delle offerte produrrà vincitori e vinti. Per qualcuno ci sarà la gerla di Babbo Natale e per altri il sacco della Befana. Ma sul medio periodo ben altri strumenti dovranno essere messi in campo se si vorrà uscire vincitori dalla 'selezione naturale' del mercato. S'impongono interventi di ristrutturazione in quella che è l'industria del settore distributivo e come tale dovrebbe essere più aperta all'innovazione. "Bisogna ottimizzare la filiera commerciale", sostiene Paolo Fregosi, ad di Adm, associazione della distribuzione moderna, "ridurre i tempi per far arrivare le merci dal produttore agli scaffali, rendere più efficienti i rapporti con i fornitori, razionalizzare la logistica, ridurre le scorte dei magazzini, differenziare di più l'offerta delle diverse tipologie di punti vendita, come avviene all'estero. Da noi persino l'hard discount è diventato soft, ci sono i banchi assistiti e i prodotti di marca: non è la strada giusta. E poi si deve intervenire sugli imballaggi: qui vi sono sprechi enormi sia dal punto di vista dei costi che dello sviluppo sostenibile". In quest'ultima direzione qualcosa si muove: i cosiddetti 'prodotti alla spina' stanno prendendo piede in catene come Auchan e Crai. Detersivi, latte, acqua minerale, ma anche pasta o legumi: il cliente si porta il contenitore, o lo compra per pochi centesimi, e lo riempie risparmiando dal 20 al 70 per cento (dato Crai).

Per ora, intanto, il ciclo della vita delle imprese commerciali si è abbassato da 12 a otto anni, mentre il tasso di imprenditoria giovanile è crollato. Al contrario, sono in rapida crescita i negozi con titolare straniero, e anche questo è un segnale importante. Tutti gli stratagemmi e le innovazioni per contenere la crisi "non spostano il problema centrale che è quello della necessità di interventi politici a favore del rilancio dei consumi, sia aumentando la capacità di spesa delle famiglie che investendo nelle infrastrutture che possono ridurre i costi dei trasporti", insiste Bussoni. Altrimenti non ci resta che sperare in Babbo Natale. Quello del 2010, probabilmente.