Nella nostra Faq il regolamento, il quorum, i quesiti. Su cosa gli elettori sono chiamati a esprimersi e come potrebbe cambiare l'assetto istituzionale. Le risposte alle domande più frequenti sulla consultazione del 4 dicembre

Quando si voterà?
Si voterà il 4 dicembre 2016, in un giorno solo, dalle 7 alle 23. A differenza dei referendum abrogativi (come quello, fallito, sulle Trivelle) per il referendum costituzionale non è previsto un quorum. Possono votare tutti i cittadini maggiorenni. E che voi andiate o no il 4 dicembre, quindi, una decisione sarà comunque presa: il risultato sarà valido qualunque sia la partecipazione al voto.

Su che quesito?
Il quesito del referendum del 4 dicembre ha già superato un ricorso presentato dal Movimento 5 stelle e da Sinistra Italiana e quello delI'ex presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida. Il testo, dunque, sarà anche favorevole al governo, ma è corretto. È stato cioè scritto rispettando la legge 352 del 25 maggio 1970.

Legge che, all’articolo 16, stabilisce che il quesito, in caso di referendum costituzionale, debba citare l’elenco degli articoli modificati (che in questo caso sono molti) oppure il nome della legge. Se la maggioranza è quindi stata furba, lo è stata al momento di presentazione della legge, quando ha scelto un titolo ammiccante, puntato sulle «disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione», formulazione ripresa pari pari sulla scheda e che, in effetti, non copre tutti gli ambiti di intervento della riforma.

Chi ha votato la riforma?
I gruppi politici che hanno sostenuto la riforma Boschi sono il Partito Democratico, Area popolare, Centro democratico - che è il partito di Bruno Tabacci - e Civici e innovatori, che è l’ultima evoluzione di Scelta Civica. Hanno poi votato a favore anche 23 parlamentari del Gruppo misto, tra cui i deputati di Ala, la scissione di Forza Italia guidata da Denis Verdini.

Questo, almeno, è stato al momento dell’ultimo voto dato dalla Camera, per la seconda lettura conforme. Il 12 aprile 2016 - a due anni esatti dalla sua presentazione in Senato, 15 aprile 2014 - la Camera ha infatti approvato la riforma con 361 sì, 7 no e il resto dei contrari fuori dall’aula.

Non è però sempre stato così, cosa che dal comitato del Sì non smettono di ricordare, accusando di incoerenza e calcolo politico chi ha cambiato idea nel corso delle votazioni. Forza Italia, ad esempio, votava compatta le prime versioni della legge, frutto - poi modificato - del patto del Nazareno: alla prima votazione in Senato furono 40 i sì dei forzisti.

Ma questo Parlamento era legittimato a modificare la Carta?
È uno degli argomenti più virali del comitato del No: il parlamento italiano è un parlamento illegittimo perché incostituzionale è la legge con cui è stato eletto. Non è così. O meglio, non proprio.

Se infatti è vero che il Porcellum è stato dichiarato incostituzionale (tant’è che, insieme alla riforma costituzionale il parlamento ha approvato anche una nuova legge elettorale: l’Italicum) è vero anche che la sentenza 1 del 2014 della Corte ha dichiarato legittimo il parlamento. Scrive la Corte: «Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti». Elezioni valide, dunque, e Camere legittimate: «Le Camere», si spiega, «sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare».

Si può però discutere, ovviamente, dell’opportunità di non limitarsi all’approvazione di leggi ordinarie e di una nuova legge elettorale, lasciando le riforme costituzionali al prossimo parlamento, magari eletto, questa volta, rispettando - come invita la sentenza della Corte - i principi costituzionali, senza cioè «una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica».

Quali sono le principali novità?
La riforma modifica le competenze e la composizione del Senato, non abolendolo, ma superando, almeno formalmente, il modello del bicameralismo paritario.

