Dimissioni dell’ad del servizio pubblico che, contrariamente a quanto previsto dal governo con una norma su misura, non vuole il paracadute per andare al teatro di Napoli. Le sue motivazioni: «Si rischiava la paralisi aziendale». Salvini: «Scelta libera». Protestano le opposizioni

Anche una notizia attesa, a volte, si complica parecchio. Ecco la notizia: Carlo Fuortes, nominato neanche due anni fa dall’esecutivo di Mario Draghi, ha lasciato la carica di amministratore delegato della Rai con un lungo comunicato. Ormai da tempo era nota l’intenzione del governo di Giorgia Meloni di cambiare i vertici del servizio pubblico in anticipo di una dozzina di mesi dalla scadenza naturale. Nei giorni scorsi ha destato più di una polemica la norma, approvata a tale scopo, che pensiona a 70 anni i sovrintendenti dei teatri e dunque avrebbe consentito a Fuortes di essere indicato al San Carlo di Napoli al posto di Stéphane Lissner. Seppur provenga da quel segmento culturale e difatti ha guidato il Petruzzelli di Bari e l’Opera di Roma, lo stesso Fuortes ha deciso di non assecondare i piani del governo e di rinunciare a Viale Mazzini e anche al San Carlo. Perciò il suo annuncio, rifiutato il paracadute di governo, ha stupito il centrodestra. Il ministro e vicepremier Matteo Salvini ha precisato che si tratta di una «libera scelta» di Fuortes e che comunque, per il futuro, la Lega punterà all’abolizione del canone, proprio in generale, non solo dalla bolletta.

 

Cosa ha dichiarato Fuortes? «Da decenni lavoro nell'amministrazione pubblica e ho sempre agito nell'interesse delle istituzioni che ho guidato, privilegiando il beneficio generale della collettività rispetto a convenienze di parte.

 

Nel primo anno di lavoro del nuovo Consiglio di amministrazione con il governo Draghi il Cda ha raggiunto grandi risultati per l'azienda. Per citarne solo alcuni: nuovi programmi e palinsesti che hanno portato tra l'altro a un evidente rilancio di Rai2, la trasformazione organizzativa per Generi, un Piano immobiliare strategico che si attendeva da decenni, un rilevante potenziamento di RaiPlay e dell'offerta digitale».

 

Era la premessa. Queste le sue ragioni: «Dall'inizio del 2023 sulla carica da me ricoperta e sulla mia persona si è aperto uno scontro politico che contribuisce a indebolire la Rai e il Servizio pubblico. Allo stesso tempo ho registrato all'interno del Consiglio di amministrazione della Rai il venir meno dell'atteggiamento costruttivo che lo aveva caratterizzato, indispensabile alla gestione della prima azienda culturale italiana. Ciò minaccia di fatto di paralizzarla, non mettendola in grado di rispondere agli obblighi e alle scadenze della programmazione aziendale con il rischio di rendere impossibile affrontare le grandi sfide del futuro della Rai. Il Consiglio di Amministrazione deve deliberare, nelle prossime settimane, i programmi dei nuovi palinsesti ed è un dato di fatto che non ci sono più le condizioni per proseguire nel progetto editoriale di rinnovamento che avevamo intrapreso nel 2021. Non posso, pur di arrivare all'approvazione in Cda dei nuovi piani di produzione, accettare il compromesso di condividere cambiamenti - sebbene ovviamente legittimi - di linea editoriale e una programmazione che non considero nell'interesse della Rai. Ho sempre ritenuto la libertà delle scelte e dell'operato di un amministratore un elemento imprescindibile dell'etica di un'azienda pubblica».

 

Le opposizioni protestano per «una chiara occupazione del governo» e chiedono alla commissione parlamentare di Vigilanza, presieduta da Barbara Floridia (Cinque Stelle), di riunirsi subito per affrontare il caso. Il favorito alla successione di Fuortes, per l’anno che resta al Cda, è l’esperto dirigente Roberto Sergio, attualmente direttore di Radio Rai.