La raccolta firme abbraccia l’intero arco costituzionale che vuole riprendersi la scena. Dall’omofobia alla salute mentale, dalla cannabis al coprifuoco. Ma i politologi si dividono tra la disperazione degli eletti che hanno paura di sparire e il ritorno alla politica nobiliare

«È un atto di disperazione», sospira Alessandro Campi, professore di Scienze politiche all'Università di Perugia. Petizioni e referendum. Dall’alto verso il basso. È la politica orizzontale, dileggiata e offesa al tempo del “primo” Movimento Cinquestelle. Oggi di gran voga dentro tutte le segreterie di partito. Per alcuni l’unica possibilità di farsi sentire in un Parlamento sempre più immobile, incatenato ai decreti di governo.

 

In meno di un anno sui social si è vista girare una giostra di raccolte firme promosse dai parlamentari, il tentativo di mettere ogni volta una toppa allo strappo prodotto dal Parlamento stesso che non riesce a legiferare: in prima fila c’è Italia Viva, nella maggioranza del governo Draghi, lancia sul proprio sito una petizione per l'obbligo vaccinale. Il Partito Democratico, va a caccia di firme tramite la piattaforma Change.org, cioè il «Google della politica moderna» che consente agli utenti di lanciare petizioni su temi politico-sociali di ogni tipo. Troviamo quella per chiedere lo «scioglimento di movimenti e partiti neofascisti come CasaPound e Forza Nuova», lanciata dalla presidente del Pd Valentina Cuppi, sindaca di Marzabotto.

 

E con entusiasmo, tramite social e interviste, i deputati Marianna Madia e Filippo Sensi sostengono la petizione per chiedere al Governo di non accantonare, dopo l'esclusione dalla Legge di Bilancio, il Bonus Salute Mentale, provvedimento di sostegno a chi ha bisogno di un percorso di sostegno psicologico o di natura psichiatrica. Un successo che oggi conta 200mila firme.

 

L’eurodeputata dem Pina Picierno lancia la petizione: «Basta fondi pubblici ai giornali che usano un linguaggio discriminatorio». E se la segreteria del Pd ha già accarezzato l’idea di una legge di iniziativa popolare contro l’omotransfobia, dopo l’affossamento del ddl Zan; nelle chat dei militanti rimbalza la raccolta firme per: «Berlusconi al Quirinale? No, Grazie». È lo spirito del tempo, abbraccia tutto l’arco costituzionale. La Lega ad aprile aveva lanciato una petizione per dire «No al coprifuoco». Fratelli d’Italia per sfiduciare il ministro della Salute, Roberto Speranza.

 

Raccolte firme e click in nome del popolo, illuminano al neon il progressivo impoverimento delle classi dirigente. L'interesse personale che prevale su quello del partito. Come spiega Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza Politica all’Università di Bologna: «Il problema cruciale per un parlamentare, adesso, è continuare a esistere anche dopo la riduzione dei numeri e avere visibilità». Esistere nella società delle performance è possibile soltanto in un modo: ricercando il consenso attraverso i click. «Avere un minimo di visibilità è ciò di cui hanno bisogno. Non solo per arrivare agli loro elettori. Ma per arrivare ai loro colleghi e far capire alle segreterie che loro sono popolari, cioè che loro interpretano il sentiment dell’elettorato».

 

«Questo strumento tenta di creare un finto canale partecipativo. L’appello è diretto, rivolto su cose che hanno un appeal emotivo. Una forma di populismo soft – prosegue Campi – Per un parlamentare affidarsi alla petizione è segnale di un problema, dovrebbe usare altri strumenti procedurali. Non si possono far solo leggi a furor di popolo». L’intento, poco nascosto sotto “la causa del giorno” e ben visibile: «Riprendersi la scena. I parlamentari hanno registrato una perdita spaventosa di ruolo politico. E queste petizioni la dicono lunga sulla crisi istituzionale: se i rappresentati del popolo non vengono riconosciuti nella loro funzione rappresentativa, salta il meccanismo della democrazia parlamentare. Una cattiva soluzione. È tutto molto effimero: cerchi di conquistare una certa visibilità ma cadi nell’errore. Non si ricrea così un meccanismo fiduciario autentico, ma un rapporto emotivo sul terreno della visibilità: qualche intervista, una dichiarazione. Per poi tornare nell’oblio dal quale hai cercato disperatamente di uscire».

 

Non tutti sono d’accordo. «Questa è una presa d’atto della realtà» la stecca nel coro è di Piero Ignazi, ex direttore della rivista il Mulino, professore ordinario di Politica comparata presso la Scuola di Scienze Politiche dell’Università di Bologna e chercheur associé presso il Cevipof (Fondation Nationale des Sciences Politiques) di Parigi: «Le comunicazioni e i rapporti non sono più faccia a faccia ma attraverso la rete. Questo è un dato. Non ci sono più mobilitazioni di carattere collettivo e questa è l’unica maniera di suscitare adesioni a livello popolare, di  massa. Si dà così più forza ai partiti per promuovere opinioni. Il partito e i parlamentari devono restare in contatto con l’opinione pubblica questo è un modo».

 

Viene da chiedersi tuttavia se «il modo», segna la fine della politica e l’inizio di una nuova. «Difficile rispondere. Siamo in una fase di transizione» spiega Massimiliano Panarari, sociologo e docente dell’Università Mercatorum. «Il modello di politica è ufficialmente in crisi. Viviamo un contesto animato da tendenze populiste che sono molto apprezzate dall’opinione pubblica. Così il parlamentare si attrezza per cercare un ruolo. Non è facile, in un contesto in cui è la delega ad essere stata messa sul banco degli imputati il parlamento. Anche la “Spid Democracy” a cui L’Espresso aveva dedicato la copertina, sta all’interno di questo contesto. Il punto è che se non si rappresenta in maniera organica la società, queste rischiano di essere singole iniziative sporadiche. La politica diventa bricolage e dall’idea di rappresentanza generale che costituisce il Parlamento passiamo alla parziale rappresentazione di singoli temi. Una tendenza già in corso che porta a fondazioni politiche che sono sostanzialmente singole issues».

 

I click, le firme online non sono la modernità, sottolinea Panarari, ma un ritorno al passato: «In vista del proprio posizionamento e della crescita del proprio potere contrattuale. Viviamo l’era politica del trasformismo: tutti puntano a diventare appetibili anche ad altre formazioni politiche. Tramite queste petizioni, i parlamentari cercano di portare in dote qualcosa. Questo è un grande ritorno all’Ottocento. È politica nobiliare: il singolo parlamentare, all’epoca il singolo deputato, era uno che aveva proprio un patrimonio: di voti, di risorse. Un’ombra che ritorna».