L’ultimo rapporto dell’Ipcc dice che dobbiamo contenere l’aumento della temperatura a più 1,5 gradi in questo secolo. Ma avanti di questo passo, il clima si surriscalderà di almeno 3,2 gradi

«Agire adesso oppure sarà troppo tardi». «Il mondo sull’orlo della catastrofe climatica». Sono alcuni tra i titoli più utilizzati dai principali giornali nel mondo per commentare l’ultimo rapporto di sintesi dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change). Il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici è il maggior organismo scientifico sul tema a livello globale. Lo scorso 20 marzo si è concluso in Svizzera il sesto ciclo di rapporti di valutazione (Ar6) sullo stato del clima. La sintesi è che stiamo andando nella direzione sbagliata e non stiamo facendo quanto dovuto per stabilizzare la temperatura. L’obiettivo è contenerne l’aumento entro 1,5° in questo secolo. Siamo già a +1,2°. Se non azzeriamo le emissioni nette di CO2 entro il 2030, sarà impossibile raggiungere la neutralità climatica e impedire eventi catastrofici. Il problema riguarda tutte e tutti.

 

Il sesto rapporto, attraverso le evidenze scientifiche più aggiornate, mette a nudo le verità sull’impatto che il collasso climatico avrà sugli umani. «Per la prima volta le decisioni che (non) prendiamo oggi avranno un effetto duraturo per migliaia di anni sul mondo di domani», denuncia il presidente dell’Ipcc, Hoesung Lee. Nei “Summary for policy makers”, riassunti da sottoporre ai decisori politici, sono stati forniti tutti gli elementi ai governi per agire e invertire la rotta. Perché non c’è più alcun dubbio che le emissioni di origine umana – alimentate dalla nostra dipendenza dai combustibili fossili, amplificate oggi dalla guerra e da un modello economico e produttivo insostenibile – stiano devastando il pianeta. Senza cambiamenti strutturali, il rapporto dell’Ipcc prevede in questo secolo un aumento della temperatura di 3,2°. Più del doppio rispetto alla soglia esiziale di 1,5°, stabilita durante la Cop15 di Parigi.

 

«Agire su tutti i fronti», è l’appello del segretario generale Onu, António Guterres, per «disinnescare la bomba a orologeria del clima». Perché ormai il cambiamento climatico si traduce in insicurezza alimentare e siccità, aumento dei tassi di mortalità e malattie, migrazioni ambientali e diffusione di pandemie, crescita della povertà e distruzione di economie locali. La sfida per evitare la catastrofe climatica impone anche una riflessione su pesi e responsabilità di ciascun Paese. La giustizia climatica è cruciale perché coloro che emettono meno CO2 ne sopportano il peso in modo sproporzionato, come ricorda Aditi Mukherji, tra gli autori del rapporto. Servono più multilateralismo e cooperazione internazionale. La guerra in Ucraina rischia, invece, di consegnarci un’umanità divisa e incapace di difendere il diritto più importante: il diritto alla vita. Anche per questo va fermata.

 

Gravità, urgenza e speranza si mescolano nell’ultimo rapporto sulla crisi climatica. Perché, se è vero che non stiamo facendo abbastanza, è pur vero che le nostre conoscenze ed esperienze dimostrano come sia possibile invertire la tendenza. Si possono cambiare le cose. Esistono strategie di adattamento e mitigazione che consentirebbero di rispondere allo stesso tempo alla necessità di creare posti di lavoro stabili e di qualità. Ma servono impegno, azioni concrete, cronoprogrammi precisi, maggiori risorse e investimenti nella riconversione del modello produttivo ed energetico. Così come serve collaborare con le comunità territoriali e i lavoratori. Se la politica non è all’altezza della sfida, abbiamo il dovere e il diritto di lottare per cambiarla. Facciamo Eco.