Sono però moltissimi gli articoli modificati con questa riforma, che tocca quindi aspetti diversi, non tutti citati nel quesito che finirà sulla scheda. Oltre all’abolizione del Cnel e alla revisione del Titolo V (con una nuova divisione dei poteri tra Stato e regioni e l’eliminazione del riferimento alle provice) si cambiano, ad esempio, gli istituti referendari, le leggi di iniziativa popolare, l’elezione del presidente della Repubblica e dei giudici della Corte costituzionale.

Il nuovo Senato sarà un “Senato di nominati” o la “camera delle autonomie” di cui parla Renzi?
Membri del nuovo Senato saranno 21 sindaci (uno per regione, due per il Trentino) e 74 consiglieri regionali. Ci sono poi i senatori di nomina presidenziale, che non saranno più a vita ma dureranno in carica 7 anni. In tutto, quindi, i nuovi senatori saranno 100 e non percepiranno indennità, anche se ci sarà un rimborso spese di cui ancora non si può calcolare il costo.

Non esiste, però, una legge elettorale per l’elezione del nuovo Senato. Ed è questo il motivo di tante discussioni soprattutto tra i democratici, minoranza e maggioranza del Pd. Quello che è certo è che sarà una camera eletta indirettamente. Saranno infatti i consigli regionali - dice la costituzione riscritta - a decidere chi dovrà fare avanti e indietro con Roma, “in conformità alle scelte espresse dagli elettori”.

Essendo solo due gli eletti per regione, comunque, è facile prevedere che uno sarà della maggioranza e uno dell’opposizione regionale: sistema che però difficilmente si sposa con l’assetto (almeno) tripolare della politica italiana.

I consiglieri e i sindaci, diventati senatori, resteranno in carica per la durata del loro mandato locale e, pur rappresentando il loro territorio, non hanno alcun vincolo con l’istituzione d’appartenenza. Il Senato, così, cambierà spesso la sua composizione e fino al 2022 sarà formato da consiglieri e sindaci eletti senza che nessun elettore potesse immaginare di ritrovarseli - part-time - a Roma e con l’immunità.

I nuovi senatori avranno l’immunità parlamentare?
Sì. I membri del Senato non potranno esser intercettati né arrestati senza l’autorizzazione del Senato.

È vero che finirà il bicameralismo paritario?
Formalmente sì. Approvata la riforma, ad esempio, sarà solo la Camera ad accordare la fiducia ai governi e palazzo Madama non avrà più voce in capitolo né sullo stato di guerra (lo decide la Camera a maggioranza assoluta) né sui trattati internazionali né sulla approvazione di provvedimenti come l’amnistia o l’indulto. Al Senato, però, restano molte competenze i cui confini, nonostante un lunghissimo e complicato articolo 70, si potranno comprendere solo una volta in vigore. Restano infatti di competenza bicamerale le leggi costituzionali, le leggi sull’elezione del senato e quelle che incidono sull’ordinamento di regioni, comuni e città metropolitane, definizione questa abbastanza larga. Il Senato, su richiesta di un terzo dei senatori, può comunque sempre avanzare proposte di modifiche alle leggi approvate alla Camera.

Ma la “navetta” era veramente un problema?
Dipende. Il meccanismo della lettura conferme, che innesca la “navetta”, l’andirivieni della legge tra Camera e Senato, non è certo un problema, non rallenta l’approvazione di una legge quando c’è un accordo politico a monte. Questo dicono i dati. Il parlamento ha infatti approvato molto rapidamente leggi anche controverse. Noti sono gli esempi della riforma pensionistica di Elsa Fornero, approvata in sedici giorni; del Lodo Alfano, per cui ne servirono 20; o del jobs act, con Renzi che a dicembre 2014, da marzo, aveva già superato quello che si credeva un tabù: l’articolo 18. Tutto questo è stato possibile perché la maggioranza parlamentare - spesso coincidente con quella di governo - si è mostrata compatta, anche se spesso forzata dai frequenti voti di fiducia.

