È arrivata nel quartiere napoletano quando era abbandonato alla camorra. Ha portato la cultura, cercando di dare le stesse opportunità educative a tutti. Perché in mezzo al brutto esiste il bello, anche se non fa notizia

«Amo Scampia e la sento come la mia terra. La amo incondizionatamente, nonostante le sue molteplici contraddizioni». A parlare così di uno dei quartieri più noti in Italia è la professoressa Elvira Quagliarella, arrivata a Scampia a ventuno anni, quando questa era solo una terra deserta, sovrastata dal famoso complesso residenziale delle Vele. Che sono diventate presto l’unico simbolo della zona, inghiottendo tutto il resto, tutto il buono, tutto il bello che tentava di sopravvivere e di opporsi alla rassegnazione.

 

La camorra si è impossessata del luogo facendolo diventare roccaforte dello spaccio di droga e delle più orribili attività criminali. Coinvolgendo intere famiglie e privando i bambini del diritto più puro all’infanzia, consegnando loro un destino già scritto. «Avevo visto morire sul selciato un ragazzo giovanissimo, uno dei tanti che quotidianamente approdavano a Scampia per una dose di eroina», racconta la professoressa: «Ciò accadeva nei pressi della mia scuola, sotto gli occhi di tutti, ma nessuno osava intervenire perché terrorizzato dagli spacciatori. Non era la prima volta, ma ero, oltre che addolorata, stanca e indignata per queste scene atroci che mi si presentavano dinanzi quasi ogni giorno. Così decisi che avrei contribuito a un cambiamento».

 

Scampia diventa per Elvira il luogo predestinato; durante questi quarant’anni di insegnamento non ha mai mollato, opponendosi alla narrazione che sia solo un territorio «brutto, sporco e cattivo». Lo sono l’isolamento e il pregiudizio. Un luogo diventa tale non solo quando le persone finiscono per essere invisibili, tranne che per episodi violenti, ma anche quando lo diventa il bene, perché non fa notizia. Tante associazioni da oltre un ventennio operano instancabilmente e lontane dai riflettori, creando progetti di inclusione e speranza: come con il progetto di Affido Culturale che, con Elvira e la dirigente dell’Istituto comprensivo statale Virgilio IV di Scampia, Lucia Vollaro, ha coinvolto 60 famiglie in appuntamenti culturali gratuiti in città, tra musei, cinema, teatri, librerie, fattorie didattiche e tante attività.

 

«C’erano famiglie che non erano mai entrate in una biblioteca o in un museo. Bambini che non avevano mai visto il mare, che non sapevano cosa fosse un campo estivo, un laboratorio creativo; altri che non conoscevano il centro storico di Napoli e la sua storia, perché non tutti hanno le stesse opportunità». Per contrastare la fascinazione delle organizzazioni criminali, che riescono a penetrare nei tessuti sociali imponendosi come unica possibilità di sopravvivenza, si dovrebbero offrire le stesse opportunità educative, riducendo le diseguaglianze sociali, i divari fra quartieri.

 

«Se la (ri)conoscono, per forza scelgono la bellezza», spiega Daniele Sanzone, scrittore e cantante della storica rock band di Scampia, ‘A67: «Per questo te lo nascondono il bello: hanno paura che diventi la tua arma contro la paura». Come diceva Peppino Impastato. Basterebbe così poco, invece, se alle imprese dei singoli, dei cittadini più generosi, degli insegnanti come Elvira, si facesse percepire la mano costante dello Stato. Perché quando i fondi finiscono si rialzano i muri e tutto torna così com’era, quando non c’era speranza. E solo perché nessuno voleva farti scoprire «quel profumo di libertà».