Sui poteri del governo uscente  si gioca una partita decisiva per l’inizio della prossima legislatura

La gentilezza crea fiducia, diceva Lao Tse; e infatti Gentiloni vive sulla fiducia del nostro Parlamento. Ecco perché lo ius soli è precipitato in coda alla lista della spesa, dopo il biotestamento, ?la riforma del regolamento del Senato, la legge sui testimoni di giustizia e via elencando. Succede perché sullo ius soli i numeri corrono sul filo, e allora il governo dovrebbe apporvi la questione di fiducia, con tutti i rischi del caso. Meglio evitare, meglio rinviare ?la partita alle calende greche.

Ma perché, cosa cambierebbe? ?Le elezioni ormai sono alle porte, Mattarella non può mica benedire un nuovo esecutivo, anche se Gentiloni inciampa su un voto di sfiducia. E invece no, in quella sciagurata ipotesi cambierebbe tutto l’arco delle sue prerogative. Difatti un governo privo ?di fiducia deve limitarsi all’ordinaria amministrazione, così insegnano ?i manuali; però in Italia l’ordinario ?è sempre straordinario, e ogni regola incontra dieci eccezioni. Siccome può ben darsi che il gabinetto Gentiloni resti in sella anche durante la prossima legislatura, siccome quest’ultima potrebbe durare il tempo d’un fiammifero, siccome insomma potremmo ritrovarci con lo stesso presidente del Consiglio per tre legislature (in Spagna è successo ?a Rajoy), converrà metterne a fuoco ?i poteri, nel passaggio da una legislatura all’altra.

Primo: il governo in attesa di fiducia. Ha giurato nelle mani del capo dello Stato, ma non si è ancora presentato in Parlamento. Nelle more, potrà quindi approvare solo i decreti legge «assolutamente necessari» (così il costituzionalista Esposito), ammesso che sia possibile distinguere fra necessità assolute e relative. Però non è detto che il Parlamento conceda la fiducia; e infatti in cinque casi l’ha negata (De Gasperi nel 1953, Fanfani nel 1958, Andreotti nel 1972 e nel 1979, Fanfani nel 1987). Altrettanti aborti di governo, nonostante l’inseminazione praticata al Quirinale. Con la conseguenza che per cinque volte l’esecutivo si è dimesso prima ancora d’insediarsi. Restando in carica fino al giuramento del nuovo esecutivo, dato che un governo dev’esserci comunque. Ma con l’ulteriore corollario d’abbassare ?al minimo i poteri d’ordinaria amministrazione (così Mortati ?e vari altri).

Secondo: il governo sfiduciato, un mese o un lustro dopo aver ottenuto la fiducia. Oppure che spontaneamente si dimetta, per un insuccesso politico (com’è accaduto a Renzi con il referendum) o per lo sfaldamento della sua vecchia maggioranza. Anche stavolta il suo motore scenderà di giri, limitandosi al disbrigo degli affari correnti; ma un po’ di meno rispetto al caso precedente. Giacché un governo abortito non ha mai vissuto, mentre ?un governo moribondo dopotutto ?è ancora in vita.

Terzo: il governo dell’interregno, fra vecchio e nuovo Parlamento. Fin quando non sopravvenga la prima riunione delle Camere, le precedenti sono prorogate, afferma l’articolo 61 della Costituzione; sicché permane il rapporto di fiducia col governo, anche durante le elezioni. Sarebbe bizzarro, tuttavia, immaginare un Jobs Act o una Buona Scuola varati in piena campagna elettorale: di fatto, in tali circostanze i poteri dell’esecutivo s’assottigliano come una candela. ?E in ogni caso quest’ultimo dovrà dimettersi subito dopo le elezioni, dichiara la dottrina costituzionalistica, peraltro confortata dalla prassi. Tornando a gestire, fino all’avvento ?del nuovo esecutivo, l’ordinaria amministrazione, nulla di più.

Già, ma che s’intende con questa espressione? Divieto d’adottare ?nuovi disegni di legge, per esempio; ?di rispondere a interrogazioni in Parlamento; d’effettuare nomine o missioni all’estero; e insomma tutto un repertorio che di volta in volta viene precisato in altrettante circolari firmate dai governi. Qui s’apre la giostra, tuttavia. Perché ciascuna circolare gradua a suo capriccio l’intensità dell’ordinaria amministrazione, ?e perché non sempre i governi rispettano le proprie circolari. Così, ?nel 1972 un gabinetto Andreotti procedette a nomine importanti durante la vigilia elettorale; mentre nel 1994 il gabinetto Ciampi si concesse poteri alquanto generosi. Sicché, in conclusione, ci rimane un’unica certezza: noi voteremo, ma Gentiloni continuerà a governarci. Non è detto che sia un male.