Da Karthoum a Dunkerque, il nazionalismo britannico si è nutrito del mito di disfatte gloriose. Ora c’è la Brexit, e va male anche per l’Europa

Scrive l’irlandese Fintan O’Toole nel suo pamphlet anti-Brexit (“Heroic Failure”: l’Eroismo del fallimento) che, quando il sole tramontava sull’Impero, il nazionalismo inglese del XX secolo si nutriva dei racconti di disfatte gloriose: la ritirata di Dunkerque, la mortale spedizione di Scott nell’Antartico, la carica della brigata leggera durante la guerra di Crimea, l’ultima resistenza di fronte agli Zulù a Isandhlwana, Gordon a Khartum, la battaglia della Somme…

«Questa capacità inglese di accettare la catastrofe ha qualcosa di veramente straordinario. È anche la fonte di una formidabile creatività. Essa trasforma il brutto della realtà in una magnifica fantasia». Questo scrive ancora O’Toole, e aggiunge che, in tutta la sua bruttezza, la Brexit è un fatto reale: è un’automutilazione spettacolare che una nazione compie in preda alle sue illusioni. Il recupero dell’identità che pensa perduta.

Sulla rinascita di un’ audace Gran Bretagna mondiale, una volta sganciata dall’Unione europea, Boris Johnson ha costruito una superba fantasia. Nell’anno che comincia saranno recisi via via molti dei vincoli che legavano le isole britanniche al Continente. Non tutti, perché in tal caso il divorzio sarebbe brutale. E non credo sia possibile, perché la Gran Bretagna resta comunque Europa e gli inglesi resteranno europei anche se europei eccentrici.
Il problema è che all’origine il culto inglese sull’eroismo del fallimento era, paradossalmente, un simbolo della potenza britannica. Oggi è un sintomo della debolezza di Londra. Alle varie interpretazoni della Brexit ha dedicato un lungo articolo il New Statesman del 27 novembre; prima, cioè, del voto che ha poi dato una strepitosa vittoria a Boris Johnson. Voto che ha deciso quel che restava incerto. Ma il trionfo del condottiero conservatore della Brexit non cancella la debolezza di Londra, che si aggiunge alla debolezza dell’Europa. La quale invece di progredire perde pezzi. E che pezzi!

Il generale Charles de Gaulle, che non aveva in simpatia “les anglosaxons”, benché l’ avessero accolto quando la Francia era occupata dai tedeschi, mise a lungo il veto all’ ingresso della Gran Bretagna nella Comunità europea. Oggi esalterebbe la sua lungimiranza. Molto più modestamente, noi pensiamo che l’Europa senza il Regno Unito, cioè la Gran Bretagna (Inghilterra, più Scozia, più Galles) e l’Irlanda del Nord, sia zoppa, e non solo, ma anche avviata a una decadenza difficile da frenare. Nonostante l’età matura, l’Unione Europea non ha né una difesa né una politica estera comune. Figura tra i “grandi” per la sua storia e la sua vulnerabile ricchezza. Adesso perde una delle sue principali e nobili componenti. In quanto al Regno Unito “liberato”, è tutt’altro che unito, poiché la Scozia e l’Irlanda del Nord non hanno votato per il divorzio dall’Europa. La Brexit è la somma di due debolezze.

L’anno che comincia non porta buone nuove a noi europei. Oltre al Regno Unito che se ne va - in cerca della smarrita identità che rischia di non ritrovare - è sul piede di partenza Angela Merkel, che comincia il suo ultimo anno come cancelliera, nell’incertezza che rispetti il calendario e non approfitti di una crisi per andarsene prima. Prevale comunque la convinzione che Angela Merkel rispetterà fino all’ultimo i suoi impegni politici, ma anche se dovesse restare al suo posto fino alla scadenza ufficiale, il peso della sua presenza non sarà più lo stesso. Già adesso non lo è più. Oltre ad essere amputata del Regno Unito, l’Europa perde il suo più valido leader. Attorno a Merkel non si scorge che mediocrità e leggerezza.

La mappa politica europea è cambiata. Non sono pochi i partiti tradizionali che hanno perduto il loro elettorato. Di loro è rimasto soltanto il nome o quasi. In Francia e in Italia i voti un tempo comunisti si riversano adesso sull’estrema destra (la Lega di Salvini e il Rassemblement di Le Pen). Sono diventati voti sovranisti. Ma quel che caratterizza la classe politica europea è la mediocrità, che non distingue soltanto i Salvini e gli Orban. Si estende anche al centro e a sinistra. Angela Merkel che sta per andarsene è un esemplare unico, per ora non sostituibile. Il nuovo anno europeo non si annuncia appunto esaltante.