Lei federa le opposizioni, lui soffre di stare in scia. A luglio pur di fare notizia arrivò a parlare di «incendio sociale». La battaglia sui 9 euro l’ora, sospesa in Parlamento, continua con la raccolta delle firme

Lui e lei. Anzi: lui, lei e il salario minimo. La serie. La discussione in Aula della Camera sulla sospensiva della proposta di legge, formalmente rinviata al 29 settembre (ma la maggioranza punta alle calende greche), ha dato occasione di un nuovo capitolo della saga sotterranea che vede protagonista Giuseppe Conte. Titolo di lavoro: “C’ero prima io”.

 

È noto infatti che il leader M5S tiene assai alla primogenitura – in verità tutt’altro che esclusiva - della proposta sul salario minimo, una battaglia che il Movimento ha portato avanti (ma appunto non era l’unico) sin dal suo apparire in Parlamento dieci anni fa, quando Conte faceva ancora l’avvocato semplice e non l’avvocato del popolo. È altrettanto noto come sia proprio Schlein ad aver lavorato, da quando è segretaria del Pd, per fare del tema un punto unificante delle opposizioni, e nello stesso tempo una battaglia in primo piano nell’agenda politica: è grazie a un lavoro a fil di ferro e spago, a un quieto ruolo da federatrice nell’ombra (ne sa qualcosa Maria Cecilia Guerra), se infine dopo tre legislature i partiti dell’opposizione sono riusciti a presentare a inizio luglio una proposta unitaria (Conte ha chiesto e ottenuto di essere il primo firmatario).

 

È proprio questo ruolo dell’iniziativa che l’ex premier soffre maggiormente, tanto più quando capita – e ovviamente capita - che sia la segretaria dem a parlare prima di lui in incontri pubblici e sedute d’Aula. Costringendo il capo del M5S a trovare una frase in più, un’affermazione più forte, qualcosa insomma che porti su di lui i riflettori fatalmente destinati a lei. Accade quindi che Conte si trovi a urlare come un tribuno della plebe con la voce rotta, ruolo che decisamente non gli si addice, oppure che si metta ad attaccare sotterraneamente lo stesso Pd in qualcuno dei suoi mille punti deboli, o a scagliarsi contro il governo con una violenza che non è conseguente alla sintonia con la destra che pure trova su tanti dossier.

 

Qualsiasi cosa pur di non trovarsi esattamente in scia con le parole di Schlein, che (maledizione!) tanto somigliano alle sue.

L’altra volta, addirittura, aveva tirato fuori le tensioni sociali. Si era all’inizio di luglio, alla tavola rotonda organizzata dall’ex presidente dell’Inps Pasquale Tridico alla facoltà di Economia di Roma Tre, con il leader della Cgil Maurizio Landini e il segretario dell’Uil Maurizio Bombardieri. In quell’occasione Conte, che anche lì parlava dopo Schlein, si produsse in quello che possiamo definire il suo capolavoro del genere. Aveva infatti adombrato il rischio in un «incendio sociale», addirittura preordinato dal governo. Le sue parole esatte: «Abbiamo un governo reazionario e della restaurazione. Getta benzina sul fuoco. In modo consapevole sta programmando un incendio sociale».

Frecce ben assestate, che tuttavia finiscono livellate dall’allegro e micidiale unitarismo finale di chi punta a un’alleanza assai più che a un riflettore. Anche stavolta, dopo che la Camera ha rinviato la discussione della proposta, Pd e M5s annunciano infatti la raccolta delle firme delle opposizioni per il salario minimo.

«Continuiamo la nostra battaglia», è l’asciutta dichiarazione di Schlein. Una specie di camomilla micidiale, una goccia che scava la pietra. Altro che «incendio sociale». Poi dicono che è un’estremista.