Affluenza più bassa della storia per il pasticciato referendum sulla giustizia, male anche la partecipazione per le Comunali. Exit Poll. A Palermo vince il cuffariano Lagalla, a Genova secondo mandato per Bucci, a Verona l’uscente Sboarina fuori dal ballottaggio. Tutto ciò serve a poco: a un anno dal voto per il Parlamento, la politica tocca il fondo. Qualcuno se ne accorgerà?

C’è la spiacevole consapevolezza che il dibattito televisivo sul voto sarà ben più ampio dell’interesse che il voto stesso ha suscitato nei cittadini. Quattro elettori su cinque - l’80 per cento, messo al contrario fa più impressione - non hanno partecipato al confuso referendum abrogativo sulla “giustizia” promosso dai Radicali e appoggiato da Matteo Salvini. Una scorciatoia che non ha appassionato neppure l’intera Lega. Le riforme complesse spettano al Parlamento. Il Quorum non s’è intravisto. Il risultato più concreto è l’ennesimo sfregio a un delicato strumento di democrazia diretta che negli ultimi decenni viene utilizzato per risolvere questioni interne a governi, coalizioni, partiti o per semplice pigrizia.

 

Ugualmente bassa l’affluenza per le Comunali che s’è fermata attorno al 54 per cento in calo di 5 punti. A Palermo è lontano anche il dignitoso 50 per cento: 6 palermitani su 10 non hanno scelto il sindaco.

 

Al solito si dirà che la democrazia è in pessima salute e che le regole sono da rivedere, però con calma che qui è già tempo di mare, c’erano cresime, comunioni, matrimoni e non sia mai che un refolo di riflessione spettini il governo necessario di Mario Draghi. Come il fallimento calcistico ai Mondiali chi ha fallito pretenderà le scuse per troppo zelo.

 

Già, chi ha fallito? Sono trent’anni che gradualmente i partiti hanno smesso di rappresentare, diluiti in formule personalistiche sempre più di avanspettacolo e sono trent’anni che a ogni apertura delle urne ci si attende che si compia il miracolo della democrazia. Siamo adulti e ci possiamo permettere un po’ di crudeltà: non esistono miracoli. E la politica, che è lo strumento principale della democrazia, merita cura, amore e tanta acqua. Invece per tramandare alle generazioni un qualche sapere, una cultura, un retaggio, un ricordo, un senso civico, ci si deve affidare alla fabbrica di Chiara Ferragni, l’unica capace di mobilitare la gente, non i giovani, che sono pochi, la gente, e di parlarci. È una sorta di traduttore simultaneo di una lingua popolare che ciò che resta della politica non soltanto ignora, ma denigra. E di conseguenza da trent’anni ogni notte fra la domenica e il lunedì e ogni pomeriggio quando si va al seggio anche il lunedì, ci sorprendiamo di quanto fossero deserte le urne e quanto desolatamente intonse le matite non cancellabili. Come mai era accaduto.

 

I palermitani erano chiamati a chiudere la seconda stagione di Leoluca Orlando. S’è discusso parecchio di mafia, di arresti, di infiltrazioni, della coppia pregiudica Totò Cuffarò&Marcello Dell’Utri, spingitori del sindaco eletto Roberto Lagalla e, proprio alla vigilia, di 150 presidenti di seggio scomparsi dai loro doveri. Un menu classico, tradizionale, assai mesto, che non ha scaldato i cittadini. Al contrario del gioco dell’allenatore toscanissimo Silvio Baldini, offensivo, scapigliato, genuino, che ieri sera ha riportato il Palermo in serie B assieme a 34.000 spettatori paganti allo stadio “Renzo Barbera”. Baldini ha mostrato, non promesso, qualcosa di nuovo, i tifosi l’hanno capito, l’hanno seguito e infine l’hanno consacrato. Più del sindaco Lagalla, molto di più.

 

Altri risultati basati sui sondaggi. A Genova comodo secondo mandato per Marco Bucci (centrodestra). A Verona l’ex calciatore Damiano Tommasi (centrosinistra) va al ballottaggio in vantaggio con il sindaco uscente Federico Sboarina, che ha rischiato di restare fuori nel derby a destra con Flavio Tosi. Per puntellare la candidatura di Sboarina la campagna elettorale si è chiusa con un mediatico abbraccio fra Matteo Salvini e Giorgia Meloni e calorose strette di mano del presidente veneto Luca Zaia: grande coinvolgimento emotivo per opinionisti, giornalisti e addetti ai lavori, i veronesi se ne sono fregati, letteralmente fregati. Così pare.

 

La politica resta imprigionata negli studi televisivi e nei tortuosi retroscena, in maratone che sarebbe il momento di ridurre ai cento o al massimo ai duecento metri. Da stasera i partiti avranno in agenda le elezioni del prossimo anno per riprendersi ciò che hanno imprestato a Draghi. Hanno l’ambizione di tornare protagonisti e di trascinare nel futuro milioni di italiani. Poi si accorgeranno voltandosi, se smetteranno di fissare la telecamera, che dietro non c’è più nessuno. Il futuro non dipende più da loro.