I sogni. Le passioni. Il rischio. La storia di Alberto Nassetti, pilota d’aereo precipitato a 28 anni, racconta il senso profondo del nostro vivere

Quando volo dismetto ogni coraggio, lo ammetto. Le statistiche dicono che l’aereo è il mezzo di trasporto più sicuro, ma confesso che staccare i piedi dal suolo è ogni volta un trauma. Nonostante mi sia ormai abituato a camminare con lo sguardo rivolto verso il basso, sotto il cappellino che indosso sempre, quando salgo su un aereo non manco mai di lanciare un’occhiata alla cabina di pilotaggio, per cercare di capire chi sia, che aspetto abbia, come sia fatta la persona a cui sto per affidare la mia vita per la durata del volo.Poi aspetto il suo messaggio ai passeggeri sperando di sentire una voce rassicurante che mi dica che il cielo è terso e che non sono previste turbolenze. Mi è capitato spesso di chiedermi chi ci fosse dietro quella voce, sotto quel cappello da comandante o quel paio di cuffie sbirciati dal cockpit. Che vita farà? Da quanti giorni sarà in viaggio? Gli piacerà dormire ogni sera in un posto diverso? Perché avrà scelto questo lavoro? Avrà mai avuto paura?

Da quando ho iniziato a essere un frequent flyer sono anche diventato un lettore assiduo e onnivoro di libri che raccontano le vite di chi spesso sogna di volare sin da bambino. E allora la scritta “pilota”, vergata con calligrafia incerta a sei o sette anni, diventa un percorso di vita fatto di impegno, studio, sacrifici.

Mi imbatto in “Molte aquile ho visto in volo”, libro di Filippo Nassetti edito da Baldini e Castoldi, di cui mi colpisce il titolo. Descrive le vite di persone la cui passione si fonde con il rischio e la responsabilità.

Nassetti racconta di suo fratello Alberto, pilota, morto a 28 anni nel 1994 a Tolosa durante un volo di collaudo. Nella narrazione sono coinvolti altri piloti, altri percorsi, altre esperienze. Di questo libro appassionato e pieno di amore per un ragazzo che ha dedicato sin da piccolissimo tutte le sue energie al perseguimento di un sogno, ci sono passaggi che mi hanno profondamente colpito. Si tratta di testimonianze, di ricordi, di fogli scritti, conservati, ritrovati. Di lettere buttate giù d’impeto e consegnate a mano. Parole destinate a rimanere private, ma che a leggerle non senti di stare profanando l’intimità delle persone coinvolte.

Nassetti riporta il testo di un questionario a cui il giovane pilota aveva dovuto rispondere dopo aver subito un delicato intervento al cervello per un tumore benigno. L’operazione presentava rischi e la probabilità concreta che Alberto non avrebbe più avuto l’idoneità al volo.
Cosa vuole tua madre che tu sia?
Un uomo felice.
Cosa vuole tuo padre che tu sia?
Un uomo in gamba.
Sei più vicino a ciò che vuole tua madre o a ciò che vuole tuo padre?
Oggi a quello che vuole mio padre.
Cosa dici e credi della vita ora?
È un dono meraviglioso.
Cosa dicevi e credevi della vita da adolescente?
È dura.
Cosa dicevi e credevi della vita quando hai iniziato la scuola?
È ingiusta.


Quando tutto ciò per cui hai vissuto si sgretola, finisci col guardare con lucidità al passato, alle aspettative che su di te erano riposte e a come ti sentivi quando stavi percorrendo la strada che ti ha portato a essere ciò che sei qui e ora. La madre che ti vuole felice (quale madre non avrebbe una tale aspirazione per i propri figli?) e la constatazione che in fondo hai scelto, e hai scelto che preferisci essere stimato più che felice.

Alberto supera la convalescenza e la riabilitazione e non molla, vuole tornare a volare. Ora verrebbe da dire che se quel ragazzo avesse accantonato il suo sogno di una vita, in quel preciso momento, avrebbe forse avuto la vita salva. Ma non è possibile bloccare un sogno e la sua realizzazione. Non è possibile tenere ancorato al suolo chi, sfidando le leggi di natura, ha deciso di voler vivere volando.
Continua il questionario:
Come pensi che potresti morire?
Di vecchiaia.
Cosa ci sarà scritto sulla tua tomba? Molte aquile ho visto in volo, ali maestose sfidare il suolo, rapaci solitari incontro al sole, imperiali figure sfrecciare nelle gole, ancora a lungo le vedrò, poi, con loro, io morirò...