La Lega con in referendum deve incassare una doppia sconfitta sul piano politico. Ma anche l'istituto referendario subisce un ulteriore ridimensionamento

Un referendum viene, l’altro va. Sì alla consultazione sul taglio dei parlamentari, no al quesito sulla legge elettorale. Siccome in entrambi i casi la spinta propulsiva era pervenuta dalla Lega, potremmo desumerne che il match si chiude in pareggio. Errore: sul piano politico, il partito di Salvini incassa una sconfitta per 2 a 0. Quanto alle conseguenze per le nostre istituzioni, ci vorrà tempo per misurarne il peso. Ma a occhio, ne escono tutte un po’ ammaccate: bilancio negativo per il referendum come strumento di democrazia diretta, per le riforme costituzionali, per la stessa legge elettorale.

Perché la Lega perde la partita? Per un eccesso di furbizia, mettiamola così. Troppa tattica, poca strategia. Quando un gruppo di senatori ritirò la firma sul referendum costituzionale, alla vigilia dell’ultimo giorno utile (12 gennaio), è arrivato il soccorso verde dei leghisti. Con un messaggio implicito alle anime perse del nostro Parlamento: fate cadere il governo Conte adesso, prima che si consumi il referendum; solo così resteranno mille posti in tavola alle prossime elezioni, anziché 600. Insomma, un delitto perfetto per uccidere la XVIII legislatura. Invece ne ha allungato la vita. Giacché a questo punto difficilmente Mattarella può concedere il voto anticipato: rischieremmo un Parlamento delegittimato subito dopo le elezioni, per effetto del referendum che abolisce 345 parlamentari appena eletti.

Da qui l’autogol; o se volete il goal dei carissimi nemici a 5 Stelle. Cui la Lega, insieme al referendum, ha offerto un’occasione formidabile di propaganda, che verrà sfruttata in lungo e in largo durante la campagna referendaria. Il taglio dei parlamentari l’hanno voluto loro, ora ne intascheranno i dividendi. Senza referendum, viceversa, di questa riforma non parlerebbe più nessuno. Dunque un progetto politico fallito, come il tentativo di cambiare la legge elettorale, sostituendola con un maggioritario secco. Difatti il 16 gennaio la Consulta ha bocciato il quesito architettato dall’astuto Calderoli, e quella bocciatura suona come una benedizione per il modello opposto, per il proporzionale che stanno confezionando i nemici della Lega. Andarono per suonare e furono suonati, recita un vecchio proverbio popolare.

Ma ancora più suonato è il referendum, come istituto, come strumento di decisione popolare. Dovrebbero convocarlo gli elettori, siglando con 500 mila firme una richiesta; però sul taglio dei parlamentari ne sono state raccolte 669, una miseria. Sicché l’iniziativa è decollata nell’aula del Senato; la Costituzione lo consente, ma non è certo la regola. Mentre l’altro referendum - quello sul Rosatellum - l’hanno promosso le Regioni, benché non abbiano alcuna competenza rispetto alle leggi elettorali nazionali. Insomma, a quanto sembra pure il massimo istituto di democrazia diretta è ormai ostaggio dei partiti, è diventato uno strumento per i loro giochi di palazzo.

E i cittadini? A giugno dovrebbero pur sempre votare un referendum, ma chissà quanti ne avranno ancora voglia. Il taglio dei parlamentari è pop, nessun partito accetterà d’esporsi contro la riforma. Dunque campagna referendaria fiacca, con un esito scontato. E zero stimoli per correre alle urne, dove gli unici elettori motivati saranno gli apostoli del “no”. Con quale risultato? Bassa influenza, bassa informazione, bassa stima del Parlamento e del suo ruolo. Anche perché quest’ultimo, nel frattempo, sarà impegnato a litigare sulla nuova legge elettorale, non proprio lo spettacolo migliore per riavvicinare gli eletti agli elettori.

È il frutto avvelenato della sentenza con cui la Consulta ha bocciato il referendum: se l’avesse ammesso, la maggioranza giallorossa avrebbe avuto appena un paio di mesi per neutralizzarlo, approvando un’altra legge di stampo proporzionale. Altrimenti si sarebbe trovata sul groppone il supermaggioritario congegnato dalla Lega, rischiando di finire in minoranza per tutti i secoli a venire. Adesso, invece, campa cavallo: opinioni contrapposte sulle soglie, sulle preferenze, sulla dimensione dei collegi. La nuova legge elettorale verrà timbrata solo all’ultima curva della legislatura, come da tradizione. E un minuto dopo cadranno le elezioni. Amen.