Non solo i colletti bianchi e le tute blu impoveriti dalla globalizzazione. Anche i millennials votano contro l’establishment. In Europa come negli Usa
Voglia di ribaltare il sistema. È il collante dei millennials americani, la generazione che va dai 18 ai 34 anni. Il loro voto sarà determinante per scegliere il prossimo presidente degli Stati Uniti. Il repubblicano Donald Trump pifferaio del politicamente scorretto. Oppure la democratica Hillary Clinton così istituzionale e così pappa e ciccia con l’alta finanza di Wall Street. Almeno sulla carta, i millennials sono numericamente in vantaggio; hanno superato per numero di aventi diritto al voto anche i baby boomers, i nati negli anni del benessere e del consumismo di massa. Come i loro coetanei europei, questi giovani - nati tra la fine del “secolo breve” e il sorgere del “secolo digitale” - ce l’hanno con il “corporate power”, considerato causa dell’impoverimento dei loro genitori e del peggioramento delle condizioni di vita nel prossimo futuro. Un sistema insomma da rivoltare. Illuminante per capire che cosa passa nella testa dei nostri figli e dei nostri nipoti il servizio dagli Stati Uniti di Alberto Flores d’Arcais. E quali conseguenze sull’intero mondo globalizzato potrà avere il loro orientamento nelle elezioni presidenziali di novembre.
Il voto popolare, incubo delle élite. Ce ne siamo occupati ampiamente sul numero della scorsa settimana con i servizi di copertina. Intanto un nuovo referendum incombe sull’Europa. Si svolgerà il prossimo 2 ottobre nell’Ungheria del nazionalista Viktor Orbán, quello dei muri anti-immigrati. E il quesito referendario, nella sua semplicità, punta a elevare una barriera insormontabile: «Volete che l’Unione europea, anche senza consultare il Parlamento ungherese, prescriva l’immigrazione in Ungheria di persone che non sono cittadini ungheresi?». È troppo facile prevedere quale sarà il risultato, in nome del popolo sovrano e dell’autonomia della nazione. L’Ungheria, secondo gli accordi raggiunti faticosamente l’anno scorso, avrebbe dovuto farsi carico di circa 2.300 profughi. Ma il governo di Budapest userà l’arma delle urne per annientare quel po’ di spirito comunitario che ancora resiste sul Vecchio Continente.
Come se non fosse bastata la ferita sanguinante di Brexit. Che ci svela il lato oscuro di una grande democrazia qual è quella britannica. E dunque costringe tutto il mondo occidentale a interrogarsi su se stesso, sulla natura delle sue istituzioni, della loro rappresentanza e del rapporto che queste hanno con le innumerevoli “periferie” che circondano i centri decisionali.
È un pugno nello stomaco ciò che scrive Mario Fortunato sul voto inglese: «Si dice che l’estetica è la madre dell’etica (…) L’estetica oltre Manica non è più quella che credevamo di conoscere: ed è un’estetica sostanzialmente pre-fascista. Muscolare, manichea, sfrontata. Non ama le sfumature e non le pratica». Da leggere tutto d’un fiato.
Si è detto che i giovani britannici abbiano votato per restare in Europa, a differenza dei loro genitori, la generazione dei Beatles e dei Rolling Stones. L’analisi dei dati ha invece rivelato un forte tasso di astensionismo tra i millennials. La frattura dunque tra chi è dentro il sistema e chi ne è fuori prescinde dal dato anagrafico. Semmai l’età può essere considerato un fattore di accelerazione delle tensioni sociali.
La classe media dei paesi occidentali - operai, impiegati, piccoli imprenditori e professionisti dissanguati dalla lunga crisi - ha subito un impoverimento generalizzato. Colletti bianchi e tute blu, con un reddito medio intorno ai 30 mila euro, quelli che occupano nella scala della ricchezza mondiale una posizione buona ma non privilegiata, sono rimasti fermi, nel pantano della globalizzazione. Mentre i ricchi diventavano sempre più ricchi e le masse di diseredati dell’Asia e dell’Africa conoscevano finalmente condizioni di vita appena un po’ decenti. È l’imprevedibile contrappasso di un pensiero europeo che ha esportato libertà, mercato, welfare e consumismo. Oggi ne viene travolto incapace di delineare un nuovo ordine mondiale. Toccherà ai millennials ribaltare il sistema?