La navetta è invece, sicuramente, uno strumento molto efficace nelle mani di chi vuole fermare una legge, quando si fatica già in partenza a trovare i numeri o quando la legge mette in difficoltà la maggioranza di governo. Sapete, ad esempio, che la legge sul cognome materno non è mai stata definitivamente approvata e che il Senato la tiene ferma da più di un anno? Ecco.

Quando una maggioranza non c’è o quando il governo non si impone, dunque, tutto si complica. Ma avere una sola camera, non è una garanzia sul fronte delle liti e dei veti. Le leggi - come già peraltro capita - potranno incagliarsi nelle commissioni o non arrivare mai al voto. La legge sulla Cannabis, ad esempio, - per stare alla cronaca recente - è stato portata in aula, alla Camera dove i numeri sarebbero in teoria più comodi, ma subito rispedita in commissione per non aprire fratture nella maggioranza.

Per le leggi che hanno un consenso, insomma, la navetta non è un problema: nella XVII legislatura, certifica Openpolis, sono 50 su 252 le leggi (il 19,84% del totale) per cui sono state necessarie più di due approvazioni, rallentando di conseguenza i tempi di approvazione. Le altre, banalmente, non avevano i numeri.

Come cambiano referendum e legge di iniziativa popolare?
Come detto, il referendum costituzionale è senza quorum e così rimane con la riforma. Quello abrogativo, invece, cambia. Oggi la consultazione è valida se partecipa almeno il 50 per cento dell’elettorato, cosa ormai difficile anche per le elezioni. Dopo il 4 dicembre, se vinceranno i sì, sarà uguale se il comitato promotore ha raccolto 500mila firme. Se arriva a 800mila firme, invece, il quorum scende: serve a in questo caso la maggioranza degli elettori dell’ultima tornata elettorale.

La riforma cita poi i referendum propositivi, rimandando i dettagli a una successiva legge. Sarà però più complicato presentare proposte di legge di iniziativa popolare. Oggi servono 50mila firme, ne serviranno 150mila. In cambio si promettono regolamenti parlamentari più vincolanti che portino cioè effettivamente in discussione le leggi, che generalmente finiscono in un cassetto.

Chi eleggerà il presidente della Repubblica?
Oggi il presidente della Repubblica è eletto in seduta comune da deputati, senatori e 58 delegati delle regioni. Con la riforma, se la vedranno solo deputati e senatori.

E se fino a Mattarella sono serviti i due terzi - per i primi tre scrutini - e poi la maggioranza assoluta degli aventi diritto, con la riforma serviranno i due terzi degli aventi diritto fino al quarto scrutinio, poi i tre quinti. Dal settimo, invece, la sfida si fa più semplice: sempre i tre quinti, ma dei votanti.

A proposito di organi di garanzia, con la riforma cambia anche l’articolo 135, quello sull’elezione della Corte Costituzionale. Se finora Camera e Senato hanno eletto in seduta comune un terzo dei 15 membri, tre saranno eletti dalla Camera e due dal nuovo Senato, separatamente.

Cosa si intende quando si parla di “Combinato disposto”?
È l’effetto della riforma costituzionale e dell’Italicum che, per chi ci si appella, avrebbe effetti troppo maggioritari, che preoccupano proprio pensando ai nuovi meccanismi di elezione del presidente della Repubblica e della Corte costituzionale.

Ma il governo avrà più poteri?
La riforma non tocca poteri, definizioni o competenze del governo. Ma il governo avrà un nuovo strumento, questo sì, oltre ai voti di fiducia, ormai frequentissimi, per imporre un provvedimento al parlamento. È stata infatti introdotta la novità del “voto a data certa”, che il governo può richiedere su disegni di legge che reputa “essenziali” per l’attuazione del suo programma. In quel caso Camera e Senato hanno in tutto 70 giorni per approvare o respingere un provvedimento.