I Paesi emergenti generano sempre più CO2. Ma l’inquinamento attuale è colpa di quelli avanzati

Il disastro delle alluvioni in Emilia-Romagna dovrebbe riportare la nostra attenzione, una volta superata l’emergenza, alla questione di fondo: come contenere il cambiamento climatico. Al di là delle tante parole spese in proposito, il problema resta irrisolto. Per contenere il riscaldamento globale in termini accettabili è necessario azzerare le emissioni mondiali di CO2 entro il 2050. A che punto siamo?

Le emissioni globali da consumo di combustibili fossili hanno sostanzialmente continuato a crescere di anno in anno, con la sola eccezione del 2020, l’anno della caduta del Pil mondiale causata dal Covid. La crescita sta rallentando: nel decennio conclusosi nel 2022 l’aumento delle emissioni è stato del 7 per cento, contro il 33 per cento del decennio precedente, ma resta pur sempre positivo. C’è una differenza, però: negli ultimi anni l’aumento è interamente dovuto ai Paesi emergenti e in via di sviluppo. Le emissioni nei Paesi avanzati si sono ridotte anche per importi elevati: per esempio, rispetto a dieci anni fa le emissioni sono scese negli Usa del 10% e in Germania del 17.

Colpa dei Paesi emergenti allora? Sì, perché sono loro che continuano ad aumentare le emissioni e perché, quantitativamente, essi rappresentano l’87% della popolazione mondiale. No, per due motivi. Primo, perché la CO2 che sta ora nell’aria è stata immessa per il 55% dai pochi Paesi avanzati, che, a detta degli emergenti, si sono arricchiti a spese del pianeta nel corso dei decenni passati. Secondo, perché i Paesi avanzati stanno anche ora in testa alla classifica in termini di emissioni pro capite (e per questo, pur contando solo per il 13% della popolazione, contano per un quarto delle emissioni). Vale la pena di guardare a questa classifica.

Ai primi nove posti stanno i Paesi produttori di idrocarburi (dal Qatar, primo in assoluto con 35 tonnellate pro capite l’anno, ad Arabia Saudita e Oman, sulle 17-18 tonnellate): qui il consumo di energia fossile non solo non è tassato, ma è anzi sussidiato. Poi, frammischiati con altri produttori di idrocarburi, ci stanno i Paesi avanzati che, con un reddito pro capite più alto, si possono permettere consumi ed emissioni più alti. Tra questi Paesi, i maggiori emittenti sono Australia, Stati Uniti d’America e Canada (intorno alle 14-15 tonnellate l’anno). Sono tre grandi Paesi con elevati consumi di energia per spostamenti; inoltre, negli Usa l’energia è poco tassata. I Paesi avanzati europei stanno molto più indietro: a parte il Lussemburgo (diciottesimo nella classifica mondiale), i primi che s’incontrano sono Belgio, Germania e Olanda (dal trentaduesimo al trentaquattresimo posto), intorno a otto tonnellate pro capite. La Cina è al trentaseiesimo posto (anche lei intorno alle otto tonnellate: tanto, tenendo conto del reddito pro capite ancora molto più basso di quello dei Paesi avanzati). L’Italia, con cinque tonnellate e mezza pro capite, è più indietro. In India le emissioni pro capite sono solo due tonnellate.

Queste profonde differenze tra Paesi nelle emissioni, in termini sia di flussi sia di consistenze, rendono complicato il raggiungimento e, soprattutto, la realizzazione di accordi internazionali. Ogni Paese conta di poter beneficiare della virtuosità degli altri, visto che l’atmosfera non conosce confini. E, nel frattempo, il globo continua a riscaldarsi.