Mentre la Germania si prepara a legalizzarla qui prevale lo stigma. E si preferisce un approccio proibizionista e punitivo

Dopo anni di ostruzionismo la Camera dei deputati è costretta ad occuparsi della questione della cannabis; se la Corte Costituzionale nel febbraio scorso non avesse deciso con una motivazione tutta politicista la non ammissibilità del referendum, il 12 giugno il popolo avrebbe eliminato le norme penali più repressive della legge antidroga che dal 1990 sommerge i tribunali e riempie le carceri. Ovviamente il Parlamento avrebbe evitato questa prova.

 

Così non è stato e la destra becera minaccia fuoco e fiamme sul governo se il Parlamento approverà la proposta di Riccardo Magi, che ha superato il vaglio della commissione Giustizia e della discussione generale. Va detto che il testo non è di legalizzazione della cannabis, si limita a rendere legittima la coltivazione domestica di poche piante come anticipato dalla Cassazione e a prevedere un articolo autonomo per i fatti di lieve entità, differenziando tra le sostanze leggere e pesanti.

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La linea demagogica e propagandistica è scodellata: non si tratta di una priorità! Questa tesi è sostenuta da un coro di moralisti da strapazzo. Per smascherare questa falsità, basta leggere i provvedimenti che hanno la precedenza e rischiano di far rimandare a settembre e magari nel mese del mai la canapa: una mozione sulla carenza di personale nei settori del turismo e dell’agricoltura e una sulla energia nucleare di seconda generazione; una proposta di legge sul volo di diporto e una proposta di legge costituzionale sulla insularità; la sperimentazione del voto telematico e infine un provvedimento sulle celebrazioni dell’ottavo centenario di San Francesco.

 

Scherzi a parte, dal 1990 una legge proibizionista e punitiva ha trasformato una questione sociale in una criminale e dal 2006 al 2014 ha imperato la legge Fini-Giovanardi fondata sull’assioma che «la droga è droga», senza distinzione tra le sostanze con una pena carceraria da sei a venti anni per detenzione e spaccio. Solo grazie alla sentenza della Corte Costituzionale nel 2014 (relatrice Cartabia), quell’obbrobrio fu cancellato.

 

Nel frattempo, nel mondo la via della war on drugs, è stata abbandonata dall’Uruguay, da molti Stati degli Usa come la California e dal Canada; per l’autunno la Germania si prepara a scegliere la legalizzazione.

 

Purtroppo, in Italia le proposte di questo segno che io presentai nel 1995 e nel 1996, nonostante la sottoscrizione di oltre 150 deputati rimasero allo stadio iniziale. Vale la pena ricordare che la proposta n. 2362 era firmata da personalità autorevoli come Violante, Turco, Di Lello, Finocchiaro ma anche dai leghisti Bertotti, Marano e Maroni. Certo, era la Lega di Bossi e non di quella del mozzaorecchi del diritto Salvini, quale si rivela anche in questa occasione.

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Questa vicenda segnala un arretramento della cultura e della politica, anche a sinistra nonostante la dura replica dei dati della realtà. Il tredicesimo Libro Bianco sulle droghe, curato dalla Società della Ragione conferma la presenza in carcere del 35 per cento di detenuti per detenzione e piccolo spaccio. Il dato più impressionante rimane quello di un milione e trecentosettantacinquemila giovani segnalati alle prefetture dal 1990 ad oggi per mero consumo: di questi più di un milione per uno spinello. Una persecuzione di massa e una stigmatizzazione sociale pesante.

 

Siamo di fronte ad una urgenza democratica. La delusione subita dai cinquecentomila firmatari del referendum non può essere aggravata dalla ignavia del Parlamento. Ancora una volta la frontiera dei diritti civili può costituire il discrimine per la dignità delle Istituzioni.

 

Anche se la crisi politica precipitasse verso la caduta del governo, ci sarebbe spazio per un voto e per mettere al centro della prossima campagna elettorale un tema che divide tra libertà e autoritarismo.