Il Parlamento deve mettere una pietra tombale su un vuoto legislativo riprovevole. Soltanto agli orbi non appare una soluzione di buon senso

Il persistere dell’inflazione, di cui è difficile prevedere nel breve tempo il raggiungimento del 2% auspicato dalla Bce, esaspera l’incongruenza delle retribuzioni a mantenere un livello di vita decente. Tale inadeguatezza si è accentuata non solo in Italia, ma in tutto l’Occidente. Da qui il sommovimento delle richieste sindacali.

 

Per noi la questione riguarda due aspetti della medesima medaglia. Da un lato, i vincoli di bilancio che impediscono l’adozione di manovre fiscali rivolte ad alleggerire la tassazione per dare una spinta alla domanda. Dall’altro, la bassa produttività del sistema Italia che non consente di conseguire da più di trent’anni, una crescita del Prodotto interno lordo in linea con quella media dell’Eurozona.

 

Il vincolo del bilancio pubblico si può superare solo attraverso una battaglia senza quartiere:

1) all’evasione fiscale, tutt’altro che perseguita dal governo. «Non è giusto che il debito pubblico finanzi la ricchezza privata» (Filippo Cavazzuti);

2) allo snellimento dell’amministrazione pubblica, disboscando la montagna di leggi che regolano l’economia, con l’emanazione di alcuni testi unici.

 

La bassa produttività del sistema economico non può essere esaminata da un unico angolo visuale. Mille sfaccettature, infatti, distinguono l’industria, dall’agricoltura e dal terziario. Non si può fare di tutta un’erba un fascio proprio ora che il sistema Italia deve affrontare la transizione ecologica, la digitalizzazione, l’intelligenza artificiale e la riconversione ambientale.

 

Nell’industria, le problematiche sono assai diverse. Grandi sono le differenze tra le piccole imprese e quelle medio grandi esportatrici. Lo stesso vale per l’agricoltura, dove convivono 1,8 milioni di imprese agricole con migliaia di imprese gestite nella forma di società per azioni. Per non parlare del terziario, che va dal turismo al commercio al dettaglio e alla GDO, nonché all’artigianato tradizionale e a quello dei servizi alla persona e alla casa.

 

Un tema di rilevante spessore però accomuna tutti i settori dell’economia: il salario minimo. Non è più accettabile che, poche o molte che siano, le persone lavorino spaccandosi la schiena per neppure un tozzo di pane.

 

L’annosa questione della dignità di tutti i lavori, costituita dalla fissazione di un salario minimo, va risolta una volta per tutte. Il Parlamento con l’approvazione di una legge erga omnes, valida per tutti i settori economici, deve mettere una pietra tombale su un vuoto legislativo riprovevole. Nessuno capisce più le distinzioni partitiche su una questione come il salario minimo. Soltanto agli orbi non appare di buon senso.

 

Una soluzione di questa natura, nonostante la contrarietà dei sindacati, nel momento in cui le forme di lavoro si allargano a dismisura, non lede affatto la contrattazione collettiva. Anzi la rafforza. La fissazione del salario minimo, infatti, aprirebbe alle organizzazioni sindacali uno scenario nuovo nella negoziazione dei contratti collettivi nel momento in cui il mondo del lavoro muta, in radice, struttura e funzione.