Le vecchie roccaforti rosse, dopo due sindaci di centrodestra, a maggio potrebbero cambiare ancora. Ma i problemi sono altri: da Mps agli studenti

Ecco dov’è rintanata la politica più istintiva che non vuol dire meno affettiva: «Io li ricordo i miei coetanei quarant’anni fa, sempre partecipi, e in questi ultimi tempi rivedo la stessa passione nei miei allievi in particolare, e nei ragazzi in generale, che hanno la fortuna di attraversare un contesto non degenerato e violento», il professore Luigi Ambrosio, matematico di caratura internazionale, direttore della Scuola Superiore Normale, lo afferma con la candida naturalezza che si usa per le cose ovvie. Non stupisce che la politica a Pisa, e altrove, però a Pisa in dosi massicce, sopravviva in luoghi antichi che ospitano menti giovani orientate al sapere, la Normale, il Sant’Anna, l’Università, il Consiglio Nazionale delle Ricerche.

 

Questo rassicura gli estenuati spettatori volenti o nolenti di una campagna elettorale per il Comune che si concluderà a fine maggio col probabile ballottaggio fra il sindaco uscente Michele Conti di centrodestra e il candidato unitario Paolo Martinelli di centrosinistra. Va da sé che con 40.000 studenti che brulicano in un capoluogo di 88.000 residenti, fucina di protagonisti della Repubblica per non andare troppo addietro, la politica sia un buon costume che si tramanda da generazioni, magari per semplice osmosi. E invece no. Altrimenti questo servizio giornalistico si potrebbe interrompere qui. La volta scorsa pure a Pisa è caduta l’infrangibile convinzione che la sinistra o il centrosinistra dovesse governare comunque a dispetto delle sensazioni/percezioni collettive o financo dei risultati oggettivi. Era una convinzione così interiorizzata che l’imminente pericolo scosse all’incirca un pisano su due e spiccioli, cioè l’affluenza fu il 58,57 per cento nel sonnacchioso primo turno e addirittura il 55,85 per cento nel secondo che consacrò l’agronomo Conti dopo una carriera all’opposizione (e stabilmente a destra) col Movimento sociale e il suo aggiornamento storico di Alleanza nazionale. Conti fu il prodotto, non l’unico, di quel periodo di rapida e fragile espansione di Matteo Salvini che, lasciate le brumose valli del Nord, avanzava con passo sicuritario verso il Centro e il Sud. E dunque la moschea a Pisa era vietata. E la Normale a Napoli neanche a pensarci. E lotta dura con fiammeggianti ordinanze al degrado urbano causa movida. Il Salvini di oggi è abbastanza sovrapponibile al Salvini di ieri. Per Conti si fa una certa fatica. Non soltanto perché la moschea è in costruzione, la Normale ha svezzato la Scuola Superiore Meridionale, la movida ha sconfitto pure la pandemia, figurarsi le ordinanze affisse come nel ’500. Conti è un altro. Ha il vezzo di infilarsi la mimetica da civico e di nutrirsi di spirito ecumenico, anche se Salvini torna dove ha vinto, è già tornato una mattina da ministro per le Infrastrutture con gli industriali, un pomeriggio da segretario federale assieme al sindaco e ai leghisti pisani, e ha garantito che tornerà. Come biasimarlo: Fratelli d’Italia potrebbe triplicare i voti dell’ex Carroccio.

 

Conti gode di un eccellente consenso, le ruspe di Salvini hanno spento presto i motori. Perciò il centrosinistra ha compreso quanto fosse essenziale allestire una variegata coalizione. Il pisano Enrico Letta ha seguito la gestazione da segretario dimissionario del Partito democratico. Non un’ottima premessa. E forse neanche un limite. Con un approccio civico - e vabbè, s’è capito che i partiti sono sconvenienti ovunque - è sgorgata l’indicazione di Paolo Martinelli, presidente pisano dell’Acli (Associazione cristiane dei lavoratori italiani). La formula ha convinto i Cinque Stelle e trattenuto la sinistra senza trattini. Conti vuole migliorare la «qualità» della vita, Martinelli la «condivisione» della vita. La risposta è implicita nelle riflessioni di chi solitamente fa le domande più temute. Il professore Ambrosio è assai fiero di un progetto che coinvolge la Normale nel percorso turistico col suo palazzo della Carovana che abbraccia piazza dei Cavalieri: «In questo largo di Pisa transita la maggior parte dei turisti, è la tappa che anticipa o subito segue la Torre. Accogliere chi è curioso è una nostra prerogativa: lo possiamo fare al meglio con la piazza riqualificata e le visite dedicate. Interpretare la funzione del turista è una prerogativa delle istituzioni locali. Se potessi esporre una questione al prossimo sindaco, chiunque sia, lo pregherei di proteggere il centro di Pisa e di tutelare la virtuosa convivenza fra studenti e residenti».

