L’obbligo di pubblicità sul costo del carburante non contrasta l’eventuale speculazione, ma è solo burocrazia in più. Altrimenti perché non applicarlo anche al costo degli ombrelloni?

Qualche giorno fa il Senato ha discusso la conversione in legge del decreto sulla trasparenza del prezzo dei carburanti. Vale la pena di guardarlo da vicino per capire come nascono le storture burocratiche.

 

Torniamo ai primi giorni del 2023. Il governo non rinnova lo sconto sulle accise introdotto da Draghi. Il prezzo dei carburanti sale e tutti se ne lamentano. Il governo, invece di difendere la propria misura, cerca di spostare il dibattito sul tema della speculazione. Insomma, le cortine fumogene della speculazione sono usate per mascherare una decisione poco popolare. E se la colpa è della speculazione, allora occorre intervenire contro gli speculatori: il decreto in questione richiede, tra l’altro, che, da qui in poi, il prezzo medio regionale dei carburanti sia esposto nelle circa 22.000 stazioni di servizio italiane.

 

Ora, è ormai stato acclarato che l’aumento dei prezzi alla pompa registrato a gennaio fu dovuto solo all’aumento delle accise. La speculazione non c’entra nulla.

 

Ma, al di là della motivazione del provvedimento, l’esposizione del prezzo medio regionale è utile per aumentare la concorrenza nel settore della vendita alla pompa dei carburanti? L’Autorità garante della concorrenza e del mercato dice di no per due motivi. Primo, il prezzo medio regionale non è indicativo delle condizioni di concorrenza a livello locale. I benzinai non sono in concorrenza con benzinai che sono a un’ora d’auto di distanza. Un conto è vendere benzina in provincia di Sondrio, un altro a Milano, un altro a Mantova e così via. Il secondo motivo è che l’esposizione di un prezzo medio, se proprio ci si deve preoccupare di accordi collusivi, può proprio facilitare tali accordi. Insomma, perché vendere ben al di sotto del prezzo medio?

 

Certo, la trasparenza dei prezzi è importante. Ma perché prendersela proprio coi benzinai? Perché non richiedere di esporre il prezzo medio regionale per tutti i prodotti, per la frutta, il latte, il taglio dei capelli? Forse i meccanismi concorrenziali non funzionano per i benzinai? In questo settore l’entrata sul mercato è libera. Perché non preoccuparsi invece dei settori dove la concorrenza è ridotta perché esistono ancora le concessioni? Perché, per esempio, non richiedere ai balneari di esporre il prezzo medio degli ombrelloni?

 

Tutto questo aggiunge altri tasselli al mosaico della burocrazia italiana. I benzinai dovranno esporre i cartelli coi prezzi medi e cambiarli prontamente se vogliono evitare pesanti multe. La Guardia di finanza dovrà sorvegliare sull’esposizione dei cartelli e siccome dovrà farlo «senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», come dice il decreto, dovrà usare risorse che avrebbero potuto andare a combattere l’evasione fiscale. Viene costituita una nuova “Commissione di allerta rapida di sorveglianza sui prezzi” che include la solita lista di funzionari pubblici. Il garante per la sorveglianza dei prezzi dovrà preparare una relazione trimestrale sull’andamento medio dei prezzi dei carburanti. E questi sono solo alcuni esempi.

 

In ultima analisi, il decreto in questione dimostra la mancata comprensione di un punto fondamentale. La speculazione si evita attraverso la maggiore concorrenza, l’apertura dei mercati, non con commissioni di sorveglianza, rapporti trimestrali, e altre amenità burocratiche.