 

Questo equilibrio fra i 40.000 studenti e gli 88.000 residenti è sottoposto alla costante pressione di qualche milione di turisti che ha ripreso a intasare le strade e ad alterare l’economia abitativa con la conseguenza di respingere i residenti fuori dal centro mentre gli studenti restano aggrappati, al centro, con grossi sacrifici. È una dinamica classica. Tipica soprattutto in Toscana. Al momento, però, Pisa è conficcata in una situazione preoccupante, ma non ancora irreparabile e dunque bisogna decidere. Avere turisti di passaggio - e c’entra l’aeroporto e la rivalità con Firenze - o avere turisti più stanziali. Assorbire le energie degli studenti - e non esclusivamente gli affitti mensili -e integrarli per l’intero anno solare, non accademico e basta. Insomma a ciascuno è richiesta la sua idea di città. Il professore Ambrosio srotola la mappa del tesoro, chi può lo estragga: «I 40.000 studenti sono una risorsa per la politica e sono già oltre. I diritti sono un tema che divide: sbagliato. Per gli studenti, per quello che posso testimoniare, i diritti non possono dividere perché non sono un tema, ma un valore acquisito. Come la cura dell’ambiente, l’inclusione sociale. Pisa ha dato all’Italia capi di partito e di governo, numerosi parlamentari, due presidenti della Repubblica, sono convinto che accadrà anche in futuro».

 

La sera a Siena, su piazza del Campo, non c’è una finestra con la luce accesa. Lo garantisce con sincera mestizia, Emilio Giannelli, che da oltre trent’anni firma una vignetta in prima pagina sul Corriere della Sera, ma che ha vissuto decenni nei ranghi alti della banca Monte dei Paschi fondata nel 1472. Siena non è riuscita a elaborare il lutto Mps, che sta ancora lì esanime, moribonda, non ancora formalmente morta e però irrimediabilmente morta. Giannelli se n’è andato in campagna e nulla ha saputo o vuole sapere di chi vuole fare il sindaco, ne sono 8 oppure di chi si è candidato, ne sono 615: «La politica a Siena patisce la mancanza del Monte dei Paschi. Era una linfa che agiva in ogni punto. Sorreggeva, finanziava, organizzava. Adesso Siena non è raggiunta da nessuno, è spenta. Il centro della città è spopolato, le attività commerciali si sono estinte, la gente è confinata in una periferia terrificante, una giungla tirata su con permessi selvaggi. La vecchia Siena è preda di turbe di turisti che di giorno vengono scaricati all’ingresso, fanno incetta di pizze, ricciarelli, panforte e di notte speditamente se ne vanno. Il declino è inarrestabile. Alla mia età, la preoccupazione è per chi resta, perché tanto io sono in partenza».

 

Controllato con piglio ministeriale dai governi e in attesa di essere diluito in un gruppo bancario più solido, il Monte dei Paschi non è più strumento della città. Siena non è più il «groviglio armonioso» di enti, associazioni, uomini, come lo definì il gran maestro massone Stefano Bisi (Grande Oriente d’Italia) in una conversazione con il presidente di Mps, Giuseppe Mussari, alla vigilia dell’inchiesta giudiziaria che certificò il declino della banca. Appena è crollato il potere del Monte, le identità elogiate o discusse della città hanno perso forza: i centri di ricerca, le università, la massoneria, la politica. (Le 17 contrade sembrano fieramente intatte). La competizione per il Comune somiglia a un’appassionante serie tv per le trame che riserva, è scritta indubbiamente bene, ma gli elettori la guardano con scarsa attenzione perché la reputano ininfluente sulla realtà. Le stranezze sono tante. Il sindaco in carica Luigi De Mossi, che cinque anni fa col centrodestra ha battuto di 400 voti il dem Bruno Valentini, non corre per un altro mandato, ma fa il “padre nobile” di Massimo Castagnini con una sua lista civica. Castagnini si colloca in una zona non troppo precisata del centrodestra. Anche Italia Viva, che a Siena da mesi si è separata da Azione, sostiene Castagnini. Il partito di Carlo Calenda ha un suo candidato a sindaco, Carlo Bozzi.

 

Il centrodestra formato tradizionale era pronto ad appoggiare l’imprenditore Emanuele Montomoli, la cui moglie Sara Pugliese era in giunta con De Mossi, ma poi Montomoli ha dichiarato la sua appartenenza alla massoneria e Fratelli d’Italia l’ha disconosciuto. «Fdi dovrebbe rinunciare al suo nome ispirato all’inno del massone Goffredo Mameli. Vedremo come reagisce Siena, io da Roma non ho informazioni a riguardo, non seguo più la città», commenta Bisi. Il terzo candidato di centrodestra, quello ufficiale, è la professoressa Nicoletta Fabio, già presidente del consorzio del Palio e rettore del magistrato delle Contrade. I Cinque Stelle vanno in solitudine con Elena Boldrini, la sinistra più identitaria schiera Alessandro Bisogni. Le primarie Pd hanno indicato Anna Ferretti, presidente della Caritas. Non è finita. C’è il polo civico del dentista Fabio Pacciani con tanti volti inediti per la politica e un volto assai noto, l’ex sindaco Pierluigi Piccini, che con una sua lista prese il 21 per cento nel 2018. Il ballottaggio è scontato, la prima donna sindaca è molto probabile. Decifrare le intenzioni di 43.000 elettori, e ne voterà la metà, rispetto a 615 candidati, è impossibile. Non è armonioso. È un bel groviglio però.